di Antonietta La Manna

 

Sono cresciuta in una grande famiglia e in un paese della provincia napoletana, una piccola comunità di 4000 anime, con tante cugine e qualche cugino. Per noi bambine e bambini le giornate erano scandite dai giochi nell’orto dei nonni. Non ricordo che qualcuno leggesse per noi, in compenso c’era chi raccontava delle storie, storie di contadini e briganti. In particolare ricordo le avventure/disavventure di zi’ Carminiello che zio Giovanni raccontava a me e a mia cugina Cristina, o quelle dell’infanzia e adolescenza di mia madre e di suo fratello Giuseppe. Mi appassionavano, le avrei ascoltate per ore. Sono stati pochi i libri che ho ricevuto da piccola, solo qualcuno della Disney: La carica dei 101, Bianca e Bernie, Gli Aristogatti. Forse mamma si era convinta che leggere fosse uno svago, quindi una perdita di tempo; per lei studiare era invece un’altra cosa, soprattutto era una cosa seria, alla quale io non davo il giusto peso, insomma per lei la lettura era una frivolezza. Due mie zie, una sorella di mamma e una sorella di papà, avevano studiato, erano andate all’università, una si era laureata in Lettere, l’altra in Lingue: nelle loro camere, che ormai erano disabitate, avevano lasciato dei libri e quando mi capitava di ritrovarmi sola dai miei nonni, e mi annoiavo, allora cominciavo a curiosare per casa e finivo spesso tra quegli scaffali, a rovistare tra i romanzi. Ma ero piccola e quelli non erano adatti a una bambina, però a me piaceva comunque sfogliarli, non saprei dire perché. Poi c’era Topolino, che leggevo quando i miei cugini, che avevano l’abbonamento, decidevano di disfarsi di qualche numero e me li regalavano: di uno ho un ricordo particolare, era dedicato al Natale e c’era la trasposizione di Canto di Natale di Dickens che lessi un’infinità di volte, ogni volta commuovendomi.

 

Se mi chiedessero: “Quando sei diventata una lettrice?”, risponderei senza esitazione: a 14 anni durante una forte nevicata che, con mio enorme piacere, mi costrinse a casa e a saltare la scuola. Dopo la prima giornata, trascorsa davanti alla tv, decisi che la seconda sarebbe stata diversa, almeno al mattino, poi nel pomeriggio avrei ripreso con i cartoni e i telefilm preferiti. Iniziai tirando fuori gli album fotografici di casa, anche quelle storie mi piacevano tanto, soprattutto dove io non comparivo. Mi imbattei poi in uno scatolone, non saprei dire come fosse finito in casa nostra, perché fosse lì, nello sgabuzzino, ancora imballato. Dentro c’era un bel po’ di libri ma fu una copertina rigida di tela verde a destare la mia curiosità; lessi il titolo e l’autore, cominciai a sfogliarlo, era un’edizione illustrata, e quindi a leggere: “Se mi accadrà di essere io stesso l’eroe della mia vita o se questa parte verrà sostenuta da qualche altro, lo diranno queste pagine. Per iniziare la mia vita proprio dal principio, ricorderò che nacqui (così mi hanno informato e così credo) un venerdì, a mezzanotte. Si notò che il pendolo prese a battere e io a strillare, simultaneamente.” Per i successivi quattro giorni fui risucchiata in quel mondo, fisicamente ero sul divano davanti al camino, ma con la testa ero altrove, a Londra con David Copperfield, con Dora e con Agnes.

 

Mi dispiace sentire tanti miei studenti dire che non amano leggere o addirittura che odiano leggere, forse perché per me la lettura, da un certo momento in poi, è diventata una cosa importante, mi ha tenuto compagnia nei momenti di solitudine, a volte mi ha aiutata a capire me stessa e gli altri. Oggi so che alla lettura devo tanto.

Non ho la presunzione di pensare che per tutti debba essere così, credo possa succedere che a qualcuno non piaccia leggere romanzi o poesia e preferisca altro, può anche succedere che una persona non ami leggere per niente. Ciò che temo, però, è che ai ragazzi non sia data l’opportunità di scegliere consapevolmente se essere lettori o meno: alcuni odiano la lettura perché è stata loro imposta come un compito da svolgere, altri perché si sono convinti (e forse qualcuno ha lasciato che accadesse) di non essere all’altezza perché magari è passato il messaggio che leggere sia da primi della classe, che la passione per la lettura sia un dono e quindi o ce l’hai o non ce l’hai.

 

Una delle cose che mi sta più a cuore come insegnante di un Istituto Professionale è cercare di riportare i ragazzi alla lettura, provare, anche se so che sarà dura scalfire certe convinzioni, a fargli cambiare idea. Ho già scritto della libertà di scegliere, dell’importanza di una biblioteca scolastica o di classe ben fornita e lo ripeto, ma ci sono comunque dei testi che propongo in prima persona, che prima leggo io ad alta voce e poi ne discutiamo insieme: si tratta di letteratura contemporanea o di classici, come per esempio il Decameron di cui, nella prima parte dell’anno scolastico, abbiamo letto in classe alcune novelle. Ne avevo preventivate almeno tre, ma alla fine ne abbiamo lette sei. A inizio anno, e ne ho riferito a suo tempo, abbiamo lavorato alla costruzione di una comunità visto che, essendo in terza, i ragazzi non si conoscevano tra di loro e quindi lavorare con il Decameron mi è sembrato in continuità con quanto stavamo già facendo: cioè costruire una comunità che legge storie e ne discute.

 

Nella prima lezione siamo partiti da un albo illustrato, A ritrovar le storie di Annamaria Gozzi, Monica Morini e Daniela Iride Murgia (edizionicorsare), che narra di un paese triste dove le persone non si raccontano più storie, ma per fortuna un giorno arrivano un saltimbanco e un’oca, e tutto cambia. Dopo la lettura ad alta voce dell’albo, ci siamo fermati a riflettere sul perché siano importanti le storie: perché ci aiutano a capire noi stessi, ci aiutano a ricordare, fanno viaggiare con la fantasia, aiutano a costruire.

 

Nella seconda lezione (2 ore), dato che l’albo si chiude con il gioco dell’oca delle storie, ne ho fatte delle copie colorate e le ho portate in classe con dei dadi: abbiamo creato 4 isole, poi ho detto loro di dividersi in gruppi e, una volta formate le piccole brigate, ho consegnato a ognuna una copia del gioco e un dado. Hanno giocato per circa un’ora e per altrettanto tempo si sono raccontati delle storie, tanto che ho dovuto dire basta perché loro avrebbero continuato. Alla fine del gioco ho fornito ad ogni gruppo un cartoncino sul quale ho chiesto di costruire una mappa dei racconti, con al centro la scritta “le storie della brigata n°…” e nei raggi i titoli delle storie. Negli ultimi 20 minuti hanno condiviso con la classe le loro impressioni: Com’è stato raccontare le vostre storie ai compagni? Qual è stata la storia che più vi ha colpito? Perché, e cosa aveva di particolare rispetto alle altre? Poi, nella terza lezione, si sono avviate le indagini sull’autore. Chi è Giovanni Boccaccio? Dove è nato? Quando è nato? Dove è vissuto? Cosa ha scritto? Qui sono sempre gli studenti a ricostruire la biografia dell’autore con l’aiuto del libro di testo e con le informazioni dedotte dalla rete. Lo studente, se lo ritiene opportuno, può sempre aggiornare la biografia con le informazioni che emergono durante il percorso. Quindi, dopo avere condiviso le informazioni fondamentali sulla vita di Boccaccio, siamo passati alla lettura dell’introduzione dell’opera scritta da Daniele Aristarco per il volume Il Decameron in poche parole (Einaudi Ragazzi, 2022).

 

Durante le lezioni successive abbiamo letto sei novelle: Ser Ciappelletto, Giannotto di Civignì e Abraam giudeo, Lisabetta da Messina, Nastagio degli Onesti, Calandrino, Griselda. Lo schema è stato più o meno sempre lo stesso: lettura ad alta voce della novella (io che leggo per loro), mentre chi mi sta ascoltando annota sul taccuino tutto ciò che la storia gli stimola: domande, connessioni, riflessioni, una frase che colpisce.

Alla fine della lettura si condividono le annotazioni, quindi discutiamo insieme di ciò che abbiamo letto. In questa prima fase io preferisco che emergano le considerazioni personali di ognuno rispetto alla lettura, chiedo loro di non cercare di comprendere le intenzioni dell’autore ma di riflettere e provare condividere con gli altri tutto quello che la novella ha stimolato: possono essere domande, connessioni con il vissuto, con un’altra lettura fatta, con il mondo circostante. Dopo avere dunque posto quelle che Guido Armellini (in Come e perché insegnare letteratura, Zanichelli, 1987) definisce “domande legittime”, siamo pronti ad affrontare il testo da un’altra angolazione partendo viceversa da “domande illegittime” le cui risposte possono essere dedotte direttamente dal testo. Chiedere per esempio: dopo tutte le novelle lette, siamo in grado di dire quale fosse l’idea di donna che aveva Boccaccio? O ancora: avete notato qualcosa che si ripete, in queste novelle? Non mancano le risposte e fra le altre l’amore, l’ossessione, la furbizia, l’escogitare piani per ottenere delle cose, il farsi beffe di qualcuno, la donna che sembra amata ma in realtà è sottomessa.

 

Utilizzando alcune novelle abbiamo anche avviato brevi percorsi di scrittura, per esempio la redazione di un paragrafo in cui esprimere un’opinione personale. Il testo doveva avere le seguenti caratteristiche: a) essere composto da almeno 8 frasi; b) iniziare con una frase topica (o idea centrale); c) aggiungere dettagli; d) avere una conclusione. Dopo aver letto la novella di Nastagio degli Onesti, per esempio, siamo partiti da questa domanda: “è possibile convincere qualcuno ad amare chi non ama?”.

 

Prima di leggere la novella, qualche settimana dopo l’inizio del percorso, ho fornito in copia l’introduzione della Quinta giornata tratta dal testo originale, volevo che gli studenti facessero esperienza diretta della lingua di Boccaccio: hanno lavorato a coppie, è stato faticoso ma la maggior parte di loro non ha rinunciato e, comportandosi come una vera comunità che costruisce significato, hanno provato a comprendere cosa fosse la scrittura originale. Dopo questa attività si è dissipato ogni dubbio riguardo alla scelta di leggere le novelle nella versione riscritta da Daniele Aristarco perché ciò ha permesso ai miei studenti di appassionarsi a quelle storie, di riflettere sulle dinamiche che ci sono al loro interno, se avessi invece scelto di leggerle nella versione originale, probabilmente, non saremmo riusciti a leggerne per intero nemmeno una poiché avrebbero considerato quel linguaggio troppo distante da loro, ostico, e la lettura sarebbe diventata un mero esercizio di interpretazione linguistica, non ci sarebbero stati probabilmente i momenti di riflessione che abbiamo condiviso  e temo non ci sarebbe stata alcuna speranza che un giorno riprendano in mano il Decameron per leggerne ancora.

 

Fin dall’inizio l’obiettivo è stato dunque  leggere un classico e discuterne tutti insieme, credo che lo abbiamo in gran parte raggiunto, infatti tutte le volte che leggevo ad alta voce si creava la “zona di lettura” dove c’era silenzio e concentrazione e anche se uno aveva un foglio davanti e scarabocchiava e un altro stava con la testa china sul banco e sembrava dormisse io sapevo che stavano ascoltando anche loro perché, subito dopo la lettura, la discussione è stata sempre animata, anzi talvolta si è protratta dopo il suono della campanella che segnala l’inizio della ricreazione e qualcuno avviandosi all’uscita mi ha urlato dalla porta: Vabbè, prof, continuiamo la prossima volta.

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