di Giulia Bassi, Andrea Bongiorno, Stefano Bottero, Mattia Caponi e Stefano Milonia

 

[È appena uscito il numero monografico Nulla è ancora profondo. Studi sull’opera di Antonella Anedda di «Polisemie. Rivista di poesia iper-contemporanea», IV (2023), a cura di Giulia Bassi, Andrea Bongiorno, Stefano Bottero, Mattia Caponi e Stefano Milonia. Il numero si può leggere qui: https://polisemie.warwick.ac.uk/index.php/polisemie/issue/view/85

Pubblichiamo l’introduzione dei curatori.]

 

Nel frangente della poesia italiana contemporanea, la centralità del profilo poetico e letterario di Antonella Anedda appare oggi attestarsi su diversi livelli: quello critico, relativo al dibattito specialistico e degli ‘addetti ai lavori’ per cui i suoi versi costituiscono una sempre viva occasione di discussione; quello editoriale, in virtù della sua solida presenza in quelle collane che dal secondo dopoguerra ad oggi si sono attestate come le più rappresentative della poesia italiana; quello intergenerazionale, costituendosi come una figura di riferimento trasversale per poeti e poete.

Al suo esordio «tardivo», avvenuto nel 1992 con Residenze invernali, un’attenta operazione di ricerca di Carmelo Princiotta antepone una «preistoria di narratrice, legata al romanzo inedito Voci d’inverno».[1] Il dato è problematizzato dal critico come parte di un «curriculum irregolare» – il cui riflesso, a distanza di anni, torna osservabile in prose come La vita dei dettagli e Geografie. Una divergenza, quella di Anedda, in questo senso accomunabile al Milo De Angelis di Poesia e destino, al Roberto Carifi de La piaga del nulla o alla Giovanna Sicari de La legge e l’estasi – vale a dire: a momenti di sconfinamento, in cui voci attestate presso il (famigerato) pubblico della poesia, hanno adottato la ratio della trattazione ibrida, a metà strada tra il discorso critico e quello, ancora, poetico. L’assunzione di queste forme, da parte di Anedda, apre una delle tante finestre possibili sulle ragioni per cui la sua poesia ha assunto nel contesto contemporaneo una posizione centrale che, come rileva Maddalena Bergamin, «si configura sul solco dell’indecidibilità tra interno ed esterno».[2] L’addensarsi della sua parola in uno spazio di confine, in cui si esprime una memoria celaniana,[3] costituisce così uno dei motivi per cui, nella sua opera, trovano posto i nodi tematici a cui la contemporaneità poetica si rivolge con maggiore interesse: quelli dell’abitare, della percezione di sé o dell’altro (antropologica o animale), dei distanziamenti, degli orizzonti paesaggistici e corporali, dell’esistenza intesa, irrimediabilmente, come tragedia.

 

Utilizzando un lemma caro alla critica contemporanea, si potrebbe affermare che, a partire da questi presupposti di centralità interdiscorsiva, la sua opera costituisca oggi un termine estremamente felice nel tracciare una mappatura dei rapporti e delle parentele poetiche – in senso, forse, più attivo che passivo. È infatti ad Anedda che molti giovani autori guardano, nel contemporaneo, come alla figura per eccellenza tra quelle della generazione dei “padri” e delle “madri”. Dunque, come a una voce da cui apprendere – con cui condividere un tempo. Un esempio chiaro a questo proposito – uno dei tanti – è offerto dall’ultimo Quaderno di poesia contemporanea di Marcos y Marcos,[4] storica finestra di osservazione sull’avanzamento dei lavori e del dibattito della poesia di lingua italiana. Nella sedicesima uscita della serie, pubblicata nello scorso agosto, la selezione dei testi poetici mostra il ritratto di una generazione attenta alla lezione aneddiana in senso linguistico, formale, filosofico-estetico. In questo orizzonte trovano quindi posto una serie di coincidenze ispirative: la centralità dell’orizzonte naturale, a tratti spiritualizzato e a tratti svuotato di significato; l’alterità linguistica e l’integrazione di materiali verbali non solo afferenti, ma appartenenti, a codici altri; il posizionamento della propria vicenda biografica (osservata dal punto focale sfrangiato della molteplicità soggettiva) in una cornice storica e collettiva; la concezione dell’atto compositivo come momento sincretico di istante al contempo private, interiori ed emotive, e morali.

 

Una simile mappatura riguarderebbe da vicino non solo le ultime generazioni, ma interesserebbe, in senso cospicuo, il discorso poetico collettivo. Si pensi, ad esempio, alla fondatività del modello aneddiano per opere poetiche come quella di Franca Mancinelli (altra protagonista della contemporaneità poetica italiana), dove l’adozione di uno sguardo trans-soggettivo appare associata a una fenomenologia di rapporti minimi con l’alterità, in cui convergono e coesistono le ragioni della ritualità antropica, dell’ispirazione spiritualizzante, della «realizzazione del sé fra le costrizioni e la quotidianità».[5] Ancora, si pensi al debito nei confronti di Anedda da parte di poeti come Vito Bonito (che addirittura dichiara l’importanza di tale rapporto, al termine del suo La vita inferiore) nell’adozione di una prospettiva tesa, come osservato da Caterina Verbaro, al «ridurre i corpi a oggetti», scomponendoli secondo un’ispirazione «allucinatoria»,[6] fino all’estremo linguistico ed estetico dei minimi termini.

 

Dedicare uno studio al caso letterario e poetico di Anedda, assume così i tratti di un’operazione significativa per approfondire non solo le questioni strettamente relative alla sua opera, ma anche per osservare le declinazioni di alcuni motivi fondanti del dibattito odierno, osservati alla luce delle istanze di una voce che appare tra le più importanti della poesia italiana contemporanea. L’intento che anima questo numero monografico è dunque orientato da diversi obiettivi: ad un primo livello, quella di offrire un contributo critico che possa costituire un punto di riferimento negli studi sull’autrice, a ridosso della pubblicazione del volume comprendente la sua opera poetica generale;[7] ad un secondo, di raccogliere spunti plurali e orientati da approcci epistemologici diversi, nei confronti di questioni non solo testuali, ma compositive e poietiche, relative alla prassi creativa dell’autrice; ad un terzo livello, di proporre un approfondimento riferito a nodi tematici centrali per la contemporaneità letteraria italiana, come quelli menzionati fino a qui.

 

«Nulla è compiuto nulla è ancora profondo»: il verso scelto come titolo, tratto da uno snodo centrale del XIV movimento della prima sezione di Notti di pace occidentale,[8] colpisce e interroga i lettori. Quel «nulla», di fortiniana memoria,[9] geminato e martellato scandendo il verso in due emistichi, a quale vacuità allude? E se non fosse un leopardiano néant, ma al contrario un vuoto da riempire, un margine di resistenza in cui è ancora possibile, paradossalmente, esistere? Quel «nulla» sembra spalancare, in effetti, uno spazio residuale in cui il tutto sfugge alla compiutezza, all’inabissarsi profondo e irreversibile. D’altronde, profondo, e non per forza in senso tragico, è il reale osservato e rappresentato dalla poesia di Anedda. Una profondità, a nostro avviso, da intendersi allo stesso tempo in senso spaziale e temporale. La «sedimentazione», del resto parola chiave delle Geografie dell’autrice, descrive proprio questo costituirsi dello spazio e del tempo per stratificazioni successive.[10] Nella poetica aneddiana, la profondità coincide con il dischiudersi dello spazio e del tempo, di cui osservare le falde sedimentate, intersecate, attraversandole e restituendone la voce. L’articolazione del numero in due sezioni, Geografie, territori, ambienti e Storie, tradizioni, voci, nasce proprio da questa duplice valenza della profondità, spaziale e temporale. In effetti, se «nulla è compiuto», non è forse la scrittura uno di quegli spazi residuali dove attuare, se non creare, un margine di azione?

 

Di una profondità di tipo spaziale è emblematica l’opera Geografie, la cui prosa iniziale, Considera, ambienta immediatamente il lettore in uno spazio siderale e in un tempo cosmico, al di là del cronotopo umano: «(Considera i pianeti, specchi del sole e le costellazioni.) Il tempo si consuma, lo spazio meno. Lo spazio si rinnova e non è vero che è vuoto».[11] L’opera, come è evidente dal titolo (congiunto e complementare a Historiae), si concentra sulla dimensione spaziale, indagata attraverso le superfici: dalle mappe geografiche alle tele dei quadri, la superficialità è sia una modalità di percezione che diventa stile («Il grande piacere che deriva dalla lettura delle descrizioni geografiche sta nel loro linguaggio oggettivo e privo di pathos, la precisione scontata, vengono disattivati tutti quei dispositivi emotivi che ci farebbero allontanare appunto dalla soddisfazione dello sguardo. L’informazione si traduce immediatamente in esperienza», come scrive l’autrice);[12] sia una modalità di entrare in relazione con un tempo e uno spazio stratificati, che se da un lato includono l’azione umana, dall’altro contemplano una dimensione temporale, come si è detto, cosmica e geologica infinita (Leopardi, come si vedrà, è uno degli autori di riferimento). In tale accezione di profondità, la presenza umana è marginale o del tutto esclusa: Geografie, infatti, presenta il punto di vista di qualcuno che si deindividualizza il più possibile per osservare e descrivere.

 

È in quest’ultimo aspetto che la poesia di Anedda può essere letta, come viene proposto nei saggi della sezione Geografie, territori, ambienti in relazione a discipline come la geografia, la scienza e l’ecologia. In questa dinamica, il testo diventa una struttura di connessioni, un ambiente in cui l’essere umano, in quanto specie tra le altre, è solo una parte, ed è principalmente osservatore. La riflessione sulla percezione dello spazio coincide infatti con una postura anti-antropocentrica, che si concretizza almeno in due elementi. Il primo – e principale – riguarda appunto la desoggettivazione, o deindividuazione dell’io, il pensarsi come una tra le specie, o addirittura come un’altra specie (così in Tiktaalik. Scavando fossili. Trovando sé stessi: «Basta pensarsi come un pesce andando indietro fino all’acqua da cui siamo usciti e la morte smette di preoccupare»).[13] Il rapporto tra poesia e spazialità comprende dunque una dimensione ecologica nel senso di intendere il testo come ambiente e sistema di relazioni tra soggetti umani e non:[14] le geografie descritte sono anche ‘altre’ rispetto a quelle umane. In tal senso, la poesia entra in relazione con una linea di ricerca letterario-scientifica che trova i suoi modelli in Erasmus e Charles Darwin e in Leopardi, e che percorre tutto il Novecento. Su questo punto, inoltre, Geografie interagisce profondamente con altre opere, da Historiae (2018) al dialogo con Elisa Biagini Poesia come ossigeno (2021), al saggio Le piante di Darwin e i topi di Leopardi (2022).

 

L’analisi della dimensione spaziale consente quindi di mettere in luce e definire alcuni elementi centrali della poetica aneddiana, come la stratificazione temporale e l’anti-antropocentrismo; le modalità scientifiche di percezione; l’idea di testo come ambiente e la conseguente diffrazione dello sguardo; l’ibridazione delle forme e dei generi su cui di modella la sua scrittura, che sconfina tra poesia e prosa.

Dall’altro lato, lo studio della temporalità mostra il campo di azione della parola per entrare in relazione con il tempo profondo, stratificato, compiuto o da compiersi. La Storia, in primo luogo, come suggerito dall’icastico titolo Historiae del 2018. Nella Storia, la parola poetica cerca, come spazio residuale, la soglia, il varco bifronte che costituisce un punto di vista alternativo dove l’io può porsi e resistere. L’adozione di questa peculiare prospettiva sul presente e sul passato permette di prendere coscienza della fragilità umana, di comprenderla, ma allo stesso tempo, di imparare a prendersi cura di questa soglia, della memoria delle voci che l’hanno fatta vibrare e che ora la sedimentano. In tal senso, la dimensione temporale apre anche a una riflessione sul tragico nella Storia e nell’esistenza individuale. Ogni fenomeno è osservato nel suo svolgersi inevitabile, tanto nell’attimo quanto nella durata. Eppure, ancora una volta, la parola poetica, che osserva l’irreparabile dalla propria condizione vulnerabile e impermanente, uno stato condiviso con tutto ciò che circonda l’io, può fessurare il muro del destino irrimediabile attraverso la propria voce, proprio perché frutto di una condizione universale.

 

È con tali concetti, infine, che interagisce l’idea di tradizione, centrale nella sezione Storie, tradizioni, voci. Che sia la poesia italiana, straniera, con i temi e le forme che più le stanno a cuore, che sia la lingua italiana o la limba sarda, la scrittura aneddiana si pone in ascolto delle voci delle tradizioni, per creare a sua volta un proprio percorso, una propria tradizione, da condividere con i lettori. Sarebbe riduttivo non includere anche la voce, per così dire, degli oggetti che popolano la poesia di Anedda, (in)ascoltati dal soggetto nel proprio spazio intimo e domestico.[15] Anche altre forme di parola dialogano con la poesia, cardine d’altronde ben noto della poetica dell’autrice, e permettono di disinnescare i significati dello spazio domestico nonché di crearne altri, più abitabili. Ancora un margine in cui «nulla è compiuto», la cui profondità può essere esplorata, orizzontalmente e verticalmente, per rivelare nuove storie e nuove voci da ascoltare.

 

I saggi che si trovano in questo numero di «Polisemie» approfondiscono tali questioni, e sono introdotti dal dialogo leopardiano tra l’autrice e Riccardo Donati (Il muoversi sorprendente del reale: In dialogo su Leopardi) che prosegue la riflessione de Le piante di Darwin e i topi di Leopardi.

La sezione Geografie, territori, ambienti prende avvio con il contributo di Giancarlo Alfano (Geografie. La scrittura come esercizio), che tematizza proprio il legame che il volume aneddiano scopre tra soggetto e mondo, il primo «riverbero» e continuità del secondo, nella linea Darwin-Leopardi.

Una linea che prosegue con Caterina Verbaro (Il sangue e il corallo. La scrittura ecologica di Antonella Anedda) che esamina i procedimenti compositivi ed enunciativi di Anedda, come risultano dal processo di desoggettivizzazione che si rafforza nell’ambiente testuale. Per poi problematizzarsi ulteriormente ne La caduta di Icaro. Su spazi e forme in Geografie di Anedda (Giulia Bassi) dove la riflessione sui concetti di spazio e di tempo mostra le forme e le strategie testuali che rompono la dialettica tra spazio umano e paesaggio indipendente dall’uomo. La sequenza di analisi spaziali in Anedda è spinta oltre da La scienza nella scrittura di Antonella Anedda. Lo sguardo percettivo fra micro e macrocosmo (Andrea Bongiorno) in cui vengono studiate le dinamiche dello sguardo scientifico che mostra la poesia di Anedda, scovando nelle (micro e macro) rappresentazioni spaziali uno dei fuochi in cui orbitano il rapporto dell’autrice con la scienza e, ancora una volta, il rapporto con Darwin e Leopardi.

 

Solo apparentemente traguardando un limite, l’altra sezione Storie, tradizioni, voci comincia con Soglie dell’impermanenza. Lo spazio etico della poesia di Antonella Anedda di Alessandro Baldacci in cui il tema dello spazio aneddiano inizia a mostrare il suo volto bifronte, aprendosi alla realtà e alla storia, rivelando il suo aspetto benjaminiano di soglia e affondando nella dimensione etica, di cui viene analizzata ed esaltata la relazione salda e privilegiata con Paul Celan. Altro aspetto centrale nella poetica di Anedda è quello tragico che si mostra nel frangente compositivo del testo in «Altre anestesie». Riflessioni su poetica e ontologia tragica in Historiae (Stefano Bottero), dove si mostrano le sue implicazioni nello spazio soggettivo (ontologico e fenomenico) determinate dalla sua effettività metastorica, in quanto implicazione di irrimediabilità esistenziale. Un altro aspetto di questa visione lo espone la stessa Anedda nel dialogo in apertura di questo numero: «trovare il modo, il varco attraverso cui da un dettaglio apparentemente insignificante si spalanchi l’universale. A partire da Residenze ci sono stoviglie, pentole, piatti, tazze, ma anche corde, ormeggi, traghetti, bitte, molti detriti, bottiglie di latte, ferro».[16] A questo ruolo centrale, etico ed esistenziale dell’ambito casalingo guarda il confronto con Martha Rosler operato da Patricia Peterle in «In cucina si ha l’impressione di sopravvivere». Contatti fra Antonella Anedda e Martha Rosler. Il volume prosegue con Andrea Cortellessa (Il coltello dello sguardo) che dallo studio approfondito de La vita dei dettagli, esaminando il rapporto dell’autrice con le immagini della storia dell’arte, ramifica e fa progredire l’analisi fino a trovarne i temi originari e fondativi.

Chiude il numero un attento testo sulla voce di Anedda: «Onzi tandu naro una limba mia». Aspetti, temi e problemi della poesia in dialetto di Antonella Anedda di Mario Cianfoni che si occupa della radice del dialetto nella lingua poetica aneddiana.

 

Da tutte queste prospettive diverse, nasce un numero di «Polisemie» diverso dagli altri, ma con lo stesso spirito: quello di valorizzare diversi approcci e vari punti di vista che uniti arricchiscano il panorama e affrontino il terreno incerto e in divenire della poesia contemporanea più recente. Si realizza, quindi, uno studio che è anche omaggio critico ad un’autrice dal ruolo sempre più significativo nel panorama poetico contemporaneo, riuscendo ad osservare di questo panorama alcuni degli aspetti incarnati proprio da Anedda e dai suoi testi. Concludendo, «Nulla è compiuto nulla è ancora profondo» neanche (e per ora) nello spazio critico, in cui però possiamo proporre delle analisi che hanno il valore di un importante, complesso e composito tentativo.

 

Note

 

[1] Carmelo Princiotta, Il sentimento storico del tragico in Residenze invernali, in «Atelier. Trimestrale di poesia, narrativa, teatro», 66 (2012), pp. 51-56, a p. 51.

[2] Maddalena Bergamin, Il soggetto contemporaneo nella poesia di Anedda, Cavalli e Gualtieri. Appunti per un rinnovamento dello sguardo critico, in «Ticontre. Teoria Testo Traduzione», 8 (2017), pp. 109-132, a p. 112.

[3] Come, d’altronde, da lei stessa dichiarato a più riprese, ad esempio in: Antonella Anedda, Stefano Bottero, Intervista ad Antonella Anedda, in «Polisemie», I (2020), pp. 149-153.

[4] Sedicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea, a cura di Franco Buffoni, Milano, Marcos y Marcos, 2023.

[5] Mattia Caponi, Obliterarsi. Franca Mancinelli da Mala Kruna a Libretto di Transito. Parte II, in «Polisemie», II (2021), pp. 19-40, a p. 32.

[6] Caterina Verbaro, Natura morta con cornice. La poesia di Antonella Anedda, in «Italian Poetry Review», 5 (2010), pp. 315-330, a p. 321.

[7] Antonella Anedda, Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 2023.

[8] XIV. Benedetta tu a distanza…, in Antonella Anedda, Notti di pace occidentale, Roma, Donzelli, 1999, p. 26; il testo è confluito, identico, in Ead., Tutte le poesie, p. 109.

[9] Si veda l’explicit di Traducendo Brecht (dalla raccolta Una volta per sempre): «la poesia | non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi» (vv. 21-22), in Franco Fortini, Tutte le poesie, a cura di Luca Lenzini, Milano, Mondadori, 2014, p. 238.

[10] Il legame fra geografia e sedimentazione, enunciato nella prosa Mappe (Antonella Anedda, Geografie, Milano, Garzanti, 2021, pp. 111-112, cfr. ivi, p. 112), struttura, in un certo senso, l’intero libro costruito per stratificazioni successive, scandite da alcune formule ricorsive (si pensi a «ricominciamo»).

[11] Anedda, Geografie, p. 7.

[12] Ivi, p. 27.

[13] Ivi, pp. 20-21.

[14] I testi di riferimento, per l’ambito italiano, sono: Niccolò Scaffai, Letteratura e ecologia, Roma, Carocci, 2017 e su Anedda l’articolo di Id., Poesia e ecologia. Prospettive contemporanee, in «Oblio», XII, 45 (2022), pp. 205-218; e Ecosistemi letterari. Luoghi e paesaggi nella finzione novecentesca, a cura di Nicola Turi, Firenze, Firenze University Press, 2016.

[15] Si fa riferimento agli oggetti «inascoltati» che aprono la raccolta d’esordio dell’autrice, Residenze invernali: «Non parlavo che al cappotto disteso | al cestino con ancora una mela | ai miti oggetti legati | a un abbandono fuori di noi | eppure con noi, dentro la notte | inascoltati», Antonella Anedda, Residenze invernali, Milano, Crocetti, 20192 [1992], p. 15; il testo è confluito, identico, in Ead., Tutte le poesie, p. 19.

[16] Antonella Anedda, Riccardo Donati, Il muoversi sorprendente del reale: In dialogo su Leopardi, «Polisemie», IV (2023), p. 17.

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