di Andrea Franzoni

 

[E’ uscito da poco per AnimaMundi edizioni Nature vuote, libro d’esordio di Andrea Franzoni (con una nota di Antonella Anedda), nella collana “cantus firmus” a cura di Franca Mancinelli e Rossana Abis. Proponiamo una scelta di testi].

 

 

Un linguaggio e un pensiero che, partendo dalla consapevolezza della perdita, sceglie di esporre solo gli oggetti necessari in uno spazio di sopravvivenza ma anche di nuova costruzione, accettando il paradosso di essere per non cadere nell’arroganza del non voler essere.

(dalla nota di Antonella Anedda)

 

 

e sul monte, nulla:

era una storia anche quella.

 

Rimase a guardare.

 

Dalla base della nuca, il cardo

cominciava a fiorire.

 

L’infanzia era questo:

rovesciare la voce

 

imparare a dormire.

 

*

 

Decide un piccolo incendio del sangue,

il poco del fiore malva d’inverno,

l’amore fatto e l’amore

che stiamo per fare.

 

Adesso è tempo che l’incendio circoli,

nel reale come nel corpo che chiamiamo

tempo.

 

Tempo è

aspettare. E vedere ciò che si è fatto

come il segno, trasparente,

di ciò che è rimasto fermo,

di ciò che non si è potuto fare.

 

*

 

 

C’è più luce nel vaso

quando il vaso si spezza.

 

Ma c’è più luce ancora

quando il vaso non c’è.

 

*

 

 

Vista dalla fragilità

la storia del cielo in un ramo

secco, a terra

la storia della terra

quando ce ne andiamo

togliamo il peso della nostra presenza

e scende un uccello

e prende il ramo.

 

*

 

Finire il passato.

 

Tenere la lingua ferma finché sopra

ci cresca l’erba.

 

Come un lago intorno a un lago.

Il confine, il significato.

 

*

 

Conosco la sequenza dei draghi

ma non la accetto: ciuffi di rami infuocati

danzano, con la lentezza del desiderio.

C’è chi conosce l’arte della soddisfazione.

Prodotta dalla torre, io, vivo dall’altra parte.

Non sempre la vita è la cosa più importante.

 

*

 

 

Ho buttato un fiore nell’immondizia.

L’amore è la durata dell’amore?

L’immondizia si è innamorata del fiore.

 

*

 

Solo un secondo

come se il tempo fosse

continuamente sull’orlo di qualcosa

e quel qualcosa sei tu

in questo secondo.

 

*

 

da Figura promessa

 

Sbranarti di fedeltà

Muto

Nel nome della parola.

 

*Atteone e il cervo, Ovidio

 

*

 

Nell’eco della specie,

come calci cresciuti in grembo,

le stelle assistono alle tue persone:

quella del mattino, quella delle cene,

quella del canto taciturno sulle spalle degli altri,

quando vedi meglio le testimonianze dei rami,

il divieto azzurrino di aggrapparsi al cielo.

 

La mano sul mento, un giorno di pioggia,

tu principessa delle persiane, muovi la distanza

in cui avviene il contagio del tempo.

Coltiviamo malattie a nostra immagine. Ma sul

cammino riflesso, fuori luogo, fuori spazio,

tu bambina della vasca, stai lì a pettinarti.

 

Insaponarti la faccia. Fissarti gli occhi.

Sapere che te ne vai, mentre si ripetono le

tue gambe, mentre si ripetono le tue gambe,

sapere che te ne vai.

 

*Franny and Zooey¸Salinger

 

*

 

Delicatamente annienta

la sua figura promessa.

 

Lo fa chinandosi, ogni giorno,

chiedendo scusa, pulendo

lo specchio d’altri.

 

Nessuno lo cerca,

è la sua bellezza.

 

Ma dove c’è sporcizia

lui va, chiede il permesso

e lava.

 

Quando lo specchio è pulito

torna a casa, e lava lo straccio

con cui pulirà domani.

 

Lo stende, lo guarda, e

si addormenta.

 

* L’assistente, Walser.

 

*

 

Cerco uno schema, una coincidenza di numeri,

una salvezza piccola, smarrita. Vago nelle parole

che mi rimangono in mente sempre più dense,

sempre di meno, sempre più in silenzio.

.

La gravità mi incurva, mi abbassa lo sguardo.

È l’ultima fase della vita: dopo essere saliti,

dopo essere scesi dalla montagna, bisogna

entrarle dentro: diventare sasso.

 

Solitario lungo la spiaggia mi fermo, mi chino,

raccolgo una pietra, la metto in tasca.

La grande sapienza delle cause formali.

La scienza dello stupore. Essere distratto.

 

Sembra quasi che non ci sia altro modo per ricordare

chi è scomparso: dimenticarsi di lui, di noi, e lasciare

che il ricordo vaghi e stanco, trovi un luogo, un modo,

un corpo in cui fermarsi.

 

Lo incontriamo. E chissà se lui si ricorda di noi.

E chissà se noi ci ricordiamo di lui.

 

Quante volte, attratti da un ciottolo sulla riva,

l’abbiamo preso e poi lanciato in mare, o rubato e poi

dimenticato sulla libreria.

 

Sì, forse ricordiamo davvero solo quando dimentichiamo,

e il ricordo ci sorprende come fa ogni perdita: aspettandoci.

 

* I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rilke

 

*

 

Stiamo sulla collina

come stiamo dentro: seduti,

di fronte al tramonto freddo,

i petardi dei bambini,

i cani dei grandi. Ci chiediamo

generosamente il senso, di tanta

fatica, perché facciamo tanto,

se poi non siamo niente.

La domanda passa. Il sole scende.

Ce ne andiamo. C’è una luna

magnifica. Non si sa se fuori

o dentro.

 

*Veduta¸Holderlin

 

 

[Immagine: Christopher Anderson, Untitled #42017-2018].

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *