di Ana Gorría
[Di recente pubblicazione per i tipi di Aguaplano, a cura di Beatrice Seligardi e Lorenzo Mari, il libro Nostalgia dell’azione (2016) di Ana Gorría, con le illustrazioni di Marta Azparren, si presenta come uno studio della filmografia di Maya Deren attraverso la poesia e le arti grafiche. Proponiamo un estratto dell’introduzione di Beatrice Seligardi e alcuni testi.]
Introduzione
di Beatrice Seligardi
È possibile leggere Nostalgia dell’azione di Ana Gorría in due modi, anzi, secondo due disposizioni temporali differenti. Può capitare – com’è accaduto a chi scrive – di aver incontrato i testi della poeta spagnola in seguito alla visione dei film di Maya Deren, proprio in virtù della curiosità che suscita un corpus testuale dichiaratamente ispirato alla filmografia della cineasta americana di origini ucraine madre del cinema d’avanguardia. Oppure, è possibile che si guardino i pochi e brevi film della fulminante e intensissima carriera della regista dopo aver letto i testi di Ana Gorría, lasciando che l’eco dei versi risuoni nel silenzio delle pellicole – si tratta, infatti, di film principalmente muti, o tutt’al più accompagnati da colonne sonore allusive, enigmatiche come lo sono le immagini in movimento. In qualunque situazione ci si trovi, si attiva una sorta di gioco di riconoscimento, un’indagine intima che cerca di ritrovare i fotogrammi nelle parole e le parole nelle inquadrature, ripercorrendo, nella propria esperienza di lettura, quello che dev’essere stato il percorso creativo di Gorría. Una traccia visibile di quest’unione fantasmatica risulta anche a livello visivo nel volume, dal momento che i componimenti sono intervallati da alcuni disegni di Marta Azparren, artista abituata a muoversi fra diversi linguaggi a livello sperimentale: la rielaborazione di alcune immagini tratte dai film di Deren, attraverso un tratto monocromo che fa uso talvolta di soluzioni tipografiche, si dispone a fianco o in compresenza ai testi, ma mai in maniera didascalica o meramente illustrativa. […] È innanzitutto riconoscibile una struttura “ritualistica”, parola fondamentale nel lessico dereniano, che contraddistingue l’intera raccolta: i componimenti, privi di titoli, sono infatti raggruppati in invisibili sezioni, ognuna riferibile a un film specifico, collegate fra loro da una coppia finale di terzine isolate, disposte su due pagine speculari, che sembrano rimandare, come anche altri testi interni alle sezioni, alla forma dell’haiku – forse un omaggio alla fascinazione di Deren per la cultura giapponese. La “composizione verticale” proposta dalla cineasta americana [nell’intervento alla conferenza newyorchese “Poetry and the Film: A Symposium” (1953)] sembra riprodursi nella disposizione visiva dei testi di Gorría, contraddistinti da parole spesso isolate, da collegamenti semantici ormai destrutturati, secondo un principio di flusso in cui spiccano l’assenza pressoché totale di punteggiatura e gli enjambement, quasi a richiamare quella metamorfosi continua di un’immagine nell’altra che è fondamentale per il montaggio filmico dereniano. Le numerose anafore, usate talvolta anche per contrasto, rimandano nuovamente alla dimensione ritualistica e rallentano la temporalità dell’immagine poetica, esaltandone la componente ritmica, esattamente come il freeze-frame, per Deren, serviva a sottolineare la plasticità del movimento. Chi dice io è insondabile, confondendosi costantemente con le figure fantasmatiche delle pellicole. Anche l’io poetico, come l’incarnazione di Maya Deren sullo schermo, si guarda moltiplicato eppure sempre estraneo a sé stesso, e noi che leggiamo siamo costretti a guardare al nostro modo di esperire la realtà con un senso di disarmante straniamento.
sembra che questo gesto sembra che sia pruno
sui rovi sono bruciate le parole un fiore
rompe il tempo
dal limite del cielo nasce una mano contro
sono quella che sono
l’ombra si disfa contro la propria ombra
sembra che questo gesto sembra che sia un giunco
che le cose sfumino contro il loro limite
il vento ci attraversa la musica non suona il pube
che ci fa rifiorire carne della fretta e della fuga
un coltello sembra che si innalzi
sono quella che sono
il gesto solleva il vuoto è
la spirale da me stessa a me stessa a me stessa
la chiave che appare e scompare il fiore la
lama del coltello
ti incammini
sono quella che sono
parece que este gesto parece que es espino
sobre la zarza ardieron las palabras una flor
rompe el tiempo
del límite del cielo nace una mano contra
soy la que soy
la sombra se deshace contro la propria sombra
parece que este gesto parece che es un junco
que las cosas se esfuman contra su proprio límite
el viento la recorre la música no suena el pubis
que nos vuelve a florecer carne de prisa y fuga
un cuchillo parece que se eleva
soy la que soy
el gesto alza el vacío es
la espiral de mí misma a mí misma a mí misma
la llave que aparece y desaparece la flore l
filo del cuchillo
andas
soy la que soy
*
divorate
il mio costato la vostra
presenza taglia la mia figura
la moltitudine
fino
alla notte interna degli occhi
si pianta
nell’evidenza intima del danno del peso
nei polmoni
dell’asfissia nella
parola assente
divorate
il mio costato schiacciate
l’animo che corre verso il nulla che si estende che nasconde
che piega
il suo mistero
che incontra il suo mistero
negli archi del tempo
negli archi del sonno
davanti alla moltitudine
una mi chiama
devoráis
mi costado vuestra
presencia corta mi figura
la multitud
hasta
la noche interna de los ojos
se clava
en la evidencia intima del daño del peso
en los pulmones
de la asfixia en la
palabra ausente
devoráis
mi costado
él animo que corre hacia la nada que se extiende que esconde
que pliega
su misterio
que encuentra su misterio
en los arcos del tiempo
en los arcos del sueño
frente a la multitud
una me llama
*
lascio
il fianco mentre cade a terra
lamina
di ciò che è rotto
voce
della gravità futuro
che si estende contro il futuro
lancio
la mano aperta contro il vuoto
presente
che si estende contro il presente
terramare terrasabbia terraria
terrariasabbia vuoto
ma niente
la treccia delle dita per raggiunger-
ti
mai
si dirada la verità come il limite
l’altro
strisciare
dunacquasabbia
dejo
el costando cayendo contra el suelo
lámina
de lo roto
voz
de la gravedad futuro
lanzo
la mano abierta contra el vacío
presente
que se extiende contra el presente
tierramar tierrarena tierraire
tierrairena vacío
pero nada
la trenza de los dedos por alcanzar
te
nunca
se difumina la verdad como el límite
el otro
reptar
dunaguarena
*
Ana Gorría. Nata a Barcellona nel 1979, è scrittrice e traduttrice. Oltre a Nostalgia de la acción (Saltadera, 2016), ha pubblicato vari libri di poesia, tra i quali Clepsidra (Plurabelle, 2004), Araña (El Gaviero, 2005, con l’artista visiva Pepa Cobo e il compositore Juan Gómez Espinosa), De lo real y su contrario (Vitolas del Anaïs, 2007), El presente desnudo (Cuadro de tiza, 2011), La soledad de las formas (Sol y sombra poesía, 2013) e l’antologia De la supervivencia. Poemas 2006-2016 (Marisma, 2018). Ha pubblicato anche l’antologia di interventi critici Transportes (reseñas 2007-2010) (Isla de Siltolá, 2014) ed è curatrice di Novas_17 poetas (Fundación Uxío Novoneyra, 2013), antologia di poesia in lingua gallega (dalla quale è traduttrice, così come dal catalano e dall’inglese).
Marta Azparren. Nata a Santa Cruz de Tenerife nel 1968, è artista visiva, attiva negli ambiti del cinema sperimentale, delle arti performative e del disegno. Laureata in Bellas Artes presso la Universidad Complutense di Madrid, ha conseguito il master in Estudios de Cine y Audiovisual Contemporáneo presso la Universitat Pompeu Fabra di Barcelona. Ha collaborato con vari artisti negli ambiti del cinema e della videoarte, come ad esempio Víctor Erice, José Luis Guerín, Ximena Cuevas e Fernando Llanos. Nel 2022 è stata borsista dell’Academia de España di Roma e nel 2023 ha pubblicato il saggio Cine ciego. Detener el flujo de las imágenes per la casa editrice Libros de la Resistencia.