di Niccolò Nisivoccia

 

[Esce oggi per Industria & Letteratura Un dialogo notturno, un libro di prose poetiche di Niccolò Nisivoccia. Proponiamo le prime tre stanze del libro].

 

 

Qui, sul bordo delle cose, dove il giorno si disfa

– e poi si ricompone. Dove parlarsi

è una forma di preghiera, o di devozione.

 

 

1. Dormi? O stai facendo finta? No, mi sembra che tu stia dormendo davvero. Sono qui, accanto a te, e ti parlo. E chissà se puoi sentirmi. Chissà che fine faranno le mie parole, dentro il tuo sonno; chissà dove andranno a depositarsi, e se da qualche parte riusciranno a sopravvivere – al fondo di te. Dicono che la parte più importante di noi sia quella nascosta, quella di cui siamo inconsapevoli, e dicono che sia la più importante proprio perché è nascosta, proprio perché ne siamo inconsapevoli. È la parte di noi sulla quale tutto il resto si appoggia. È sommersa, non si vede: ma tutto il resto crollerebbe, senza. Forse è la stessa cosa, ma io penso questo: che non sia solo la nostra mente, o la nostra anima, ad assorbire la vita che viviamo, ma anche il nostro corpo. È il nostro corpo, nella sua interezza, a custodire la nostra verità: e vive, il nostro corpo, anche quando dormiamo, anche quando non sentiamo o crediamo di non sentire. Anche il nostro corpo può ricevere parole, anzi le riceve per primo – e le assorbe. Tutto quello che succede, tutto, ci rimane addosso, e costruisce ciò che siamo. Neppure il sonno ci libera dalla verità: non ci assolve né ci condanna, forse è solo una ferita attraverso cui la vita, che non smette di scorrere, continua a filtrare. Dormi, intanto ti parlo e il tuo corpo mi ascolta.

 

*

 

La verità in fondo a noi, che non si può ricor-

dare – né si può dimenticare.

 

 

2. Da dove nasce il nostro incontro? Cosa ci ha fatto incontrare? E cosa ci ha portato fino a qui, sulla soglia di questa notte? Dentro quale memoria del futuro vivevi, dentro quale immaginazione? Eri già quel che sei, prima di esserlo per me? Oppure: cos’ero, io, prima di te? Sono due facce di una stessa medaglia: mi domando dove fossimo, prima di questo tempo nel quale ci siamo incontrati, prima di questa notte, mi domando se non ci stessimo cercando senza saperlo. Non arrivo a pensare che tutto ciò che ci accade sia sempre il frutto della nostra volontà; o addirittura che non si muoia se non per suicidio. Chi lo ha detto voleva esagerare, provocare. Però non è forse vero che vivere significa ostinarsi a portare a compimento un ricordo? Me lo chiedo, te lo chiedo, ma in realtà lo affermo: vivere, in fondo, non è altro che questo, che ostinarsi a portare a compimento un ricordo, che un rimanere fedeli a noi stessi o a qualcosa che dentro di noi ha lasciato un segno, una traccia anche impercettibile – un’ombra, un odore, una carezza, un volto appena intravisto o solo sognato. E perché non pensare, allora, che quel volto fosse il tuo?

 

*

 

Ciò che si dà senza mostrarsi; ciò che si mostra

senza darsi. La vita come tensione, all’incrocio

dei venti o delle strade; la vita che infine non

tema di denudarsi.

 

 

3. O forse questa notte è solo un sogno. Forse non siamo noi a dominarla e ad abitarla: forse è lei a dominare, ad abitare noi. E forse è questo che succederà, quando verrà l’alba: svanirà un sogno. Non mi sto contraddicendo, sai? O forse sì, ma cosa importa contraddirsi? È un lusso che possiamo permetterci, che almeno la notte, questa notte, ci consente di prenderci. Nessuno ci sente, nessuno ci giudica: siamo qui, tu e io, infiniti e soli. Ecco il lusso, ed ecco perché non mi sto contraddicendo. Non voglio dire che questa notte non sia reale, o che lo sia meno di noi e del tuo corpo in ascolto. Voglio dire piuttosto che tutto ciò che non ci riguarda, fuori da qui, e che troppo spesso ci pesa, da qui sembra solo una battaglia lontana, è quasi solo un’eco, un rumore attutito, un soffio di vento. E più che una contraddizione, quindi, la mia è un’illusione – forse perfino sbagliata: che all’alba il sogno non svanisca, che il fiore rimanga leggero anche alla luce del giorno, che le mie parole possano continuare a trovare un’accoglienza nel tuo corpo morbida e quasi arresa come la trovano ora. Potremmo dire, volendo, che sto proteggendo la tua resa, per quanto solo notturna, questa temporanea caduta di ogni difesa. O forse di più, molto di più: che sto difendendo ciò che sono e che sei, ciò che siamo. Che sto difendendo l’amore, davanti ai miei occhi e sulle mie mani.

 

 

[Immagine: Todd Hido, #1536, 1996, particolare]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *