di Christian Genetelli

 

[E’ appena uscito per Carocci, nella nuova collana “Bussole” a cura di Uberto Motta e Niccolò Scaffai, Sereni: «Ancora sulla strada di Zenna», di Christian Genetelli. Ne pubblichiamo la Premessa].

 

Premessa – Perché questo testo, allora e oggi

 

Ancora sulla strada di Zenna è un componimento che si colloca nel cuore dell’esperienza poetica di Vittorio Sereni: per cronologia (la sua stesura risalendo agli anni della maturità, fine 1959-inizio 1960), per ambientazione (una strada a lui nota quasi ab origine, ma ora rivisitata), per appartenenza (essendo stampato nel suo libro irrinunciabile, Gli strumenti umani). È però anche un componimento iscritto in un periodo di rilancio e di svolta nella storia del poeta (e più in generale della poesia italiana), cui partecipa non solo sul piano formale, ma pure nel rapporto che disegna, ridisegna, con quel paesaggio luinese, con il paesaggio di sempre. Convivono così in questa poesia, in Ancora sulla strada di Zenna, costanti e variabili, o se si vuole ripetizione e movimento, per dichiarare subito due “universaliˮ sereniani, qui letteralmente messi in scena.

 

La rappresentatività della poesia è documentabile sia guardando all’attenzione che le è stata riservata dalla critica (è frequentemente, ad esempio, fra le antologizzate), sia, e soprattutto, guardando “internamenteˮ, ossia alla messa in evidenza che le procura l’autore: e qui basterà per ora anticipare come essa porti in dote il sintagma promosso a titolo dell’intero libro, «strumenti umani» («i minimi atti, i poveri / strumenti umani avvinti alla catena / della necessità […]»; Ancora sulla strada di Zenna, vv. 17-19), come del resto già era stato per il titolo del primo libro, Frontiera, grazie (in quest’altra circostanza) a Inverno a Luino («un fioco tumulto di lontane / locomotive verso la frontiera»; vv. 25-26) e a Strada di Zenna («[…] una nube di fumo / rimasta di qua dall’impeto / che poco fa spezzava la frontiera»; vv. 14-16).

La menzione di Strada di Zenna innesca subito un’altra considerazione: Ancora sulla strada di Zenna riesce a gettare ponti, tanti ponti, fin dal titolo ma non solo per il titolo, con altre poesie e con altri testi di Sereni. Da ciò l’esigenza, particolarmente avvertita in questo lavoro, di tracciare una mappa il più possibile pertinente, sensibile e accurata dell’intratestualità sereniana: muovendo, beninteso, dalla poesia fatta oggetto di studio nelle pagine che seguono, e sempre ad essa fedelmente e necessariamente tornando, dopo attraversamenti poetici e prosastici (creativi, autobiografici, critici, epistolari).

 

Dietro questa iniziativa, o insistenza, c’è l’idea che Sereni spesso si possa e si debba spiegare con Sereni: per inevitabili approssimazioni, dunque, ma guidati dalla consapevolezza, ferma, del dinamismo della sua posizione, della fluidità di certe sue formulazioni, intrinsecamente soggette ad aggiustamento, e delle sfumature di senso che ogni loro ripresa comporta (e non solo in presenza, con i celebri «ma», con i non meno sollecitati «anche», ecc.; ma, appunto, pure a distanza, da un testo all’altro, nel regno degli «ancora», detti o taciuti, espliciti o da snidare, fino all’ultimo, fino all’ultima poesia del suo ultimo libro, «passiamola questa soglia una volta di più»; Altro compleanno, v. 9, in Stella variabile). E allora, nuovo corollario, Ancora sulla strada di Zenna, riflettendosi per tanti aspetti e motivi in altri testi, permette di conoscere più ampiamente e più in profondità Sereni, la poesia di Sereni. Il componimento in esame rivela insomma e poi ribadisce un suo ruolo di pivot, che ammette o meglio sprona a uno sguardo lungo, mobile, avanti e indietro, dentro Gli strumenti umani e al di fuori di essi, non esclusa (come detto) la prosa.

 

L’impianto stesso dello studio favorisce in ogni modo diversi, complementari punti di vista e focalizzazioni sulla poesia, instancabili appostamenti: dall’inquadramento primariamente filologico (cfr. par. 1.1., «Genesi, datazione, tradizione»), alla descrizione del testo in sé (cfr. parr. 2.2-2.3, «Situazione della poesia», «Commento metrico e stilistico»), all’indagine dei suoi numerosi rapporti convergenti/differenziali con altri testi, nel caso di segnalata efficacia in chiave interpretativa (cfr. parr. 1.2-1.3, «La trama intra- e intertestuale», «Il macrotesto: il testo e il libro, il testo nel libro»). Sempre orientati verso l’orizzonte di Ancora sulla strada di Zenna sono infine pure i cerchi o le ricognizioni di raggio più grande, quelle che portano nell’area biografica (cfr. parr. 3.1-3-2, «La biografia»; «L’occasione, ovvero il momento specifico del testo») e in quella del contesto storico e letterario, incluse le reazioni dei lettori della poesia e del libro che la accoglie (cfr. parr. 4.1-4.2, «Il testo e la sua epoca»; «Ricezione»).

 

Anche i temi di Ancora sulla strada di Zenna contribuiscono, naturalmente, a situarla nel cuore dell’opera sereniana: il ritorno, ciò che muta e ciò che non muta, ripresentandosi identico, la ripetizione, la stasi e il moto, i morti. Pure a questo livello sono parlanti le ramificazioni plurime che si dipartono da Ancora sulla strada di Zenna. Sereni si conferma poeta dei ritorni (nelle loro varie e possibili declinazioni: memoriali, oniriche, stagionali, testuali, ecc.) e non tanto della lontananza. Sono i ritorni, con le loro constatazioni, a creare dolore, sorpresa, conoscenza, a preparare il terreno propizio alla poesia.

Si dà qui, nel nostro componimento, il riconoscimento, la scoperta della ripetizione dell’esistere anche nei luoghi che furono dell’idillio, con un occhio ora in effetti nuovo, che non può più essere solo individuale, soggettivo, ma che lungo lo stesso sviluppo del componimento si allarga e assume valenze più generali, più complessive e comprensive. Né mancano, in Ancora sulla strada di Zenna, i segni che consentono, in filigrana, di vedervi anche un discorso metapoetico (stavolta nel senso della storia della poesia dell’autore, del superamento di una sua fase e di un successivo periodo di crisi): ed è, quest’ultima, una dimensione che si affaccia a ritmo crescente nel poeta maturo.

 

Sereni è entrato per più di una ragione nella storia letteraria del Novecento italiano, ma nessun dubbio, né suo né nostro, sulla ragione prima della sua presenza e della sua centralità: la poesia, leale ma quanto esigente compagna per tutta una vita. Avvicinarsi a lui, induttivamente, grazie al contatto intensivo con un testo poetico sembra quindi un atto a suo modo in sintonia con una fedeltà assoluta (anche se non al riparo da tentazioni), nobile e non priva di rischi. D’altronde, è stato lui stesso, Sereni, a consegnare queste lucide parole-confessione a Franco Fortini (lettera del 25 ottobre 1962, in V. Sereni, Scritture private con Fortini e con Giudici, Edizioni Capannina, Bocca di Magra 1995, pp. 20-21), per l’occasione davvero spoglie di ogni reticenza:

 

Io sono attaccato a questa sola possibilità di esprimermi scrivendo i pochi versi che scrivo. Quello che io posso dare agli altri – salvo che a questo e a quello sul piano strettamente umano, confidenziale e privato – è tutto qui, è appeso a questa possibilità.

 

*

Ancora sulla strada di Zenna

 

Perché quelle piante turbate m’inteneriscono?

Forse perché ridicono che il verde si rinnova

a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia?

Ma non è questa volta un mio lamento

e non è primavera, è un’estate,

l’estate dei miei anni.

Sotto i miei occhi portata dalla corsa

la costa va formandosi immutata

da sempre e non la muta il mio rumore

né, più in fondo, quel repentino vento che la turba

e alla prossima svolta, forse, finirà.

E io potrò per ciò che muta disperarmi

portare attorno il capo bruciante di dolore…

ma l’opaca trafila delle cose

che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo,

la spola della teleferica nei boschi,

i minimi atti, i poveri

strumenti umani avvinti alla catena

della necessità, la lenza

buttata a vuoto nei secoli,

le scarse vite che all’occhio di chi torna

e trova che nulla nulla è veramente mutato

si ripetono identiche,

quelle agitate braccia che presto ricadranno,

quelle inutilmente fresche mani

che si tendono a me e il privilegio

del moto mi rinfacciano…

Dunque pietà per le turbate piante

evocate per poco nella spirale del vento

che presto da me arretreranno via via

salutando salutando.

Ed ecco già mutato il mio rumore

s’impunta un attimo e poi si sfrena

fuori da sonni enormi

e un altro paesaggio gira e passa.

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