di Lorenzo Renzi
Da tanti anni Ana Blandiana, instancabile viaggiatrice, viene in Italia, come gira altre contrade del mondo, e questo già dai tempi in cui il suo paese, la Romania, gemeva sotto la dittatura e si “usciva” difficilmente all’estero (dal diario di questi suoi viaggi la scrittrice ha tratto anche un bellissimo libro intitolato in italiano Il mondo sillaba per sillaba, tradotto da Mauro Barindi, 2012 dall’edizione originale romena del 2016.). A quei tempi Ana viaggiava con il marito inseparabile, scrittore anche lui, Romulus Rusan. Dormivano in poveri alberghetti, dove mangiavano la sera nella stanza qualche fetta del salame di Sibiu che ogni romeno in viaggio, invariabilmente senza un dollaro in tasca, portava con sé ben avvolto nella valigia.
Ora Romulus è morto, e Ana vive e viaggia da sola, intrepida come quando aveva vent’anni, e adesso ha passato l‘ottantina. Nella sua figura e nel viso rimane appena incrinata la bellezza di un tempo, prodigio che rinnova quello mitico della regina Ginevra che, secondo le leggende cortesi, a cento anni era ancora la donna più bella del suo regno. Quest’anno, al Salone del libro di Torino, Ana Blandiana ha presentato il suo ultimo libro di poesie tradotto in italiano da Bruno Mazzoni dall’edizione romena del 2018. Bruno Mazzoni è stato negli anni il più attivo tramite tra gli scrittori romeni contemporanei e l’editoria italiana (ma non l’unico, l’Italia ne conta una piccola schiera competente e agguerrita). Questo libro, dal titolo italiano Variazioni su un tema dato (Donzelli, Roma 2023) (Variaţiuni pe o temă dată, Humanitas, Bucarest 2018), è dedicato al marito, morto negli ultimi giorni del 2016, con il quale era sposata dal 1960. Prima di aprire questo libro, pensavo ai suoi possibili antecedenti, più rari, mi sembra, di quello che si crederebbe. MI veniva in mente Xenia di Montale (in Satura, 1971), che avevo letto con ammirazione e sorpresa appena era uscito, sbalordito dal suo nuovo stile, diventato trasparente e autoironico, leggero, da enigmatico e solenne come era prima. Ma, appena cominciato a leggerlo, mi sono accorto che la differenza non avrebbe potuto essere più grande. Ana Blandiana è stata in tutta la sua produzione una voce sommessa e sobria e al tempo stesso incisiva e forte, e così resta in questo libro, anche nel dialogo intimo che continua con il marito assente. Questa raccolta era destinata, ci dice l’autrice, non a essere pubblicata, ma a rimanere solo per sé stessa. Ma poi l’ha invece rivelata al pubblico. Il suo contenuto è peraltro carico di pudore. L’unione fisica e spirituale dei due sposi ragazzi, poi adulti, poi avviati alla vecchiaia, è nascosta ma anche rivelata da una voce che si assume continuamente anche il carico di quella del compagno. Il monologo incorpora un dialogo ininterrotto. Le due voci peraltro sembrano uguali, l’unione suggellava un quasi gemellaggio. Non manca qua e là qualche nota di deliziosa ironia. Così nella decima poesia a p.30 in cui ricorda i tempi dello spionaggio del regime, quando la polizia segreta attraverso le “cimici” (microspie) nascoste in punti segreti della casa registrava ogni conversazione (pratica ricostruita in dettaglio nel film tedesco La vita degli altri, Das Leben der Anderen, 2006, di Florian Henckel von Donnersmarck, uno dei pochi, credo, che abbia ricreato con scrupolo di verità quelle condizioni in cui milioni di uomini hanno vissuto per anni). Se fosse ancora così, i preposti all’ascolto sentirebbero la sua voce parlare a qualcuno che non risponde mai, e supporrebbero che in realtà, cosciente dell’ascolto, lo faccia a segni:
Dacă am avea ca pe vermuri microfoane prin casă , ascultătorii m-ar considera , cu siguranţă, nebună, in tinp ce m-ar ȋnregitra vorbind cu tine despre tot felul de lucruri, cerându-ţi părerea, povestindu-ţi ȋntȋmplări, spunându-ţi te iubesc, aşa, la prezent, şi noapte bună ȋnainte de a stinge lumina.
Sau dacă unii dintre ei ar fi noi ȋn post şi n-ar fi aflat că tu ai plecat, faptul că nu ȋmi răspunzi li s-ar părea suspect şi ar bănui că pauzele din conversaţie sunt ȋnlocuite prin semne pentru ca ei să nu poată ȋnţelege.
Se avessimo come una volta microfoni dentro casa, i preposti all’ascolto mi considerebbero, di sicuro, matta, registrandomi mentre parlo con te di ogni sorta di cose, chiedendoti il parere, raccontandoti fatti accaduti, dicendoti ti amo, così, al presente, e mezzanotte prima di spegnere la luce.
O, se alcuni di loro fossero dei novizi e non avessero saputo che te ne sei andato, il fatto che non mi rispondi gli parrebbe sospetto e supporrebbero che le pause della conversazione siano sostituite da segni affinché loro non possano capire.
Nella sequenza delle poesie non manca in questa raccolta, come nelle innumerevoli precedenti, qualche poema in verso libero, cioè in forma puramente e semplicemente di prosa, avendo eliminato non solo i versi, ma anche il loro ultimo residuo tipografico, l’andare a capo prima della fine della riga. È l’ormai lontana eredità dell’impronta che Rimbaud e altri poeti francesi e belgi, maledetti e no, hanno lasciato sulla lirica romena, e la poesia appena citata ne è un esempio, a cui se ne aggiungono altri 12 (alle pp. 32, 48, 64, 69, 75, 81, 85, 89, 103, 111, 115).
Ma non mancano quelli invece composti nella forma della metrica tradizionale, e questa è forse una novità più grande della precedente. Figlia della propria tradizione popolare, della metrica del neogreco, del tedesco e del francese, la metrica della poesia colta romena ha il triplo vincolo dell’isosillabismo, del ritmo (trocheo/ giambo) e della rima. Conosce la strofa come ritorno regolare di misure sillabiche e ritmiche e di rime. Si è scritto che la nuova poesia romena del secondo dopoguerra, la poesia del periodo comunista (anche se i suoi rappresentanti sono raramente comunisti) si era liberata di colpo di ogni eredità precedente. A dire la verità, penso che questa affermazione, così spesso ripetuta, dovrebbe essere messa in dubbio. La ripartenza da zero in poesia è un evento rarissimo, si tratta di scovare degli elementi di continuità che in qualche caso non sono evidenti. Per esempio, gli angeli di Ana Blandiana (, 2004) non saranno una riapparizione tarda degli angeli delle Elegie di Duino di Rilke, letti magari in traduzione? Ma è comunque un fatto che nei poeti del secondo dopoguerra la metrica tradizionale quasi scompare. Sono: Nichita Stănescu, Marin Sorescu, Ileana Mălăncioiu, Mircea Dinescu, Matei Vişniec, ecc. e la stessa Ana Blandiana [1].
Strumenti del fare poetico sono nella forma parallelismi, anafore, e nel contenuto metafore e altre figure di pensiero. Naturalmente ogni autore si serve di ognuna di queste in misura diversa, con diversi effetti. Molte le allegorie: l’intera poesia, una metafora, come ha scritto una volta il più famoso e amabile di tutti, Marin Sorescu[2], cioè un apologo.
Così come nella poesia italiana hanno mostrato una schiera di critici-metricologi (alludo a Pier Vincenzo Mengaldo, Gianluigi Beccaria, e molti altri); così anche nella poesia romena moderna si potrebbero trovare molte sezioni regolari più o meno bene nascoste sotto una veste grafica indifferente alla disposizione grafica tradizionale, tranne per l’a capo, spesso del resto arbitrario.
Ana Blandiana è tra i poeti che fanno un uso più discreto dei procedimenti appena ricordati, ma in compenso, fin dagli inizi, fa un certo posto alla rima, o addirittura ha delle poesie tutte in rima, e in strofe metricamente ben ordinate. Questa tendenza era già presente nella prima raccolta Persoana ântȋia plual (‘Prima persona plurale’, 1964), come si vede per es. in Copilărie:
Din oglindă mă privea un trup firav
Cu claviatura coastelor distinctă,
Inima-apăsa pe clape grav
Ş-incerca să apară ȋn oglindă.
N-am văzut-o niciodat , dar ştiam,
Ca-ntr-un joc de-a baba-oarba , că-i ascunsă
(Precum inima salcâmului din geam
Coşul pieptului de crengi o face frunză).
Mă-ntrebam de unde l-a-nvăţat şi dacă
E aievea cântu-i uniform,
şi ca nu cumva ȋn somn să tacă,
mi-era frică seara să adorm
(Copilărie da La cules ȋngeri (‘Infanzia’, da ‘A raccogliere angeli’)
Dallo specchio mi guardava un corpo gracile/ che lasciava vedere la tastiera delle costole,/ il cuore batteva grave sui tasti / e cercava di apparire nello specchio
Non l’ho mai visto, ma sapevo, / come giocando a mosca cieca, che è nascosto/ (proprio come il cuore dell’acacia alla finestra del torace fa un ramo).
Mi chiedevo come l’ha imparato e se/ veramente il suo canto è uniforme,/ O che invece non taccia nel sonno, / avevo paura la sera di addormentarmi.
dove lo schema metrico è: A B C A nelle prime due quartine, mentre la terza e ultima ha ABAB. La base è l’endecasillabo con qualche irregolarità, e in particolare gli ultimi versi sono ipometri. Il ritmo è prevalentemente trocaico, salvo ai vv. 7 e 11, in corrispondenza a pause semantiche più forti. e la ritroviamo ancora adesso nella raccolta Variazioni, dove, oltre ai casi in cui le rime sono più sporadiche, ci sono le poesie che hanno sistemi metrici regolari (a parte il ritmo che è sempre variabile), come nelle poesie alle pp. 28, 58, 104, 116, 120.
Ecco il secondo esempio, con la traduzione, senza rime ovviamente, di Bruno Mazzoni – ma per il lettore italiano non sarà difficile dare un’occhiate a quelle del romeno, che possiede una struttura sillabica simile all’italiano e una grafia trasparente:
Se clatină , clatină , clatină
Ca o apă ȋn vasul de platină
Al craniului aceleaşi cuvinte
Repetate mereu monoton
Până c â nd sensul fierbinte
Îngheaţă -n canon.
Şi orele, zilele, anii
Supuşi mai ȋntâi spovedaniei
Işi lasă sămânţa şi trec
Clătinându-se lent, obsesiv
În ritmul ştiut de eşec
Fără motiv.
Ondeggiano, ondeggiano, ondeggiano/ come acqua nella conca lucente/ del cranio le medesime parole/ sempre noiosamente ripetute/ fino a che il significato cocente/ si impietrisce in precetto. // E le ore, i giorni, gli anni/ soggetti dapprima alla confessione/ lasciano la propria semenza e scorrono/ ondeggiando in maniera lenta, ossessiva/ al ritmo conosciuto di uno scacco/ immotivato.
Metrica:
due strofe di sei versi a base novenaria indicati con lettera maiuscola)
breve l’ultimo verso di ogni strofa (quinari, lettera minuscola)
le rime sono disposte in modo regolare nella prima strofa:
A A B C B d
Un po’ meno, e in modo diverso, nella seconda:
E E’ E F G F g
Le rime sono piane, tranne C (vv. 4 e 6) e F G in posizione finale. D e D’ sono in rapporto di assonanza (anii: spovedaniei).
Il ritmo è variabile, ora trocaico, ora giambico.
Le altre poesie rimate sono tutte organizzate in strofe, ma qualche volta la misura lunga dei versi, del tipo dell’endecasillabo, non è del tutto regolare; versi lunghi (della misura dell’endecasillabo) alternano con versi brevi (settenari); abbiamo assonanza al posto della rima, o ritmo meno regolare. Ma più regolare di questa che abbiamo esaminato è per es. la metrica di E uşor să fii mort[3].
Queste deroghe sono molto comuni nelle riprese della metrica tradizionale dopo la sua crisi all’inizio del Novecento nelle varie lingue d’Europa. In Ana Blandiana alcune delle deroghe metriche citate si trovano per es. nella strofa riportata sopra Din oglindă mă privea, e sono presenti anche nelle altre poesie metriche di questa nuova raccolta.
*
Ho conosciuto Ana Blandiana nella sua veste di poetessa e di dissidente dal regime comunista negli anni Ottanta a Bucarest, e poi anche in occasione di alcuni suoi viaggi in Italia, prima e dopo la caduta del Comunismo. Ho conosciuto con lei anche Romulus. Sono stati assieme a Padova al Circolo Miron Costin, proiettando e commentando un film a lungo proibito dalla censura, Reconstituirea (film di Lucian Pintilie, 1968). Tramite tra noi era stata la lettrice esule Anca Bratu, scomparsa ancora giovane, che ricordo con commozione. Ho scritto la prima volta su Ana Blandiana recensendo il suo libro di racconti fantastici Proiecte de trecut (Progetti sul passato) nel 1989 sull’ “Indice” e anche in “Lupta”, giornale dei dissidenti romeni di Parigi, con cui ero in contatto. La mia è quindi, come si dice, una lunga fedeltà alla grande scrittrice. La paginetta che precede queste righe è forse l’ultimo omaggio che non voglio mancare di farle in un momento in cui attorno a lei e alla sua poesia si concentra, come su altri autori “dell’Est”, un’attenzione più forte del solito.
Note
[1] Marco Cugno, Antologia dei giovani poeti romeni degli anni sessanta e settanta. La lotta contro l’inerzia, un “Nuova rivista europea”, 21, V, 1981, pp. 93-145; , Marco Cugno, Marin Mincu, Nuovi poeti romeni, Vallecchi, Firenze 1988; Marco Cugno, La poesia romena del Novecento, Edizioni dell’Orso, Alessandria 1996;
[2] Citato in Renzi, Come leggere la poesia. Con esercitazioni sui poeti italiani del Novecento, Bologna, Il Mulino, 4.a ed. 1991, p. 151.
[3] E uşor să fii mort (p. 58), presenta tre quartine di settenari trocaici rimati a b a b (solo il v. 9 è giambico), con aggiunto un verso finale uguale al primo verso assoluto, che, considerando i tre puntini finali (. . .) allude forse alla ripetizione dell’intera prima quartina.
I versi dispari sono tronchi, i versi pari piani (rispettivamente rime maschili e rime femminili nella terminologia francese, a anche romena). I versi sono settenari, rimati in modo di costituire due strofe e una coda finale:
a b a b a b a b c d c d a
la rima a è tronca, la rima b piana (sono quindi rispettivamente maschili e femminili. Il ritmo è trocaico, regolare.