di Mariano Bàino
[È da poco uscito un libro di racconti di Mariano Bàino, Di bistorte lune. Raccontini (Galaad Edizioni). Pubblichiamo per intero il secondo racconto della raccolta.]
Con un certo ritmo
Che cos’è lavoro, che cosa non è lavoro, per me è difficile dirlo, ma ho sempre lavorato, anche a dieci anni, se mi piace o non mi piace lavorare non so bene nemmeno questo, chi dice non serve a niente essere vivi se devi lavorare, chi dice così, e qualcuno lo dice, non lo so fino a che punto dice seriamente. Quando facevo il saldatore alla Breda, a Milano, operaio specializzato, turni di notte ma pagavano bene, mi sarebbe piaciuto avere il banco di lavoro all’aria aperta, ma a parte questo sogno qua io spesso quello che devo fare ce l’ho a cuore. Comunque a Milano sono scoppiato, a un certo punto il giro dei turni, l’alloggio economico e grigio, niente amici, solo lo sfogo della piscina, il nuoto, non ce l’ho fatta più, volevo resistere, come un ciucciariello, per mandare i soldi a casa di mia madre, ma il lavoro manuale, se non stai bene con la testa (sembra una battuta ma non è) non lo puoi fare, e quelli come me, nati come me, se non lavorano non mangiano. Scoppiato, fra medici e psicofarmaci. Il mio amico professore, amicizia nata a Napoli in piscina, compagno di pesca subacquea, uno che cerca di ridere anche del peggio, si è fatto Napoli-Milano per venire a trovarmi, allarmato da come mi aveva sentito a telefono, ha capito che me ne dovevo solo andare, quella vita non potevo farla più, anche colpa mia, del carattere, solo lavoro e piscina, anni e anni, a Milano niente amici, nessuna fidanzata, ma col professore mi sono confessato, manco come a un prete, e ho detto dell’altro sfogo, della mezza cotta per una prostituta, a volte non vuole i soldi, si fa un po’ baciare, bassina come me, sfigata come me, si chiama Esilda, anche il pensiero di sposarmela, come si fa? a criterio, come si fa? il professore se n’è uscito che ogni granchio ha la sua luna, può darsi che la tua luna si chiama Esilda, un po’ di coraggio, basta che poi ci metti una pietra sopra al suo passato, non lo ricordi a te e a lei ogni momento, ma tu appartieni a un altro mondo gli ho detto, hai un’altra testa, e pensavo a lui e alla sua casa, piena di libri, la musica, ma pure scombinato, che ti apre la porta una scarpa sì una scarpa no, e quando si è presentato per pescare dopo una nottata sveglio, con gli amici suoi a parlare e a fumare, anche quelle sigarette lì, e poi dormiva sull’acqua, nessuna capovolta per scendere, nessuna apnea, gli occhi abboffati dietro il vetro della maschera, ma non voleva darmi buca, questo sì, ci tiene alla parola data, ma tu una moglie presa dalla strada, prostituta, me la dici perché ti piacciono i romanzi, le cose campate in aria, tu sei diverso da me, comunque questo è passato, che poi ho lavorato al nero, pulizia della galleria Vittoria, Napoli, pulizia di tutta la parte superiore della galleria Vittoria, dove le pareti del soffitto assorbivano tutto il fumo, lo smog delle automobili. Molti problemi economici, ma l’esaurimento nervoso abbastanza superato, in mezzo alla famiglia di mia sorella, il marito, i miei nipoti e mia madre e un po’ di pesca, un po’di mare, quando possibile. La pulizia veniva fatta di notte, dalle 22 alle 5 del mattino, galleria chiusa al traffico, si passava al montaggio di due trabattelli, non so se capite questa parola, come due impalcature all’altezza del soffitto e il lavoro veniva eseguito con 4 persone che formavano due coppie. Una coppia, con l’aiuto di un trabattello, utilizzava un’idropulitrice che insaponava tutta la parete e il soffitto con un prodotto chimico, mentre la seconda coppia di operai, con il secondo trabattello e un’altra idropulitrice, lavava tutta la superficie della parete e del soffitto insaponato, come ho detto il lavoro veniva sospeso alle 5 del mattino in modo che alle 6 la galleria poteva essere riaperta al traffico. Due settimane questa esperienza di lavoro, che si doveva fare perché a Napoli doveva venire il Presidente americano e doveva trovare la città più pulita. Ho detto al professore che nel tunnel mi piaceva il fatto di non essere visto da nessuno, a parte gli altri operai, lui mi ha guardato strano dicendo non so se è una fuga nella paranoia o se sei un nuovo dissidente in questo mondo senza ombra. Qualche volta lavoravo e fischiavo, ma non l’ho mai detto al mio amico professore, per evitare qualche sua uscita a sorpresa, difficile da valutare, lo sapevo che per lui il lavoro salariato è come la schiavitù dell’epoca nostra, ma a volte gli dicevo che si deve lavorare e basta, senza ragionare troppo, se no la vita diventa insopportabile. In macchina, quando andavamo a pescare, macchina mia o macchina sua, la sua più vecchia e scarburata della mia, gli davo sempre gomma da masticare, per allenare i timpani, migliorare la compensazione sott’acqua, uguali a due cammelli, e a volte la gomma era per non farlo parlare, che poi non parlava sempre, ma stavamo zitti anche tanto tempo, però non avevo sempre voglia di seguirlo quando parlava ironicamente specie del lavoro, teneva proprio un rigetto, ci fu quasi un litigio un giorno perché da un romanzo mi raccontava che in Inghilterra condannando ai lavori forzati, una volta, appendevano il condannato sopra una ruota, ruota che girava con l’acqua, e il condannato per non rompersi le gambe doveva muoverle con un certo ritmo, ma non si capisce bene io dicevo, non te la ricordi bene questa cosa, e lui invece che diceva si capisce bene, comunque il fastidio massimo era il discorso sulla piramide sociale, non solo denaro ma anche chi ha più tempo libero, spiegava, e diceva anche il tempo obbligato, il tempo necessitato e compagnia bella, e pensava che non capivo la differenza fra questi tempi e ripartiva, da capo, io mi incazzavo, capivo troppo bene, per questo mi incazzavo, ma ora per il mio lavoro nuovo, da un anno a questa parte, mi è servito un furgone, con la mia auto ho provato, ma ho dovuto comprare il furgone da un panettiere che lo dava in vendita. Il lavoro consiste nel ritirare urine di donne in menopausa, ma sono parecchio anziane, il tutto progettato in un centro di raccolta vicino Napoli, il territorio viene suddiviso in zone e a ogni zona viene assegnata una persona, al mattino presto, alle 4,30, parto da casa con il furgone pieno di fiaschette di plastica di due litri con dentro un medicinale in polvere bianca, la quale serve a non far diventare acide le urine, bisogna ritirare le fiaschette piene e lasciare quelle vuote alle donne, completato il giro della zona, che dura circa 6 ore, si va al deposito dove vengono svuotate le fiaschette in un serbatoio, si misura il PH e il litraggio in base ai quali si viene pagati, al deposito si deve arrivare entro le due del pomeriggio perché viene un’autocisterna a caricare tutto e lo porta in una industria farmaceutica che si trova nella zona di Latina, una volta ritirate le fiaschette vuote si torna a casa. All’inizio nella zona dove lavoro le donne che donavano le urine erano poche, questo perché la zona per un periodo è stata abbandonata e la persona che ci lavorava prima se n’era andata via, ma con impegno e convincimento ho trovato nuove donne donatrici, a queste signore, una volta al mese, vengono loro regalate saponette, carta igienica e tante altre cose per la casa e per l’igiene personale, per ringraziarle della loro donazione. Con le urine si ricava un medicinale che può aiutare donne che non possono concepire figli, a queste nuove signore, sto parlando delle donatrici dell’urina, viene dato un imbuto e un vasetto da notte, in modo da recuperare le urine della notte e metterle nelle fiaschette di plastica, durante questi 12 mesi di lavoro tra me e queste persone si è instaurato un rapporto di amicizia, di confidenza, mi è capitato alcune volte che donne anziane mi hanno chiesto di giocare al lotto al posto loro perché abitano in zone isolate. Mi viene in mente un aneddoto, un sabato mattina, dopo ritirate le urine, una vecchietta mi ha chiesto un favore, di giocarle un ambo, e lo stesso ambo l’ho giocato anche io, il lunedì successivo le ho dato una buona notizia, cioè che avevamo vinto entrambi. Oramai sulla zona sono conosciuto da tutti, anche dai carabinieri, un mattino presto, mentre svolgevo il mio lavoro, mi sono accorto che un’auto mi inseguiva, quel mattino ero in consegna per i soliti regali da donare alle donne, per cui ho pensato che nell’auto c’erano dei malviventi e sovrastato dalla paura ho accelerato per seminarli, che poi quell’auto mi ha affiancato e mi hanno fatto segno di fermarmi e in quel momento mi sono reso conto di avere a che fare con i carabinieri, i quali sono scesi dall’auto e con i mitra mi hanno chiesto di aprire il furgone, alla vista delle fiaschette mi hanno chiesto che cosa erano e alla mia risposta sono rimasti sorpresi e mi hanno lasciato andare. E da quel giorno quando incrocio un posto di blocco fatto da loro, i carabinieri mi fanno gesto con la mano di proseguire avanti. I giorni successivi ho saputo che in quella zona c’è stata una rapina a casa di una vecchietta, che è stata trovata morta. Nelle festività quasi tutte queste donne mi hanno fatto dei doni, mi hanno regalato nocciole, mele, castagne e tante altre cose. Una di loro, per tutto l’anno, ha ripetuto che con il tempo ogni scarpa diventa scarpone, e certe di loro ci tengono molto al loro aspetto, ben pettinate, forse anche un po’ di fondotinta, non ne capisco di trucco ma insomma in ordine, magari qualche ciocca di capelli ribelle, un po’ scaltrona, certe di loro sorridono, anche con gli occhi, forse si guardano ancora allo specchio, altre lo capisci che si sono lasciate andare, che non gliene importa nulla, trascurate, forse un po’ sporche, spesso i denti devastati o mancanti, certe di loro mi sembrano come bambine, bambine una seconda volta, gli occhi brillano quando i doni passano nelle loro mani, e mi pare, forse mi sbaglio, che certe di loro non pensano proprio alla morte, altre, secondo me ci pensano. Qualche volta il citofono non risponde più, una porta non si apre, qualcuna se n’è andata, quando ho chiesto a un’amica, stesso palazzo, una volta la risposta è stata che è venuta la commare secca, alcune si trascinano nei loro giorni, non tutte ragionano bene, sono assai consumate, certe di loro sono attente, molto attente, sospettose, certe, lo capisci, sono state giovani piene di fuoco, e pensano al tempo che erano belle, sembrano ancora forti, orgogliose, sembra che hanno ancora le ossa di una gatta, certe di loro sono fredde, insensibili, fragili nel corpo e certe non solo nel corpo, certe di loro sembrano ingenue, altre maliziose, quasi tutte vedove, ma ognuna è diversa dalle altre, comunque non voglio dire cavolate sulle donne, anche vecchie, ne so poco, chi ne sa molto è il professore, comunque fra poco cambio un’altra volta lavoro, un parente lavora a Monfalcone, fanno le navi da crociera, cercano anche tappezzieri e io l’ho fatto il tappezziere, c’è lavoro per anni, l’ho detto anche alle vecchie signore, tutte dispiaciute, alcune hanno detto che non daranno più le urine, anche la signora che gestisce il centro è molto dispiaciuta, ha detto che ho fatto diventare la mia zona una zona importante, e il furgone lo vuole un ragazzo che deve vendere i detersivi. Ora sto tornando a casa, con il sole pallido di faccia, e mi sembra un sole pieno di urine, veramente, un po’ triste, però gentile, e non so se è la stanchezza o la luce confusa, se è un ricordo o una stroppola mia, ma dico che il mio amico professore sta lui adesso a Milano, diventato di ruolo nella scuola, anche diventato cliente di Esilda, che a volte non vuole i soldi, si fa un po’ baciare, e si è sposato con lei, perché poi ogni granchio ha la sua luna.
Molto bello!
Cosa è la vita? Mi permetto di scrivere in risposta una mia poesia scritta dopo gli 80 anni. Il racconto è molto significativo, ma vista l’età, il mio pensiero mi permetto di esprimerlo.
Partirò per non più tornare. Non sentirò ne vedrò cose amare. Ho lasciato il mio amato nulla; per provare cos’è la culla. Ho soddisfatto delle mie curiosità, ma forse era solo vanità. Sarò solo una scintilla dell’universo, ma tutto mi sarà terso. Partirò per non più tornare. Non sentirò né vedrò cose amare. Mi è stato dato un dono profetico; che mi permette di vedere negli umani quanto c’è di malefico. Ma è stato un dono o una o una maledizione? Il pro è il contro non è una mediazione. Ma la cosa non mi ha terrorizzato, lo sapevo da quando sono nato. Partirò senza più tornare. Ma ho provato le poche cose da amare. Ma per la mia amata terra il riscaldamento Sarà per gli umani un tragico evento?