di Franco Buffoni
[E’ appena andata in onda, su Rai 1, una miniserie dedicata a Goffredo Mameli. Franco Buffoni ci manda, in risposta, questa pagina dedicata a Mameli tratta dal suo Vite negate (FVE edizioni 2021). La pubblichiamo volentieri].
Nel 1850 Giuseppe Mazzini curò la prima edizione delle Poesie di Goffredo Mameli, morto l’anno precedente, dopo avere eroicamente difeso la Repubblica Romana. Goffredo era nato a Genova nel 1827, figlio di un’amica d’infanzia di Mazzini, Adelaide Zoagli, andata sposa a un ufficiale di marina. Il futuro autore dell’Inno nazionale respirò dunque sin dall’infanzia devozione e affetto nei confronti del laico maitre à penser dell’Italia unita.
Nel 1847 Goffredo già compone inni e poesie che circolano nella Genova dei patrioti, e finalmente il 18 aprile 1848, a Milano, Goffredo riesce a incontrare il suo idolo Giuseppe Mazzini, e da patriota a patriota può parlargli e abbracciarlo.
Il clima è quello effervescente delle Cinque Giornate, e sulle prime Goffredo è per Mazzini uno dei tanti “giovani e inesperti intelletti” da coltivare e istruire. Ma tra i due l’amicizia e l’affetto presto si trasformano in un sentimento più potente, che porta persino a una breve convivenza e non passa certo inosservato agli altri patrioti e sulle gazzette del tempo. Mazzini, va detto, era uno scapolo impenitente e di lui si enumerano svariate amicizie e relazioni con numerose signore.
Poi Milano cade, il generale Salasco firma l’armistizio, e Goffredo ritorna a Genova, dove diventa magna parsnell’associazione dei patrioti mazziniani, denominata Circolo Italiano. Su invito di Mazzini inizia anche a scrivere per “Il pensiero italiano”. E sempre su suggerimento di Mazzini compone Canto di guerra.
Ma gli eventi incalzano e dopo pochi mesi Goffredo è a Roma: sarà lui stesso, all’atto della proclamazione della Repubblica, a scrivere a Mazzini: “Roma. Repubblica, Venite!”
Il sogno però si infrange presto contro le cannonate dei francesi, e a Villa Corsini il 2 giugno 1849 la negazione per Goffredo viene da una baionetta francese che lo colpisce a una tibia. Portato all’Ospedale dei Pellegrini, dopo molte incertezze, quando ormai la cancrena dalla tibia si è troppo diffusa per poterlo salvare, l’arto viene amputato. Mazzini è al suo fianco quando il 6 luglio muore ventunenne tra atroci sofferenze.
Scriverà poi Mazzini: “Egli era come una melodia della giovinezza, come un presentimento di tempi che noi non vedremo, nei quali l’istinto del bene e del sacrifizio vivranno inconscii nell’anima umana e non saranno come la nostra virtù, frutto di lunghe battaglie durate. La sua aveva tutta quanta l’ingenua bellezza dell’innocenza”.
Harry Nelson Gay (1870-1932), cultore di storia del Risorgimento italiano e delle relazioni fra Italia e Stati Uniti, nonché generoso fondatore nel 1918 della Biblioteca del Centro Studi Americani di via Caetani a Roma, nell’edizione dell’opera di Goffredo Mameli che curò nel 1903, riporta nella prefazione quest’altro fondamentale ricordo di Mazzini su Mameli: “Lieto quasi sempre e di temperamento gioviale come per tranquilla e secura coscienza, e nondimeno velati sovente gli occhi d’una lieve mestizia, come se l’ombra dell’avvenire e della morte precoce si protendesse, ignota a lui stesso, sull’anima sua – tendente per natura di poeta a non so quale languore e delicatezza femminile di riposo, ma contrastato in quella tendenza da una irrequietezza fisica assai frequente, figlia di mobilità estrema di sensazioni e dell’eccitamento nervoso ch’ebbe gran parte nella sua morte – d’indole amorosamente arrendevole e beata di potere abbandonarsi a fiducia, pari a quella del fanciullo nella carezza materna, in qualcuno ch’egli amasse, pur fermissimo in tutto ciò che toccasse la fede abbracciata – tenero di fiori e profumi come una donna – bello e non curante della persona – tale io lo conobbi, la prima volta nel 1848 in Milano. Era impossibile vederlo e non amarlo. Giovine allora, egli accoppiava i due estremi sì rari a trovarsi uniti che Byron prediligeva, dolcezza quasi fanciullesca ed energia di leone da rivelarsi – e la rivelò – in circostanze supreme”.
Nella virile compostezza della scrittura mazziniana ritroviamo tutto il pudore del suo amore assoluto per il giovane e ardente Goffredo, fotografato nella più intima verità: la capacità di abbandonarsi – tenero di fiori e profumi come una donna – a qualcuno che egli amasse e che lo amasse. Perché era impossibile vedere e non amare Goffredo, sottolinea Mazzini, per la sua indole amorosamente arrendevole, pur se fermissima negli ideali patriotici.
Straordinaria anche la capacità intuitiva di Mazzini nei confronti di Byron. Mentre nell’Ottocento l’unica immagine che – per volere e necessità di sopravvivenza di Byron stesso – circolava del poeta-condottiero era quella del tombeur de femmes, Mazzini vede in Byron Goffredo e Goffredo in Byron, scolpendo di entrambi il tratto psicologico più intimo, irrequieto e arrendevole.
Si parla, alle volte, di cambiare l’inno nazionale,Si propone “ va pensiero…..”. Certo coro di bellezza eccezionale di Verdi. Ma sono del parere che il nostro inno, scritto dal giovanissimo patriota, debba rimanere tale. Ciò non toglie nulla alla stupenda emozione che ci colpisce il coro di Verdi.