di Matteo Maria Quintiliani
[Esce in questi giorni per Pequod Ritrarsi, raccolta d’esordio di Matteo Maria Quintiliani. Ne anticipiamo qui una scelta di testi].
Non mi muovo dalla casa
nemmeno oggi, non rispondo
al telefono, leggo, sobbalzo
dalla sedia, esisto in questa
inesistenza. Eppure tutto,
a guardar bene, ha la solita
conformazione tutto è segno
o presenza di un significato
che solo a me sfugge.
Tu, al contrario, occupando
le cose, ti sei alzata
dal nostro letto, ti sei vestita,
hai affrontato ogni gesto quotidiano
come parte di un meccanismo
già consolidato. Non hai incertezza,
prosegui oltre.
Il mio esilio me lo vivo tutt’al più così.
Passo molto tempo
in casa, trascorro ore vuote,
in così tanta grande solitudine;
penso, digrigno i denti,
ogni tanto scrivo qualcosa a matita
sul taccuino,
attraverso le ore che esteriormente
assomigliano alla noia.
Tuttavia è un’esperienza miracolosa
la solitudine: per questo schivo
ogni contagio, che il rischio è la superficialità,
per questo non rispondo nemmeno
al telefono, se qualcuno chiama,
raramente scendo in strada.
Non so più manipolarla
questa forma:
quando vorresti che il primo passante
ti fosse amico o confidente.
A quest’ora poi, si è pronti all’ennesimo
passaggio a vuoto,
all’ennesimo disequilibrio.
Piuttosto l’aria fredda aromata di legna
bruciata, e le molte lucette nel cimitero
di Katowice.
Punto al ragionamento a ritrarmi
da questa rivelazione
lessicale,
appoggiato a questo tavolo dove
non vivo che l’esperienza
dell’inerzia.
Cosa penseresti se non fossi
schivo, se allignassi
l’inganno della condivisione?
Capita di restare seduti al tavolino
del chiosco, sul lungomare Duilio,
sottolineare le pagine
di un libro, alzare, alle volte,
lo sguardo ad altri uomini, compagni
di un analogo straniamento,
togliere e mettere gli occhiali.
Tu, per caso, amico, la conosci la via?
Indicamela, per favore, anche fosse
più in là, oltre il pontile.
[Immagine: Mary Ellen Bartley, Summer Reading #11, 2019].