di Chiara Beneduce

 

 

Ecologie della trasformazione, rubrica a cura di   Emanuele Leonardi e Giulia Arrighetti

 

A settembre 2023 è uscito per la casa editrice Sensibili alle Foglie, nella collana “Risorse vitali”, Alla ricerca degli spiriti della terra. Strategie ecosofiche per resistere al disastro, dell’antropologa Barbara Glowczewski. Il libro colma un vuoto editoriale e introduce per la prima volta l’autrice al pubblico italiano, traducendo l’introduzione e il quarto capitolo del saggio Réveiller les Esprits de la Terre, pubblicato dalle edizioni Dehors nel 2021. Le parole della curatrice e traduttrice, Maria Rita Prette, sottolineano la dimensione teorica, personale e politica di questo progetto, e aiutano a contestualizzare l’edizione italiana[1]. Il documentario etnografico Lajamanu – 40 ans avec les Warlpiri d’Australie (1979-2017), girato dalla stessa Glowczewski e disponibile su Vimeo, ci permette di accompagnare la lettura e assistere alle riprese realizzate nel deserto australiano, alcune delle quali vedono Glowczewski stessa protagonista. Il filmato si apre con le immagini del rito di fumigazione di sua figlia Nidala, benedetta dalle formule protettive recitate dalla nonna, Nakakut Barbara Gibson.

 

Alla ricerca degli spiriti della terra è stato scritto durante un soggiorno nel quartier generale della casa editrice francese, la fattoria di Lachaud sull’altopiano di Millevaches, non distante da Limoges. La montagna ha una lunga storia di lotte contadine e la fattoria è diventata negli ultimi anni un punto di riferimento per chi si interessa di ecologia: vengono accolti studenti e naturalisti che conducono ricerche sulla torbiera e vengono organizzano seminari e incontri con gli abitanti della montagna, mentre scrittori e artisti sono invitati a risiedere anche per lunghi periodi. Élie Kongs, fondatore delle edizioni Dehors, descrive questi luoghi come spazi nati per (r)accogliere tutto ciò che viene escluso e espulso da un sistema accademico competitivo e elitario. È in questo contesto di co-costruzione di saperi situati che Barbara Glowczewski, antropologa del CNRS e insegnante all’EHESS con un’esperienza quarantennale di ricerche sul territorio australiano, inizia il suo saggio.

 

La versione francese è arricchita da due interi capitoli dedicati alla cosmologia aborigena e alle battaglie giudiziarie per la restituzione delle terre in Australia. In queste pagine l’autrice riporta lunghi estratti di un’intervista con il cleverman Yalarrnga Lance Sullivan, in cui i due parlano di «sogni che sono più reali della realtà» (p. 56), di visioni e di stregoneria, ed è affrontato anche il dramma degli arresti degli aborigeni (una delle popolazioni native con il più alto tasso di incarcerazione al mondo[2]) e del senso di rassegnazione che coinvolge soprattutto le giovani generazioni. L’autrice, sempre nell’edizione francese, prosegue con un corposo capitolo dedicato alla foresta amazzonica della Guayana, per spostarsi poi a migliaia di chilometri di distanza attraverso il racconto della più grande area occupata in Francia, la ZAD[3] di Notre-Dame-des-Landes. Qui gli attivisti si sono sentiti parte integrante dell’ecosistema, al punto da dichiarare che era stato il bocage[4] stesso a proteggerli dai violenti e fallimentari tentativi di espulsione compiuti negli anni dalle forze dell’ordine, con decreti o procedure amministrative volte a far spegnere questa esperienza di lotta e riappropriazione del territorio. Il libro è anche un’occasione per ribadire la necessità di partecipare alle reti di alleanze planetarie, per resistere ai disastri passati, presenti e futuri, ambientali e sociali, con la convinzione che quando il capitalismo e l’imperialismo sono sconfitti in un determinato luogo, sia esso il deserto Warlpiri o l’entroterra francese, la vittoria ha sempre una risonanza globale.

 

Il percorso di ricerca di Glowczewski interseca costantemente il suo percorso di militanza, in Australia come in Francia, un impegno iniziato fin dagli anni universitari, quando studiava all’Università libera di Vincennes. Diversamente dalla monografía etnografica Rêves en Colère (Glowczewski, 2004), Alla ricerca degli spiriti della terra ha come obiettivo dichiarato quello di “districare i grovigli” (p. 23) della globalizzazione e del capitalismo, seguendo la loro scia di distruzione e morte, dalle terre più vicine a quelle lontanissime.

La Francia ha in effetti dimostrato negli ultimi anni di essere un terreno fertile per la costituzione di movimenti ecologisti. Proprio per la loro efficacia, questi movimenti subiscono una violenta repressione da parte dell’apparato statale, arrivando a mobilitare i nuclei dell’antiterrorismo (SDAT)[5], come nel caso delle azioni a Bouc-Bel-Air o dello scioglimento di movimenti come quello dei Soulèvements de la Terre[6]. Il lavoro di Glowczewski non si limita dunque agli aspetti teorici dell’antropologia ambientale e delle environmental humanities, ma intende riflettere sul ruolo che i ricercatori e le ricercatrici possono avere dentro e fuori l’accademia. D’altra parte, in uno dei testi che hanno aperto la strada agli studi umanistici ambientali, l’antropologa Deborah Bird Rose (2004) scriveva che l’obiettivo di questo campo di studi è proprio quello di rielaborare il dualismo del pensiero occidentale e di superarlo, connettendo la sfida teorica con l’impegno per la giustizia sociale e ambientale, a sostegno dei saperi e delle aspirazioni dei popoli autoctoni.

 

Partire alla ricerca degli spiriti della terra significa quindi per l’autrice rintracciare e ricostruire le connessioni con i nostri territori, entrando in relazione tanto con persone umane e non-umane, quanto con esseri non-viventi. Un esempio di come queste relazioni possano esistere è offerto dai popoli aborigeni australiani, che hanno complessi legami di parentela con animali, piante, fenomeni atmosferici (la pioggia, ad esempio) o naturali (come il fuoco):

«Quando gli aborigeni arrivano in Francia, ci dicono che noi siamo uguali a loro: anche noi abbiamo dei legami individuali con certi spiriti del territorio, e questi legami devono essere riscoperti […] Vivendo in Francia, attraverso diversi territori in lotta, come il plateau de Millevaches, o la ZAD di Notre-Dame-des-Landes o ancora con i Soulèvements de la Terre. In queste lotte c’è qualcosa che si risveglia: i naturalisti della ZAD – naturalisti non nel senso di Descola! – hanno trovato nelle salamandre e nei tritoni degli animali con cui creare alleanze. Così come a Saint Soline, durante la manifestazione contro i bacini artificiali, trentamila persone divise in tre cortei hanno portato i simboli di tre specie animali».[7]

 

La colonizzazione in Australia ha portato a quello che Glowczewski non esita a definire un omnicidio (2023, p. 76), compiuto attraverso non meno di tre forme di violenza estrema: il crimine contro le persone (genocidio), la cultura (etnocidio) e l’ambiente (ecocidio). Molti rituali, canti e danze oggi non sono più praticati, le pratiche dei dipinti corporei sembrano scomparse e, come veniva mostrato da Werner Herzog in Dove sognano le formiche verdi (1984), lingue intere si sono estinte. Il progetto si iscrive in una traiettoria simile a quella di Kathryn Yusoff, ovvero di un’aperta critica al concetto di Antropocene come un futuro prossimo apocalittico, una fine del mondo “a venire”, e insiste invece nel riconoscere che imperialismo e colonialismo hanno a lungo segnato la fine di mondi («ending worlds», 2018, p. xiii). D’altronde anche in Europa i legami spirituali con il territorio, che pure esistevano, sono stati messi in crisi dal cristianesimo prima e dall’avvento del capitalismo poi.

 

Riscoprire queste relazioni “più-che-umane” all’interno delle “comunità terrestri” (Gosselin, Bartoli, 2022) significa interrogare i segni di crisi ecologiche o le conseguenze di specifici eventi:

«Ho sentito spesso gli aborigeni rimproverarsi di non praticare abbastanza rituali per celebrare i loro luoghi sacri, e attribuire a questa mancanza di cura nei confronti della terra diversi squilibri, come la salinizzazione dei loro pozzi d’acqua, influenzata dalle trivellazioni minerarie» (p. 28).

Quello che Glowczewski sostiene con forza è che queste culture e questi saperi non sono però mai persi per sempre. Evitando una concezione identitaria dell’idea di “cultura autoctona” e scongiurando i rischi che l’essensalizzazione del totemismo ha generato, l’autrice inserisce nella cartografia schizoanalitica di Felix Guattari il termine cultura-macchina-da-guerra (p. 79) per raccontare l’esperienza di quei popoli che, per resistere all’assimilazione da parte dello stato, devono continuamente reinventarsi. La creatività dimostrata dagli attivisti e dalle popolazioni native dimostra che non dobbiamo aver paura di creare nuovi rituali, nuovi totem e nuove alleanze. Il sociologo Stéphane Tonnelat ricorda ad esempio, riferendosi al contesto europeo, l’utilizzo degli spaventapasseri e di alcuni bastoni “magici” per scongiurare lo sgombero della ZAD di Europacity a Gonesse, a nord di Parigi[8].

 

Si potrebbero accusare queste e altre sperimentazioni di spiritualità pagana di essere  nient’altro che pratiche New Age di appropriazione culturale. Comparare forme di spiritualità così lontane tra loro comporta sicuramente dei rischi, eppure in Pluriverso, un dizionario del post-sviluppo (2021), Charles Eisenstein ci mette in guardia dalla tentazione di non prendere sul serio alcune di queste nuove sensibilità, sottovalutando così la loro potenzialità creativa e creatrice. Inoltre, per Glowczewski lo studio comparativo non coincide con un progetto di universalizzazione delle esperienze locali, ma con una «una responsabilità etica, sia come cittadina che come scienziata» (p. 23) di partecipare a un mondo in cui ci sia spazio per altri mondi, secondo quanto suggerito dall’esercito zapatista.

Proprio per questa ragione l’autrice ci propone di esplorare la nostra spiritualità e il nostro radicamento ai luoghi prestando più attenzione ai nostri stessi sogni:

 

«[…] ho imparato ad attaccarmi ai luoghi in modo diverso, non per diritto di sangue e suolo, o nazionalità, ma per sogno, un po’ come mi hanno insegnato gli Aborigeni: dove dormi entri nello stesso spazio-tempo del sogno di chi dorme con te o ci ha dormito nel tempo, la terra ha un ricordo che puoi catturare mentre dormi; poi, viaggi staccando lo spirito dal corpo ed esplori altri luoghi e spazio-tempo, ma fai attenzione al risveglio: che non sia troppo brusco per non perdere il tuo spirito fuori dal corpo» (p. 53).

 

Non molto diversamente dal protagonista del Il vagabondo delle stelle di Jack London, Nicola Valentino, editore della casa editrice Sensibili alle Foglie, descrive in occasione della presentazione del libro l’importanza del sogno per ricostruire un senso di appartenenza al luogo che permetta di resistere ai sistemi di oppressione e all’alienazione, e lo fa a partire dalla sua propria esperienza nel carcere di Palmi (2012):

 

«Ho conosciuto Barbara dodici anni fa in un convegno internazionale sui sogni tenutosi a Como. Barbara portava il suo lavoro e le sue conoscenze sul sogno nelle comunità aborigene, io raccontai un’esperienza di comunicazione onirica tra reclusi con una lunga detenzione alle spalle, nata nel 1984 nel carcere di massima sicurezza di Palmi (RC). Per restare nel linguaggio che Barbara usa in questo suo testo, si può dire che noi abbiamo sognato il territorio nel quale eravamo: il regime di carcerazione speciale, che limitava ogni forma di socialità e censurava e sequestrava i nostri scritti. Malgrado questo, con opportuni stratagemmi siamo riusciti a scambiare tra noi i nostri sogni della notte. Abbiamo scoperto che facevamo molti sogni condivisi che ci offrivano di quel territorio una visione più ampia, il sogno soprattutto ci mostrava quelle parti di noi che il carcere stava sottoponendo a torsione e devastando: […]  a guardarli bene quei sogni cercavano anche il contatto con la terra, il cielo, il mare … Il nostro mondo onirico ci riconduceva alla relazione con qualcosa di vitale che la galera drammaticamente recide, che è il rapporto con la Terra. Una appartenenza recisa che rende il carcere un luogo radicalmente mortificante»[9].

 

Il sogno del prigioniero cerca la terra, come mostra anche il sogno del contadino Vincenzo, incarcerato all’Ucciardone, e riportato da Danilo Dolci:

 

«Io mi son sognato fuoco pure. Che vuol dire? E fiume d’acqua lorda, a tutta velocità. Che vuol dire? E fuoco e mi impaurivo e correvo. Ma nel sonno» (Processo all’articolo 4, 2011, p.17).

 

Ricostruire un sentimento di appartenenza alla terra a partire dai sogni implica il riconoscimento di forme di conoscenza che non vengono valorizzate dal pensiero dualistico occidentale. Tuttavia il legame dimenticato con gli elementi e gli esseri viventi – e non –  è ciò che permette di presupporre un rapporto di cura con il nostro territorio: sono queste logiche di responsabilità, scrive Glowczewski, che permetteranno di riparare e difendere le zone sacrificate del nostro pianeta. Lo scopo di questo suo nuovo libro è in fondo quello di riconoscere le alleanze già esistenti che i popoli autoctoni e i movimenti ecologisti hanno saputo tessere tra di loro. Glowczewski ci mostra che i nativi americani guardano alle vittorie giuridiche in Australia e viceversa, così come gli zadisti si ispirano a quello che succede in Chiapas, e i Maori solidarizzano con i palestinesi[10]. Queste reti, che come le songlines aborigene uniscono comunità e luoghi, devono essere però ampliate e rafforzate sempre di più. Le alleanze trans-oceaniche nascono soprattutto dal bisogno di trovare nuove parole e nuovi linguaggi per descrivere quello che di solito racchiudiamo senza sfumature nel termine “spiritualità”, perché, come sostiene Deborah Bird Rose (2002), «semplicemente non abbiamo un vocabolario che funzioni quando dobbiamo definire le nostre relazioni a territorio»[11].

 

Tra le foto riportate nella versione francese del libro c’è una grande mappa tracciata da Barbara Glowczewski nel 1979, che rappresenta il territorio sul quale i Warlpiri avevano vinto una storica e importante rivendicazione territoriale l’anno precedente. Disegnata con il gesso su una lavagna nera, la mappa traccia le piste sacre nel deserto Tanami, nel nord Australiano, e sembra mostrare delle intricate costellazioni terrestri. Unendo i punti tra i più di 2000 siti recensiti dall’Atlas dei conflitti mondiali in cui le comunità locali si sono sollevate contro diverse forme di estrattivismo, possiamo continuare a immaginare queste costellazioni che sfumano i confini tra sogno e veglia, e permetteranno di orientarsi nel buio.

 

Bibliografia

 

AA.VV. On ne dissout pas un soulèvement. 40 voix pour les Soulèvements de la Terre, pubblicato dalle edizioni Seuil nel 2023.

Dolci, Danilo. Processo all’articolo 4, Sellerio, Palermo, 2011.

Glowczewski, Barbara. Alla Ricerca degli spiriti della terra. Strategie ecosofiche per resistere al disastro, trad. Maria Rita Prette, Sensibili alle foglie, collana “Risorse vitali”, Roma, 2023.

Glowczewski, Barbara. Réveiller les esprits de la terre, Éditions Dehors, Paris, 2021.

Glowczewski, Barbara. Rêves en colère. Alliances aborigènes dans le Nord-Ouest australien. Paris, Plon, 2004.

Gosselin Sophie, Bartoli David gé. La condition terrestre. Habiter la Terre en communs, Editions du Seuil, collana “Anthropocène”, 2022.

Kothari Ashish, Salleh Ariel, Escobar Arturo, Demaria Federico, Acosta Alberto (a cura di). Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, edizione italiana a cura di Maura Benegiamo, Alice Dal Gobbo, Emanuele Leonardi, Salvo Torre, Pisa, Orthotes, 2021.

London, Jack. Il vagabondo delle stelle, trad. di Stefano Manferlotti, Adelphi, collana “Gli Adelphi”, Milano, 2005.

Rose Deborah Bird, Robin, Libby. «The Ecological Humanities in Action: An Invitation», in Ecological Humanities, The Australian Humanities Review, numero 31-32, Aprile 2004.

Rose, Deborah Bird. «Love and reconciliation in the forest», Hawke Institute Working Paper Series No 19, University of South Australia, 2002.

Valentino, Nicola (a cura di). I sogni di Palmi. Raccolta di sogni dei reclusi del carcere. speciale di Palmi. Sensibili alle foglie, Roma, 2012.

Yusoff, Kathryn. A Billion Black Anthropocenes Or None, University of Minnesota Press, Minneapolis, 2018.

 

Note

 

[1] «I riferimenti che attraversano questo libro vanno letti da una parte in chiave etnografica e antropologica e dall’altra vanno inquadrati in quello che è l’intento dell’Autrice, vale a dire il suo desiderio di mettere in risonanza ciò che ha appreso dagli Aborigeni australiani con le pratiche di diversi movimenti nati in Francia, a partire dalla ZAD di Notre-Dame-des-Landes». (p. 5)

[2]https://www.theguardian.com/australia-news/2023/may/30/proportion-of-aboriginal-inmates-in-nsw-hit-a-record-297-in-february

[3] Nel linguaggio burocratico ‘ZAD’ è l’acronimo di ‘zone d’aménagement’, ossia ‘zona da sviluppare’. Il termine ha acquisito tra gli attivisti il nuovo significato di ‘zone à défendre’, zona da difendere.

[4] La ZAD di Notre-Dame-des-Landes nasce su un’area di bocage, ovvero piccoli terreni agricoli circondati da corridoi verdi boschivi, sopravvissuta allo “smembramento“ degli anni ‘70, smembramento che ha fatto spazio all’agricoltura intensiva su larga scala. L’ambiente, ricco di biodiversità e zone umide, era stato preservato proprio in virtù del progetto che voleva in quell’area un nuovo aeroporto, poi abbandonato definitivamente nel 2018 dopo una mobilizzazione locale durata quasi dieci anni.

[5] Acronimo della “sous direction anti-terroriste” della polizia giudiziaria.

[6] Per approfondire la questione, si può fare riferimento al libro collettivo On ne dissout pas un soulèvement. 40 voix pour les Soulèvements de la Terre, pubblicato dalle Edizioni Seuil nel 2023.

[7] La presentazione del libro si è tenuta il 25 settembre 2023 alla libreria Tamu di Napoli, con il commento del filosofo Gioacchino Orsenigo e la traduzione dell’autrice di questo articolo. Era presente per la casa editrice Sensibili alle Foglie Nicola Valentino.

[8] Stéphane Tonnelat, “Les bâtons magiques du Triangle de Gonesse: de quoi les aménageurs ont-ils peur?”. Il testo è stato presentato al Collège de France di Parigi durante la Giornata di Studi del Master di Studi Ambientali il 20 giugno 2023, dove anche Barbara Glowczewski insegna.

[9] Le parole sono di Nicola Valentino, durante la presentazione alla libreria Tamu di Napoli (25 settembre 2023).

[10]https://www.middleeastmonitor.com/20231106-new-zealand-protesters-perform-traditional-haka-in-solidarity-with-gaza/

[11] https://www.unisa.edu.au/siteassets/episerver-6-files/documents/eass/hri/working-papers/wp19.pdf

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