di Laura Pugno
Tavola dei nomi e delle materie è un nuovo ciclo di interviste a scrittori e scrittrici, su un loro libro.
A ognuno di loro assegnerò una materia reale o immaginaria – sappiamo che è la stessa cosa –, visibile o invisibile, astratta o concreta, che il loro libro mi evoca, e chiederò di commentare questa scelta.
A ogni scrittore o scrittrice, poi, chiederò di scegliere un nome, alias di parlare di qualcuno, qualcosa, reale o immaginario – anche qui –: luogo o persona, soggetto umano animale vegetale minerale o all’incrocio di tutti questi mondi, del presente o del passato, o addirittura del futuro, che fa parte della materia del libro o che è stato determinante nell’innescare o nel far compiere il processo creativo che ha portato al libro stesso.
Laura Pugno
Ecco la tua materia
Alice Urciuolo, ne “La verità che ci riguarda” (66th and 2nd), la tua materia è lo specchio infranto. Cosa hai riflettuto e cosa hai deformato, di te stessa e di altri, per ricomporre da frammenti di vero e non vero un libro intero, un’immagine compiuta?
Credo che non potesse esserci immagine più calzante dello specchio infranto per descrivere il percorso che Milena, la protagonista del romanzo, compie. La parola che uso spesso per parlare di ciò che le accade è infatti “frammentazione”.
Milena è una giovane donna che si trasferisce dal suo paese d’origine, in Ciociaria, a Roma, lasciandosi alle spalle una complicata storia famigliare. Sua madre Angelica, infatti, un tempo cattolica convinta, ormai da anni è entrata a far parte della Chiesa della Verità, un culto che molti definiscono una setta. A Roma Milena incontra Emanuele, un uomo con cui instaura una relazione che all’inizio sembra un sogno, ma che presto si rivela un rapporto manipolatorio e doloroso. Un rapporto, soprattutto, non molto diverso da quello che sua madre ha con il leader della Chiesa della Verità.
Questo romanzo è nato da una scoperta: le esperienze di una persona vittima di una setta e quelle di una persona che si ritrova all’interno di una dipendenza affettiva si assomigliano, perché le dinamiche psicologiche che entrano in campo sono le stesse. In entrambi i casi, questi rapporti iniziano con una promessa d’amore. La vittima viene sommersa di attenzioni, viene fatta sentire importate. Poi questo amore, che era stato dato così generosamente, viene sottratto, e viene dato e viene sottratto ancora in un ciclo potenzialmente infinito, caratterizzato da imprevedibilità e intermittenza.
La conseguenza è una vera e propria frammentazione del proprio io, della propria identità e della mappa del reale che avevamo usato fino a quel momento. Forse ancora più interessante del racconto di ciò che avviene nel corso di questi rapporti è stato infatti il racconto di ciò che avviene dopo che lo specchio si è infranto. Quando anche solo una crepa si è aperta e noi iniziamo a risvegliarci dal sonno in cui eravamo immersi, ma non riusciamo ancora a fidarci di noi stessi, ad ammettere di aver vissuto dentro un inganno.
Per tornare ad essere liberi quello specchio deve poi infrangersi del tutto, i pezzi devono cadere e noi dobbiamo riassemblarli. Scopriamo però ben presto che la figura da riassemblare non può più essere quella di prima, siamo necessariamente chiamati a trovarne una nuova. Perché non si può uscire dallo specchio se si è la stessa persona che ci è entrata.
Scegli il nome
Chi, o cosa, è stato determinante, per te, in modo particolare per quanto riguarda la sottile differenza tra verità e menzogna nella vita adulta, per dare forma a “La verità che ci riguarda”, o per far compiere il percorso che ti ha portato a scrivere questo libro?
Un libro: l’edizione del 1979 delle Lettere a Milena di Franz Kafka edita da Oscar Mondadori che apparteneva a mio padre, e che io lessi prendendolo dalla sua libreria quando avevo sedici anni. L’epistolario racchiude le lettere che Franz Kafka scrisse a Mìlena Jesenskà, scrittrice, traduttrice e giornalista ceca, nell’arco di tre anni. A sedici anni questo libro fece la mia educazione sentimentale, dentro quelle lettere mi sembrava di aver trovato quanto di più bello l’amore avesse da offrire, sognavo di vivere un giorno una passione caratterizzata da quella forza, da quell’intensità.
Poi ho riletto questo libro pochi anni fa e ne sono rimasta altrettanto colpita, perché non riuscivo in alcun modo a ritrovare gli stessi sentimenti che quelle pagine mi avevano suscitato in precedenza. Mi sembrava che quelle lettere parlassero di tutto fuorché d’amore, e che le frasi che all’epoca avevo sottolineato e imparato a memoria ora stessero lì a simboleggiare tutto ciò che amore non è. Un esempio fra tutti, la famosissima: “Amore è il fatto che tu sei per me il coletto col quale frugo dentro me stesso.” Insomma, uno specchio si infranse.
Avevo già iniziato a scrivere La verità che ci riguarda e avevo chiamato la protagonista Mìlena, con l’accento sulla i, in omaggio a Mìlena Jesenskà (è questa, infatti, la corretta pronuncia del suo nome in ceco), ma presto mi sono accorta che i temi del romanzo e quello che mi era successo con la rilettura delle Lettere si parlavano.
Così, l’edizione del 1979 delle Lettere a Milena di Franz Kafka edita da Oscar Mondadori è diventato un vero e proprio protagonista de La verità che ci riguarda, in cui gioca un ruolo fondamentale.