di Ida Travi

 

[Esce oggi, per Il Saggiatore, il nuovo libro di Ida Travi, I Tolki, che raccoglie in un solo volume il ciclo di opere pubblicate dall’autrice dal 2011 al 2022. Pubblichiamo un estratto della nota introduttiva e una scelta dei componimenti.]

 

Dalla nota introduttiva dell’autrice (estratto)

 

 

[…] I Tolki si comportano come una famiglia ma non sono una famiglia. Sembrano una comunità ma non sono una comunità: sono esseri solitari vaganti da un libro all’altro, in un tempo che va dal bianco allo scuro. Di libro in libro i Tolki sono loro e non sono più loro. A volte cambiano nel nome, a volte nell’età. Mi ritrovai legata a loro nell’impossibilità di lasciarli e contemporaneamente sentivo forte il peso del tempo, l’impero dell’ora, dell’attualità come istante da cui prendere congedo. Sentivo l’ala contemporanea volare avanti in un disastroso consumo, assistevo a una continua comparsa e scomparsa di merci nell’attimo, libri compresi. Cercavo una forma di parola che si ponesse fuori da questo consumo e stabilisse per me un’idea di durata.

 

Mi ispirava la lancetta dell’orologio che al mio orecchio suonava Tà, e fu così che divenne il titolo del primo libro. Desideravo che il rapporto con il tempo inglobasse i Tolki in una dimensione perennemente out. Li vedevo esistere in uno spazio separato dal tempo. Contro ogni logica, contro ogni relatività. Molti anni prima studiando Saggio sui dati immediati della coscienza avevo imparato con Henri Bergson che se là fuori c’è un’unica posizione della lancetta sul pendolo e delle sue posizioni precedenti non resta traccia, dentro di noi s’attiva un continuo e costante processo di rielaborazione dei dati che va a formare la vera durata: la coscienza.

 

La coscienza s’intravede nel punto in cui un essere umano lascia vivere il tempo e smette di stabilire separazioni, smette di trattarlo come una materia, qualcosa da dividere in parti, come se il tempo fosse un pezzo di ferro, un pezzo di pane: il concetto di durata non separa il passato dal presente ,e il presente dal futuro. Forse per questo nell’immaginazione come nella scrittura ogni Tolki brucia in due righe la sua incosciente eternità. Il futuro tace, arriva come una nevicata.

 

Non poteva dunque bastare un libro solo, ci voleva una serie, una sequenza di episodi narrabili, così come fu nel Mito, episodi indifferenti alla successione, così come a un inizio e a una fine. Episodi da niente, dove alla luce della storia non accade mai niente, e l’unica azione che si compie consiste proprio nel fare quel nulla. Poesia? Certamente l’azione che si compie è il mio lavoro.

 

Io lavoro con i Tolki, il loro lavoro è anche il mio: post-studenti, ex-lavoratori. Portatori di secchi, trascinanti un carrettino: aprire e chiudere la porta, inginocchiarsi, sollevarsi. Dar da mangiare al bambino, addossare al muro la branda. Sempre così, sempre così. Ripetere sempre le stesse cose. Strigliare l’asino, attraversare nel tempo la Russia, aprire il capannone, sistemare i sacchi di farina. I recinti, i pozzi. Le abitazioni istantanee, i muretti secolari. Si tratta di cose da niente, poche righe e tanta neve, polvere, erba e fango. I Tolki, col dito sulla neve, impareranno a scrivere?

 

*

 

Olin, ti sbendo. Tu guarda

dall’altra parte, guarda

se per caso è fiorito il braccio

e come è semplice la testa, adesso

 

Guarda come indietreggia il bambino

davanti al rocchetto nero

chiamalo – dagli l’insegnamento

 

Gli animali sono felici, diglielo

gli animali amano il bambino nuovo

Escono dai nastri saltellando

escono dai nastri saltellando felici

sono altissimi, altissimi!

 

*

 

Cosa cerchi nei libri? Mi piacerebbe sapere

 

Mi piacerebbe sapere una spaventosa foresta fossile

una rondine comune

 

Una rondine comune vola nello spazio materiale

vola senza offendere nessuno

 

Qualcuno spinge il tempo sotto l’ala

qualcuno tiene il tempo con lo sputo, la gente

prega sotto il grande sputo

 

Il fiume, il campo, il sentiero polveroso

tutto è calmo davanti alla porta, tutto tace

sopra la terra viola, sopra quel tronco rosso.

 

*

 

Come un soldato viene alla porta

tiene il bambino per mano

ma cosa nasconde nell’altra mano?

 

Poggia il flacone dell’antiruggine

ama soltanto il ferro, lui

io non conosco il suo lavoro, la sua indole

 

Poggia la sacca per terra – attenta

tiene il bambino per mano

ma cosa nasconde nell’altra mano?

 

*

 

Corre come un insetto sul pane

corre nel campo agitando la spada

 

È Sasa, corre agitando la spada

 

In nome di qualche verità vi dico

da questo pulpito vi dico… voi

uscirete da questa follia

 

Voi fuggirete da questa follia

oche, cavalli, lepri, serpenti

fermate, vi prego, la vostra corsa.

 

*

 

Togli il bambino dai libri

è finito in mezzo ai libri, vai a prenderlo

 

Insegnagli come si tiene la vanga

non vedi che comincia dalla fine?

 

Vai a prenderlo, mettilo al posto del ramo

metti il bambino al posto del ramo

prima che venga l’inverno.

 

*

 

Non possiamo consacrare la casa

non abbiamo la campana

 

Non abbiamo il segretario

non c’è un’infermiera

in tutto il circondario

 

Dormiremo nel cesto con le noci

sentiremo bussare alla testa

 

Non possiamo consacrare la casa, Zet

non abbiamo il ramo,

non abbiamo la campana.

 

*

 

Cosa vuoi che ti dica, Kraus

non c’è un soldo, non c’è una lira

Siamo qui nelle mani di qualcuno

siamo qui sotto l’occhio di qualcuno

 

Sotto l’occhio di qualcuno con la macchina

tu non ce l’hai una macchina, Kraus

 

Prima un debito, poi un altro debito

e la fine del lavoro, la fine

– non era vero, non era vero –

 

Ti ricordi com’era, ti ricordi?

 

Su e giù tutto il giorno

dalla branda allo schermo

– allo schermo, allo schermo! –

e per che cosa poi…

 

Il campo è pieno di neve

la testa è piena di neve

il somaro è là, nella neve

 

E tu vuoi ma non puoi… te ne accorgi?

Tu non puoi muoverti, Kraus

Tu non puoi andare a vedere.

 

*

 

Così venne quell’uomo e disse

voi tutti, voi abitanti di questa terra

avete per caso trovato il libro?

 

Si sparse lo spavento generale

e il cosmo si agitò.

e vennero le oche, vennero i conigli

vennero le altissime giraffe

i demoni dell’aldilà

 

E venne il capogruppo

venne l’istruttore, vennero infine

gli allievi più piccoli, quelli col camice blu

 

Sopra ogni cosa lento si stese

il pianto sussurrato di Janina

sopra ogni cosa si stese

l’alto nitrito del cavallo

 

Poveri noi poveri noi

senza neanche un libro

senza neanche un bambino.

 

*

 

Mentre sotto si aprivano le brecce

mentre sotto scorreva il fiume

tutt’intorno ruggiva il campo

oh oh cantavano le zolle

 

e sopra trionfanti svettavano i tre gradini

la pulsantiera nera, e il bordo giallo, giallo

 

– quanto manca al confine? –

 

Dal nulla comparvero all’improvviso

col sacco in spalla, gli stivali neri

 

E Olga, e Zet, e Jàn, e Urban, Eloisa

e Zattero e Kant, tutti senza fucile, tutti senza.

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