di Anna Maria Carpi
[Queste poesie sono inedite].
E NON POTER far altro
che coricarsi presto,
la coperta sul viso,
e godere col dorso
del fresco del lenzuolo.
Sul soffitto lampi
su dalla strada già semideserta.
Sono ignoti che passano.
Poche finestre accese nella casa di fronte.
Tutti già parcheggiati,
cari vicini, cari
vicini ignoti,
vicini senza fine.
*
MA CHI SONO, chi sono,
e chi mi ha mai inventata?
E sarei io quella
che dorme mangia e beve?
Mi sento in colpa.
Solo la colf esotica mi assolve,
e mai che mi guardi in faccia.
*
LUI DICE NO, non voglio,
non voglio uscire, in strada
potrei cadere. Io dico
se ti tengo io al braccio non temere.
Ma poi sono contenta che non voglia.
Anche per me è tutto una fatica.
Viene sera, c’è vento. E questa vita
che non è più per noi.
*
SMONTARE dalla giostra della vita:
io ogni volta rimando,
ma sì, al prossimo giro,
e quando l’altro strepita
dall’altra stanza
dove sei dove sei?
io rispondo son qui,
e lui un po’ si placa. Poi riparte
per le sue remote steppe cerebrali.
*
SEMPRE COSI’ sarà: il tuo uomo
non ti soccorre, dice gentilmente
non ti posso aiutare,
ed è vero, non può,
e aggiunge “mi dispiace”.
Quando quando uno sconosciuto
suonerà alla mia porta,
uno che dice: “Ora ci penso io.
Di cosa soffri, e cosa
vorresti essere?”
“Vorrei essere nata nel 2000
avere i genitori e dei fratelli
e nonni e zii e cugini e avere scritto
già un romanzo
che la critica chiama ‘eccezionale’.
Lo dicono di tutti, c’è da ridere,
ma che m’importa?
Gli altri, gli altri, e stare sempre insieme,
e basta con la voglia di morire.
*
LA VITA è propaganda elettorale
delle esauste elezioni in questo mondo,
ma ci crediamo,
perché vince sempre.
La fine è fuori della porta di casa,
l’hai udita ma tieni
la porta chiusa:
come pensare
che qui verranno altri,
ignoti, nati dopo, molto dopo?
E le nostre cose?
Che diranno i libri, per esempio,
delle mani che li buttano via?
*
E DI NUOVO ho voglia di morire.
L’altro non l’ha, riposa tutto il giorno,
si alza per mangiare, per spogliarsi
e vestirsi,
questo essere
che è stato un tempo un uomo.
[Immagine: John Folsom, Landscape Architecture #31, 2002].
Una condizione di solitudine assoluta. “Ma CHI SONO, chi sono,/e chi mi ha mai inventata?/
E sarei io quella/che dorme mangia e beve?”
“Dove sei? dove sei?/Io rispondo son qui”, ma “questo essere/che è stato un tempo un uomo” “riparte/per le sue remote steppe cerebrali.”
Gli altri per “stare sempre insieme” sono “vicini ignoti,/vicini senza fine”.
Nessuno sconosciuto suonerà per dire “Ora ci penso io./Di cosa soffri, e cosa/vorresti essere?”.
Trovo queste poesie piuttosto eccezionali. Eccezionalmente precise. Esatte come ce ne sono poche.
“Vicini senza fine”.
Grazie anch’io adesso sono uno di loro.
E’ solitudine è vero ma uno spiraglio.
Alessandro