di Mosab Abu Toha

 

[Il 20 Novembre l’esercito israeliano (IDF) ha arrestato il poeta e scrittore palestinese Mosab Abu Toha, che si trovava con sua moglie e i tre figli piccoli a un checkpoint. Stava lasciando il nord di Gaza per trovare rifugio al sud del paese. Mosab è stato rilasciato dopo qualche giorno, con naso e denti rotti, libero ma senza documenti, telefono, e senza i vestiti suoi e dei figli che portava nella valigia. Nel 2022, Mosab, che ha solo trent’anni, ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie in inglese “Things You May Find Hidden in My Ear” per l’editore Citylight Bookstore di San Francisco, la storica casa editrice di Lawrence Ferlinghetti. Il suo libro ha vinto  nel 2022 l’American Book Award, il Palestine Book Award e il Derek Walcott Poetry Prize nel 2023. Pubblichiamo qui alcune sue poesie, nella traduzione di Gian Maria Annovi]

 

Mio nonno era un terrorista

 

Mio nonno era un terrorista—

coltivò il suo pezzo di terra,

innaffiò le rose nel cortile,

fumò sigarette con la nonna

disteso sulla riva giallastra del mare

come un tappeto da preghiera.

Mio nonno era un terrorista—

raccolse arance e limoni,

pescò coi suoi fratelli fino a mezzogiorno,

portò a far ferrare il suo cavallo pezzato

cantando un motivo per calmarlo.

Mio nonno era un terrorista—

si faceva il te con il latte,

sedeva sulla sua terra rigogliosa, soffice quanto la seta,

s’infuriava col sole se sbatteva le palpebre.

Mio nonno era un terrorista—

se ne andò da casa sua per lasciarla agli ospiti in arrivo,

lasciò dell’acqua sul tavolo, la migliore che aveva,

fosse mai la sete li prendesse una volta conclusa la conquista.

Mio nonno era un terrorista—

giunse a piedi al primo paese sicuro,

scuro come un cielo incupito,

disabitato come una tenda deserta,

rabbuiato come una notte senza stelle.

Mio nonno era un terrorista—

mio nonno era un uomo

che mantenne dieci persone,

che per lusso ebbe una tenda

con la bandiera celeste dell’ONU

issata s’un palo arrugginito

sulla spiaggia vicino a un cimitero.

 

Strade palestinesi

 

Le vie della mia città non hanno nome.

Se un cecchino o un drone uccide un palestinese,

alla strada diamo il suo nome.

I bambini imparano meglio i numeri

quando possono contare quante case o scuole

sono state distrutte, quante madri o quanti padri

sono stati feriti o sbattuti in prigione.

Gli adulti in Palestina usano la carta d’identità solo

per non dimenticare

chi sono.

 

*

 

In guerra: tu e le case

 

Tu lotti. Tu

muori.

Non saprai mai chi ha vinto o perso,

o se la guerra è mai finita.

Non trovarono un posto per seppellirti.

Ti portarono a spalla,

in giro per il quartiere,

si fermarono alla scuola di quand’eri bambino

e al vecchio parco.

Le case mai ti videro.

Avevano già fatto le valigie.

La polvere ha eretto una tenda in ogni angolo.

La ruggine s’è posata con i suoi abiti lisi sul rubinetto

e sul cucchiaio.

Ruba il molle scivolare dell’acqua,

mentre tu,

tu dormi sulla sabbia smossa.

 

*

 

Esercizio difficile

 

A Gaza,

respirare è un lavoro,

respirare è un’operazione

di chirurgia plastica

compiuta sul proprio volto,

e alzarsi al mattino,

tentare di sopravvivere

un giorno ancora, è tornare

dalla morte.

 

*

Sette dita

 

Sempre quand’incontra la prima volta qualcuno, affonda

le sue manine nelle tasche dei jeans,

le muove

come se contasse

delle monete. (Ha appena perso sette

dita nella guerra). Poi

s’allontana,

ingobbita,

piccola come un nano.

 

*

 

A Gaza, alcuni di noi non possono mai morire del tutto,

ogni volta che cade una bomba, ogni volta che una scheggia colpisce le nostre tombe,

ogni volta che le macerie s’alzano sul nostro capo,

ci risvegliano dalla nostra morte provvisoria.

 

*

 

Cose che puoi trovare nascoste nel mio orecchio

 

Per la dottoressa Alicia M. Quesnel[1]

I

 

Quando m’apri l’orecchio, toccalo

gentilmente.

Dentro da qualche parte rimane la voce di mia madre.

La sua voce è l’eco che mi fa ritrovare l’equilibrio

quando la testa mi gira nella soglia dell’attenzione.

Ci puoi trovare canzoni in arabo,

poesie in inglese che recito a me stesso,

o una brano che canto agli uccelli che cinguettano nel nostro giardino.

Quando suturi il taglio, ricorda di rimettermi tutte queste cose nell’orecchio.

Rimettile dentro con ordine, come faresti con i libri sulla tua mensola.

 

 

II

 

Il brusio del drone,

il rombare di un F-16,

l’urlo delle bombe che piombano sulle case,

sui campi, e sui corpi,

di missili che volano altrove—

rimuovili dal mio piccolo canale auricolare.

Spruzza il profumo dei tuoi sorrisi sull’incisione.

Per risvegliarmi iniettami il canto della vita nelle vene.

Batti sul timpano con dolcezza per farmi danzare la mente,

con la tua,

dottore, giorno e notte.

 

 

*

 

MOSAB

 

Mio padre mi ha dato un nome difficile.

Dentro contiene due lettere che in inglese non esistono.

Mio padre non sapeva ch’avrei

avuto amici che parlano inglese,

che chiedono sempre come pronunciare il mio nome,

o che provano ad evitare di usarlo.

Però, papà, mi piace sentire come gli altri mi chiamano,

gli amici specialmente.

Persino l’origine del mio nome significa difficile.

Un cammello che viene descritto come Mosab

è difficile montarlo e cavalcarlo.

Ma io non sono per nulla difficile.

Mi spoglierò e ti mostrerò

le spalle, la polvere che vi riposa sopra,

il petto, come le lacrime hanno bagnato la sua pelle sottile,

la schiena, come il sudore l’ha resa pallida,

la pancia, come la peluria m’ha coperto l’ombelico,

il punto da cui mia madre mi ha nutrito prima che nascessi.

Lo stesso punto, dicono, lo infilzerà

l’angelo della morte per portarsi via la mia anima.

Ed ora, di notte, la testa di mio figlio mi urta

quando riposa sul mio ventre.

E i miei vestiti, li sento larghi,

mentre altri me li vedono stretti.

Quando qualcuno chiama per l’assicurazione sulla vita

e pronuncia il mio nome in inglese,

vedo l’angelo della morte nello specchio,

con gli occhi che mi guardano

mentre mi sgretolo su questa terra straniera.

 

(Da Things You May Find Hidden in My Ear: Poems from Gaza, City Lights Books, San Francisco, 2002)

 

Mosab Abu Toha è un poeta palestinese, scrittore di racconti e saggista di Gaza. Abu Toha è l’autore di Things You May Find Hidden in My Ear: Poems from Gaza (2022, City Lights), che ha vinto il Palestine Book Award 2022, l’American Book Award,  e il Derek Walcott Poetry Prize. Abu Toha è il fondatore della Biblioteca Edward Said e dal 2019 al 2020 è stato poeta in visita e bibliotecario residente presso l’Università di Harvard.

[1] Medico chirurgo di Boston specializzata in otorinolaringolatria [n.d.t.]

2 thoughts on “Cose che puoi trovare nascoste nel mio orecchio

  1. Grazie per proporre sempre la poesia, tra le altre cose.
    Ne cerco sempre, non ne ho mai abbastanza, ma senza ingordigia; non si deve approfittare delle parole dei poeti.
    Da qualche mese ho iniziato una mia ricerca personale che coinvolge poesia e immagini. Idea non originale, ma che ha una sua qualche pretesa artistica. Si chiama Poetry is a place. Ho già colto qualche spunto dai vostri articoli e sono felcissimo di aver incontrato oggi Mosab Abu Toha, per il quale farò, nel tempo, una delle mie cartoline.

    Alessandro

  2. Resto profondamente colpita da queste poesie.
    Mosab Abu Toha protegge con la parola poetica la sfera più intima, ma senza eccedere nel conflitto, che, evidentemente, è tutt’altro che interiore.
    Grazie per questa proposta.

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