di Laura Pugno



Tavola dei nomi e delle materie è un nuovo ciclo di interviste a scrittori e scrittrici, su un loro libro.
A ognuno di loro assegnerò una materia reale o immaginaria – sappiamo che è la stessa cosa –, visibile o invisibile, astratta o concreta, che il loro libro mi evoca, e chiederò di commentare questa scelta.
A ogni scrittore o scrittrice, poi, chiederò di scegliere un nome, alias di parlare di qualcuno, qualcosa, reale o immaginario – anche qui –: luogo o persona, soggetto umano animale vegetale minerale o all’incrocio di tutti questi mondi, del presente o del passato, o addirittura del futuro, che fa parte della materia del libro o che è stato determinante nell’innescare o nel far compiere il processo creativo che ha portato al libro stesso.

 

Ecco la tua materia

 

Maria Gaia Belli, ne “La Dorsale”, volumi I II e III (effequ), la tua materia è il fantastico quotidiano. Come hai imbricato le vicende di ogni giorno nella costruzione del mondo dell’opera (in effetti opera-mondo) dando loro, contro la tradizione del fantasy, pari se non superiore importanza rispetto ai momenti estremi o di picco, scegliendo la durata come cifra dell’esperienza di lettura?

 

Dorsale parla moltissimo di quotidianità: persone che studiano, che lavorano, che puliscono casa, che vanno a prendere i figli a scuola, che leggono libri, che portano fuori il cane. La cosa più importante di questa narrazione, per me, è sempre stata quella di far percepire il mondo e le persone come li percepisco io, cioè reali. Come tutte le persone vere, quelle che ho scelto di raccontare – Kamy, Key, Luk, Leila e Sher – fanno di tutto per sopravvivere. In alcuni momenti sopravvivenza può voler dire combattere, rubare, correre, arrampicarsi, sapere dove trovare risorse; ma anche capire a chi chiedere un favore, saper usare le parole giuste. In altri momenti può voler dire riposare, scegliere una compagnia invece di un’altra, scegliere un lavoro invece che un altro. C’è poi un momento in cui sopravvivenza vuol dire solo andare in guerra e tornarne vivi.

 

Ciò che in Dorsale differisce di più dal mondo in cui viviamo sono gli spazi selvatici, la loro enormità e il loro peso nella geopolitica dei territori, e il fatto che questi spazi siano abitati da una risorsa naturale ampiamente sfruttata nella società, cioè i draghi. Draghi molto diversi dalle tradizionali bestie mitologiche, più vicini ai nostri comuni animali – ce ne sono infatti di differenti specie e razze, di addomesticabili e allevabili, ce ne sono di selvatici, di velenosi, marini e terricoli, erbivori e onnivori e carnivori, ecc. Le persone che vivono in questo mondo devono necessariamente interfacciarsi con i draghi, perché sono una parte inevitabile della società e dell’ambiente. Alcuni di loro vivono grazie ai draghi, altri li guardano solo da lontano perché soffrono il mal d’aria.

Dunque non è capitato che io decidessi di inserire la quotidianità nella storia, ma che la quotidianità stessa fosse la storia. Ho scelto di seguire quattro vite (cinque, a partire dal terzo libro) le cui giornate a volte sono eccezionali, altre volte somigliano per necessità alle nostre. Nella mia percezione giornate eccezionali – i cosiddetti turning point romanzeschi – e giornate normali hanno la stessa importanza per tracciare il profilo e la storia di una persona, perché è la loro compresenza, narrata attraverso punti di vista scelti, che ci permette di vedere queste persone e il loro mondo come reali.

 

 

Scegli il nome

 

Chi, o cosa, è stato determinante, per te, per poter vivere con i protagonisti e le protagoniste che ne “La Dorsale” accompagniamo per anni, e per riuscire a portare a termine la scrittura della tua trilogia?

 

La scrittura di Dorsale ha richiesto molti anni, in cui sono trascorse diverse fasi della mia vita. Disegnavo Kam e parlavo con lei da bambina, scrivevo a scuola e all’università pezzi che sono diventati capitoli dei libri, e ora che il lavoro di pubblicazione è terminato ho un figlio e diversi capelli bianchi. Quindi la risposta, potenzialmente, è: tutte le narrazioni che mi hanno colpita da quando ero bambina a oggi, perché hanno contribuito a costruire una visione del mondo che riverso in Dorsale – senza ormai esserne più davvero consapevole.

 

Seleziono due nomi su tutto, che sono stati le spinte più forti per la scrittura: i videogiochi e gli animali. I videogiochi perché ho sempre amato i giochi-mondo, giochi di esplorazione che mi facevano sentire la meraviglia della scoperta dello sconosciuto – ancora oggi, se messa davanti alla semplicissima grafica pixel in bianco e nero della città di partenza di Pokémon Giallo, posso sentire l’odore dell’erba alta oltre il sentiero e l’eccitazione del chiedermi cosa avrei trovato oltre. Durante l’adolescenza credo di aver passato più ore dentro i mondi di Final Fantasy che in quello reale, e non rimpiango neanche un minuto, perché erano mondi bellissimi e terribili, con ecosistemi certosini, e relazioni emotivamente realistiche. Questi percorsi mi hanno dato strumenti fondamentali per la narrazione: notare un paio di scarpe in una stanza a volte è più importante del vincere contro i mostri, per andare avanti nella storia, così ho imparato che spesso la storia è più nei dettagli che negli sconvolgimenti.

 

Riguardo agli animali, sono l’altro mondo più vicino al mio, e di cui cerco da sempre di comprendere i diversi punti di vista. Questo mi ha portata a leggere tanto di etologia, la scienza dell’osservazione di altri mondi per eccellenza (insieme a poche altre come la botanica e la micologia). Pensavo che questo si rispecchiasse solo nella scrittura dei miei poveri draghi da soma, ma più leggo storie di lupi, di cetacei, di corvi o di formiche, più ci ritrovo dentro anche i miei personaggi. Credo quindi che osservare l’altro più vicino a te sia la più banale forma di autoriflessione, e credo anche che valga altrettanto per il fantastico.

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