di Marco Zonch

 

[Questo saggio fa parte di un più vasto studio di Marco Zonch sulle “Scritture post-secolari”, articolatosi in diversi articoli e interventi pubblici e infine concretizzatosi nel volume Scritture postsecolari. Ipotesi su verità e spiritualità nella narrativa italiana contemporanea, edito da Cesati nel 2023.]

 

I. Terra ignota

 

Tra le pubblicazioni di Vanni Santoni (1978), che esordisce nel 2007 con Personaggi precari, si contano alcuni romanzi, racconti, un manuale di scrittura (La scrittura non si insegna, 2020), articoli di giornale e una raccolta poetica (Other rooms/Altre stanze, 2023). Si tratta, in più di un caso, di opere di taglio generazionale, che toccano temi quali sostanze psicotrope e sottocultura rave: se ne parla per esempio in Muro di casse (2015) e nel racconto La solitudine della verità (2017). Ha altrettanto spazio la cultura pop, quella dei videogiochi, giochi di ruolo, fumetti, film e cartoni animati, che spesso vengono consumati dai personaggi, o che sono fonte di situazioni e strutture narrative. Nella Stanza profonda (2017) per esempio, giunto nella dozzina finalista al Premio Strega dello stesso anno, si racconta di un gruppo di amici che si riunisce per giocare a Dungeons & Dragons, gioco di ruolo creato nel 1974 da Gary Gygax e Dave Arneson. Santoni è stato inoltre autore di un ciclo fantasy, composto da Terra ignota – risveglio e da Terra ignota – le figlie del rito (2013 e 2014), caratterizzato dal citazionismo e da un approccio al genere che potremmo definire intertestuale.

 

Proprio a Terra ignota, qui, ci interesseremo. Lo si farà per diverse ragioni: innanzitutto, perché si tratta di un ciclo fantasy, scritto da un autore che ha più volte affermato di attribuire molta importanza alla questione spirituale. Poi perché in Terra ignota effettivamente si parla di mistica e sostanze psicotrope, intese non come semplici mezzi di svago, ma come porta d’accesso a nuovi stati di consapevolezza. Il che significa, e detto brevemente, che ci troviamo ancora una volta ad avere a che fare con dei romanzi e delle ontologie che, dall’esterno almeno, sembrano superare la logica del genere a cui appartengono. Santoni è inoltre, lo si sottolinea per rispetto al nostro criterio d’inclusione-notorietà, una figura attiva dal punto di vista culturale: è stato direttore della collana di narrativa di Tunué, è membro della redazione di due dei più noti blog letterari italiani («Le parole e le cose», «minima&moralia»), ed è stato promotore di iniziative quali il progetto di scrittura collettiva «SIC» o il rilancio delle “classifiche di qualità” attraverso la rivista «L’Indiscreto».

 

Sperando queste siano ragioni sufficienti a motivare lo studio della produzione di genere di Santoni, e prima di affrontare i testi, dobbiamo chiarite alcune questioni generali riguardanti Terra ignota. Bisogna infatti dire, e da subito, che Santoni pubblica i due Terra ignota aggiungendo HG al suo nome. L’aggiunta di queste due lettere ha lo scopo di segnalare, con le parole dell’autore, «il fatto che questo del fantastico è un percorso parallelo e differente»[1] rispetto a quello principale della sua produzione; sono al contempo un omaggio al Guido Morselli di Dissipatio HG. Tale separazione rimane, però, in vigore soltanto fino alla pubblicazione dell’Impero del sogno (2017), di Vanni Santoni e non di Vanni Santoni HG, che può venir considerato come una sorta di prequel/terzo capitolo del ciclo. L’impero del sogno risponde infatti al desiderio, reso esplicito nella nota conclusiva del romanzo, «di dare, un giorno, una spiegazione “cosmologicamente coerente” alla natura intertestuale del mondo fantastico»[2] in cui si svolgono i fatti narrati in Terra ignota. Precisando quanto detto in precedenza, sarà dunque su questi tre romanzi, i due Terra ignota e L’impero del sogno, che concentreremo la nostra attenzione.

 

II. Un fantasy postmodernista?

 

Il punto di partenza obbligato per discutere di Terra ignota dalla prospettiva ontologica che qui si adotta è quello dell’intertestualità, declinata in senso postmodernista. Ne parla l’autore in un’intervista di cui qui riportiamo uno stralcio.

Vedo che adesso molti, riferendosi all’approccio che ho scelto, quello di una grande ibridazione tra canone fantastico “alto” e canone fantastico “basso”, parlano di romanzo postmoderno in chiave fantastica, o addirittura di “post-fantasy”; certo è che, rispetto al mio percorso principale, lavorare a Terra ignota mi ha permesso di sperimentare anche in modo radicale con cose – il pastiche innanzitutto, ma anche le strutture tipiche della narrativa di genere, e specificamente d’azione – che avevo praticato poco, e di farlo in un ambiente per così dire “più sicuro”, in quanto dotato di parametri e confini più chiaramente definiti [3].

 

Quello a cui qui l’autore si riferisce è il metodo di costruzione del mondo in cui vivono i protagonisti di Terra ignota. Santoni, infatti, descrive le sue “terre” facendo ricorso a parti sottratte dalle più diverse fonti: vanno dalla tradizione letteraria nazionale, passano per le religioni orientali e arrivano a Conan il barbaro (il film con Arnold Schwarzenegger del 1982, sceneggiato da Oliver Stone a partire dai racconti di Robert E. Howard e diretto da John Milius). A questa mescolanza di riferimenti, alti e bassi, si deve poi aggiungere la centralità data all’azione, e più in generale il desiderio esplicito di aderire ai canoni del genere.

Thulsa Doom, da “Conan il barbaro”, 1982

Ci troviamo insomma ad avere a che fare con dei romanzi che, da subito, sembrano mettere in dubbio la possibilità di pensarli tra le scritture postsecolari. Sembra cioè azzardato ritenere che i riferimenti alla mistica e al soma – il nome viene dai Veda – contenuti nel testo non siano colore, o che abbiano uno statuto diverso dai riferimenti a Conan il barbaro. È però anche vero che, come detto, l’autore ha più di una volta mostrato di essere interessato a tali tematiche, in maniera tutt’altro che giocosa[4]. Anzi, queste sembrano occupare il centro di altre sue riflessioni e opere. Per esempio i rave, a cui Santoni dedica Muro di casse, vengono descritti come «qualcosa che è musica, ma anche ballo, architettura (o più precisamente scenografia), controcultura, loisir, rito e addirittura tentativo di esplorazione del trascendente»[5].

Insomma, se come detto nella produzione di Santoni si possono trovare esempi di un uso nient’affatto giocoso di elementi spirituali, forse semplici da pensare in termini postsecolari, è al contrario difficile capire come considerare quelli presenti in Terra ignota. La difficoltà, come visto, deriva proprio dallo statuto postmodernista, intertestuale e di genere, della narrazione: interrogato sulla questione, Santoni sottolinea proprio l’incertezza.

Non sono sicuro che Terra ignota possa essere utilizzato appieno come esempio di tale tendenza [di ritorno alla mistica nella letteratura contemporanea]: è del resto, e programmaticamente, un romanzo fantasy. Certo, come ben sai è anche un libro intertestuale, un enorme gioco con tutti i topos […] del canone fantastico occidentale, ma fin dalla progettazione ho voluto che tale discorso fosse al servizio di una storia avventurosa d’impianto classico, e non viceversa [6].

Dovremo allora provare a sciogliere questo nodo, mostrando in questo modo che gli strumenti fin qui utilizzati sono capaci di operare una divisione, importantissima perché la nostra categoria non si trasformi in una sorta di rete a strascico, in cui possano confluire opere in cui lo spirituale è colore.

 

III. Terre ignote

 

I due volumi di Terra ignota raccontano le vicende di Ailis, Vevisa e Breu, tre adolescenti. L’inizio della loro avventura coincide con la distruzione del loro villaggio per mano di un gruppo di cavalieri, membri dell’ordine del “Cerchio d’Acciaio” e alle dirette dipendenze di un gran maestro dell’ordine che svolge de facto il ruolo del sovrano. Arrivati al villaggio, i cavalieri massacrano la popolazione, danno alle fiamme le case e rapiscono Vevisa, identificando in lei una delle figlie del rito; Ailis e Breu si salvano per un caso fortuito e iniziano la ricerca dell’amica scomparsa.
Le figlie del rito sono quattro bambine nate dalla dissoluzione dell’imperatrice, una sorta di divinità responsabile della creazione del mondo in cui sono ambientati i due romanzi; lo creerebbe sognando, e i cavalieri del Cerchio avrebbero il compito di proteggere la cripta dove la dea dorme. Nel momento in cui si svolgono i fatti narrati, però, l’imperatrice ha smesso di esistere: per effetto di un rituale eseguito dagli stessi cavalieri, il corpo fisico della dea è infatti scomparso. Nello stesso momento in cui questo accade quattro donne rimangono incinte senza aver avuto rapporti sessuali: le bambine nate da queste gravidanze sono, appunto, le figlie del rito[7].

 

Edwin Austin Abbey, Galahad e il Graal

Tre di loro verranno rapite e nascoste da alcuni cavalieri che non accettano l’idea, condivisa dagli altri membri del Cerchio, di servirsi dei poteri delle bambine per governare il mondo; l’unica a rimanere nelle mani dell’ordine è la figlia del fuoco. I cavalieri però non smetteranno mai di cercare di cercare le altre tre, ed è proprio durante questa ricerca che i cavalieri attaccano il villaggio in cui abitano Ailis e compagni. Il rapimento di Vevisa, però, è frutto di un errore: la vera figlia del rito è Ailis, che è inconsapevole della propria identità. Ne verrà a conoscenza solo più tardi, e tale scoperta si combinerà alla progressiva assunzione di tratti che ne faranno una «figura messianica»[8].

La progressione narrativa dei due romanzi, come si può ben vedere, rispecchia – e lo fa programmaticamente – i topos del genere. Ma trovano spazio anche altri elementi di provenienza religiosa: non è cioè sbagliato vedere nella immacolata concezione delle figlie del rito un riferimento al cristianesimo, e nella creazione del mondo sognando uno all’induismo[9].
Ai Veda si può poi riportare il soma, di cui non abbiamo ancora parlato ma su cui ora ci concentreremo. Il composto ha infatti un ruolo molto importante nella narrazione: è il mezzo (tecnico) attraverso cui è possibile fare un’esperienza mistica, ottenere un aumento di consapevolezza a cui se ne lega uno in potenza magica; il mondo di Terra ignota contiene infatti magia “da combattimento”, da usare per duelli e in guerra. Potremmo insomma dire che il composto svolga, ne

Spellbook, da Ultima VII p.2

i romanzi, un ruolo assiale. In due sensi: è asse del mondo, perché l’esperienza mistica che si può fare assumendolo rimanda alla verità del mondo stesso; è asse della narrazione, perché alla sua assunzione si legano progressioni, momenti di svolta e via dicendo. Interrogato sul punto, Santoni afferma quanto segue.

 

Questa mia scelta deriva da una semplice aderenza storico-antropologica, sia pure virata in chiave fantasy: il soma vedico era con ogni probabilità una sostanza psicotropa – si dibatte sul suo essere stato la canapa, l’amanita muscaria, la psilocibina o un qualche decotto delle molte piante contenenti DMT – e anche nelle altre maggiori tradizioni mistiche, all’origine della comunione con gli dei (o col mondo spirituale) c’è l’incontro più o meno deliberato con qualche molecola di questo tipo. Senza arrivare alla “stoned ape theory”, che vuole l’intera spiritualità umana discendere dall’incontro degli ominidi con i funghi psichedelici, o alle teorie sul loro uso da parte dei paleocristiani, è noto che le due colonne intorno a cui si è sviluppato il nostro pensiero – quella greca e quella ebraico-cristiana – hanno avuto, nella loro componente più squisitamente spirituale, influenze di questo tipo: il ciceone dei Misteri Eleusini (che segnavano il massimo momento iniziatico per i cittadini) conteneva ergot, claviceps purpurea, la muffa da cui si estrae l’LSD, mentre secondo diversi antropologi il “cespuglio in fiamme” e in generale i primi contatti col divino raccontati nell’Antico Testamento avevano avuto come tramite fattuale piante quali la syrian rue, contenente DMT. Non c’è da stupirsi di tutto questo: basta guardare alla riscoperta della spiritualità avuta negli anni ’60 dalla materialista società occidentale in seguito alla diffusione di massa dell’acido lisergico. Allo stesso modo, non c’è da stupirsi del fatto che le religioni, una volta strutturate, tendano ad abbandonare il “fatto noetico” delle origini: nel momento in cui la religione è organizzata e amministra un potere anche politico, la possibilità dell’esperienza mistica non solo diventa inutile, ma addirittura pericolosa, dato che l’esposizione dei semplici fedeli al sapere iniziatico apre alla messa in discussione del ruolo di mediatore tra umano e divino assunto dal sacerdote.
Essendo Terra ignota una saga che si basa da un lato sull’intertestualità rispetto al canone fantastico e dall’altro sulla nostra tradizione mistica ed esoterica, è venuto logico inserire tali dispositivi, specie considerando che, nelle civiltà che hanno utilizzato o utilizzano psichedelici nei loro riti, questi in genere svolgono anche una funzione di iniziazione all’età adulta, che è poi ciò che capita alla protagonista Ailis con gli eventi del primo volume [10].

 

 

La descrizione del soma e il suo funzionamento in Terra ignota hanno, dunque, origine in alcune teorie antropologiche condivise dall’autore. Inoltre, non si può dimenticare che l’invenzione/prima assunzione dell’LSD viene considerata da Santoni come momento in cui si è aperta l’«era della riproducibilità tecnica dell’esperienza mistica»[11].
Il ruolo del soma in Terra ignota sembra dunque venir definito all’incrocio tra queste due diverse interpretazioni, del fatto religioso e dell’invenzione dell’LSD. È infatti proprio come strumento tecnico-mistico che si comporta nei romanzi: il suo utilizzo non è riservato a sacerdoti o simili, ma è possibile per tutti, cosa che rende il composto problematico. Alla sua assunzione, come detto, si lega infatti un aumento in potenza (magica), cosa che spinge i cavalieri del Cerchio a tentare «di eradicarne l’uso dal mondo, onde riservarlo a una sola casta di eletti»[12].
Lo scopo, evidentemente, è quello di impedire che se ne servano i propri nemici, cosa che permette di affermare esista nel romanzo un rapporto, o problema del rapporto, tra elevazione personale e potere.

 

Riassumendo, potremo dire che il soma sia un elemento della narrazione dallo statuto ambiguo. La sua caratterizzazione viene infatti fatta risalire, come visto, a idee ben precise e molto forti, che sorpassano sia la logica compositiva postmodernista sia quella del genere. Al contempo, è vero anche che il composto serve ad aumentare in potenza magica, e che solleva dei problemi che potremmo definire di potere. A ridosso del soma, detto altrimenti, si incrociano e sovrappongono i due diversi ordini di riferimenti sui quali si basano i romanzi: «Terra ignota [è] una saga che si basa da un lato sull’intertestualità rispetto al canone fantastico e dall’altro sulla nostra tradizione mistica ed esoterica». Questo tuttavia non mi pare sufficiente per sostenere che questi due volumi della saga possano venir considerati postsecolari. È infatti più che possibile che la distinzione tra i due ordini venga fatta solo in sede d’intervista, prima di tutto, e poi perché nel concreto del romanzo i due ordini sono sostanzialmente indistinguibili: il soma, come detto, permette di lanciare incantesimi più potenti. Si potrebbe insomma dire, con un po’ più di precisione, che la logica compositiva del testo rende impossibile stabilire quale sia lo statuto non del mondo della narrazione, che può essere riportato, nel suo complesso, alle regole del genere, ma nello specifico delle parti in cui i personaggi, attraverso la mediazione del soma o altrimenti, esperiscono qualcosa che potrebbe essere chiamato mistica. L’ambiguità di questi momenti ci impedisce però anche di pensarli nei termini in cui McClure pensa alle “sue” finestre, costringendoci dunque a porre Terra ignota all’esterno delle scritture postsecolari, o forse a considerare i due romanzi che come caso limite.

 

Prima di proseguire affrontando l’ultima parte del ciclo, e volendoci soffermare ancora per un momento sulle implicazioni “politiche” del soma, vale la pena ricordare che quello di Terra ignota non è il primo utilizzo letterario del composto: uno su tutti, quello di Aldous Huxley nel Mondo nuovo. Il rimando non è casuale, perché la differenza tra il soma del Mondo nuovo, droga di regime utilizzata per controllare le masse, e il soma di Terra ignota non potrebbe essere più grande. A dispetto dell’origine comune nei Veda, e delle similitudini negli effetti concreti, da un lato abbiamo l’esperienza mistica, l’aumento in potenza che i cavalieri vogliono monopolizzare; dall’altro uno strumento di controllo distribuito gratuitamente a tutti. Questa differenza, forse, rimanda alla centralità delle esperienze lisergiche degli anni Sessanta e Settanta, e alle trasformazioni avvenute, anche, nella considerazione della religiosità stessa: qui però ci dobbiamo fermare.[13]

 

 

IV. L’impero del sogno

 

Scritto qualche anno dopo la conclusione delle avventure di Ailis, L’impero del sogno è un prequel che risponde alla volontà di ricucire insieme le due parti della produzione di Santoni. L’operazione ha alle spalle il modello fumettistico (firmato Marvel) della continuity, l’idea cioè che le avventure di supereroi come Hulk, Ironman ecc., ciascuno protagonista della propria serie a fumetti, si svolgano in realtà nello stesso universo narrativo. Compito dell’Impero del sogno è dunque quello di produrre tale unità. Lo spiega Santoni:

 

È vero anche che esiste una sorta di macroromanzo composto da vari miei libri e attraversato da una sola continuity: esso parte da Gli interessi in comune, da cui si estendono tre raggi, rappresentati dai personaggi di Iacopo Gori, Filippo “Paride” Paridelli e Federico “Mella” Melani, che vanno a essere i protagonisti, rispettivamente, di Muro di casse, La stanza profonda e L’Impero del sogno. A loro volta quei libri hanno degli spin-off, come il racconto Emma & Cleo contenuto nell’antologia L’Età della febbre (minimum fax 2015, NdR), che approfondisce un altro personaggio di Muro di casse, Cleopatra Mancini [la quale sarà poi protagonista della Verità su tutto, del 2022, NdR]. Con L’impero del sogno ho per certi versi chiuso un cerchio, collegando tale produzione più realistica ai due fantasy di Terra ignota.[14]

 

La prima conseguenza di questa mediazione narrativa è la differenza di genere, o meglio di sottogenere, che distingue Terra ignota e dall’Impero del sogno. Se i primi sono high fantasy, con cavalieri e draghi in un mondo completamente “altro”, l’ultimo è invece uno urban fantasy: si svolge in Italia e ha per protagonista Federico Melani, detto il Mella, uno studente universitario ventenne interessato più ai giochi di ruolo e alle droghe che non allo studio. Siamo nel 1997 e il Mella, così si apre il romanzo, discute con degli amici riuniti per giocare

il Black Lotus, la carta di “Magic” di maggior valore

a Magic – un popolare gioco di carte collezionabili – di un sogno che personaggio e autore[15] definiscono «iniziatico».[16]
Tra una partita e l’altra, infatti, vengono elencate alcune delle più note teorie psicologiche – da Freud in poi – alla ricerca di una spiegazione per ciò che il Mella vive in sogno. La spiegazione, però, non si trova, e la cosa «da un lato permette […] di archiviare le letture psicanalitiche per lasciare campo libero al fantastico; dall’altro suggerisce che già l’arrivo in quello spazio che Melani vede come un palacongressi è il compimento di un primo, e completo, percorso iniziatico.»[17]

 

Lasciando da parte la questione del palacongressi, meta verso cui Melani si dirige sognando e di cui parleremo tra poco, importa osservare che il sogno, benché iniziatico, mantiene alcune delle sue caratteristiche abituali. Personaggi, luoghi ed eventi, infatti, provengano dall’esperienza diurna del Mella, ma anche dall’arte, dai giochi, dalla mitologia, dai film e dai libri di cui è appassionato. Sono insomma dei sogni “intertestuali”, perfino nella loro struttura, che è simile a quella di un videogioco: il ragazzo sarà costretto ad affrontare nemici sempre più forti, e a trovare il modo per sconfiggerli facendo ricorso ad armi “magiche” di varia provenienza. A una stessa origine videoludica, probabilmente, si può poi riportare un’altra caratteristica del sogno. Quest’ultimo, infatti, non si interrompe durante la veglia del protagonista. Prosegue, e ciò significa che il tempo che il Mella passa da sveglio corrisponde a un salto temporale nel sogno: quando si riaddormenta, non riprende da dove aveva lasciato, ma un po’ più in là, come se un videogiocatore non potesse riprendere il controllo del proprio personaggio a partire dall’ultimo salvataggio, ma dovesse lasciare il proprio avatar libero di agire per conto proprio quando la consolle è spenta.

 

Per ovviare al problema, e poter stare il più a lungo possibile addormentato, il Mella ricorrerà a dosi sempre più massicce di sedativi, che gli consentiranno di dormire e di vivere la sua avventura onirica per intero, o quasi. Torna dunque anche qui l’uso di sostanze capaci di alterare le normali funzioni fisiologiche, con la differenza che, a rigore, quelle dell’Impero del sogno non hanno il compito di scatenare l’esperienza iniziatica (o mistica). Quest’ultima avviene in maniera indipendente: i sedativi hanno il solo scopo di permettere il suo pieno svolgimento.

Quello che accade “concretamente” durante il sogno può essere riassunto come segue. Il Mella si muove in un ambiente le cui caratteristiche sono definite, come si è detto, sulla base di giochi, romanzi ecc. allo scopo di arrivare in un palacongressi. Qui si stanno riunendo le più strane delegazioni – alcune composte da dèi etruschi, altre da esseri che hanno l’aspetto stereotipico degli alieni – per discutere dell’affidamento di un uovo al cui interno si intravede un feto umano; l’uovo viene “recapitato” al palacongressi nientemeno che da Shiva e la sua custodia verrà assegnata proprio al Mella.

 

Il dio etrusco Phersu, tra gli antagonisti dell’Impero del sogno

Nel momento in cui ciò avviene, l’uovo si schiude rivelando il suo contenuto: una bambina. La vista della neonata, ci viene detto, provoca al protagonista una reazione che può essere descritta solo facendo ricorso a «emblemi da mistico»

Sento la sua voce lontana perché la bimba mi guarda in faccia e io guardo lei e vedo un volto, sì, ed è un volto di bimba e il volto di molte bimbe e ragazzine e ragazze e donne, ma anche un disco di fulgore intollerabile. Come trasmetterlo? Basta dire che, mentre sento gli occhi abbacinanti vibrare e lacrimare vedo tutti i luoghi della Terra, visti da tutti gli angoli? Servono emblemi da mistico, che so, un uccello che in qualche modo è tutti gli uccelli, una sfera il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo, un angelo con quattro volti che si dirige contemporaneamente a oriente e a occidente, a nord e a sud… Come lo so? Lo so perché anche tutto questo è contenuto in ciò che vedo, in ciò in cui mi perdo…[18]

 

Questa sorta di elenco prosegue sullo stesso tono per alcune pagine. Si tratta di una teofania, le cui caratteristiche vanno però precisate. Gli «emblemi da mistico» che qui trovano impiego non corrispondono esattamente a una esperienza, appunto, mistica, ma sono impiegati allo scopo di descrivere l’incontro del Mella con una dea.

 

[…] Messo da parte l’armamentario psicoanalitico con il quale il protagonista tenta di spiegarsi, inizialmente, la natura del proprio sogno, e che nella nota conclusiva sembra assumere il ruolo dello strumento per dare ragione dell’intertestualità, la vera natura del percorso compiuto dal Mella sembra essere quella del viaggio iniziatico (p. 14, 111). Al centro, un’esperienza mistica. Mi riferisco al volto della bambina che incontra nel sogno per la cui descrizione, appunto, «Servono emblemi da mistico» (p. 102).

 

Una cosa è quanto accade nel romanzo, un’alta il modo in cui è descritto, e i dispositivi a cui si ricorre per farlo in modo efficace. Che L’impero del sogno abbia anche una chiave lettura esoterica, non c’è dubbio. Detto questo, è necessario considerare che la teofania di Melani non avviene a fine romanzo, come culmine e risoluzione di un percorso, ma a metà di esso, come inizio di un percorso invece nuovo e differente. […] la visione delle pp.102-104 non è tanto portatrice di un valore simbolico quanto, paradossalmente, di uno realistico: siamo di fronte a un ragazzo che per la prima volta guarda in faccia una dea. Come descrivere ciò che esperisce? Servono, appunto, “emblemi da mistico”, e dunque per rappresentarla in modo efficace ho attinto al mio bagaglio conoscitivo ed esperienziale in quest’ambito. [19]

 

L’impiego di tale vocabolario non andrebbe quindi ricondotto alla volontà di mettere in scena un’esperienza mistica ma al desiderio di raccontare, in modo appunto realistico, l’esperienza fatta dal protagonista. Tuttavia, e a dispetto della giustificazione “narrativa” dell’autore, ciò che segue all’incontro con la bambina-dea sembra suggerire che questa esperienza debba comunque venir considerata come momento di accesso al vero.
Con l’elezione a custode della dea inizia la fuga del protagonista, che si concluderà solo alla fine del romanzo. Il Mella è infatti costretto a scappare, lottando per difendere se stesso e la bambina dagli attacchi di tutte le altre delegazioni: vorrebbero impadronirsene per controllarne il potere. Gemma, questo il nome che le verrà dato, avrà infatti la possibilità di creare un suo mondo. Crescerla significherà allora influire sulle caratteristiche della nuova realtà in procinto di nascere, cosa che ciascuna fazione vorrebbe fare a proprio vantaggio. Al contrario, rimanendo con il Mella e Livia Bressan, l’altro membro della delegazione che il Mella incontra dopo la fine del sogno, potrà ricevere una formazione antidogmatica ed essere libera di creare nel modo che più preferisce. A tal proposito si prenda in considerazione questo dialogo. La prima battuta è di Livia.

 

«Tranquillo, solo letture edificanti. Sai che prima l’ho beccata con la Bibbia…»
«Gliel’hai tolta, voglio sperare.»
«Eh be’. Certo. Ci manca solo che legga il Corano e siamo sistemati!»
«Cosa sei, xenofoba?»
«Ah, la Bibbia no e il Corano sì? Comunque per consolarla le ho dato i miei Tarocchi di Marsiglia.»
«Si sta lustri.»
«Vanno benissimo invece. Più impianti simbolici aperti, meno dogmi.»
«Avrei dovuto rubare quel cofanetto dei Veda che c’è in biblioteca al paese… […]»[20]

 

Dallo scambio emergono alcuni elementi per noi importanti. Il primo di questi, come già detto, è che la formazione che viene ritenuta migliore/adeguata è a carattere antidogmatico, libero e sincretico: Gemma deve cioè essere libera di muoversi come meglio crede tra i diversi «impianti simbolici» contenuti nelle biblioteche del Mella e di Livia: la prima è composta da manuali di giochi di ruolo, fumetti e opere del fantastico; la seconda da volumi di filosofia e da pubblicazioni sul tema dell’occulto. Queste “due biblioteche” saranno infatti i materiali che la dea utilizzerà per creare il suo mondo: Terra ignota. Scopriamo, come sarà forse evidente a questo punto, che Gemma è la divinità creatrice del mondo di Terra ignota, cosa che ne spiega la natura intertestuale, ed espediente narrativo attraverso cui si arriva alla “continuity”.
Tornando al dialogo tra Livia e il Mella, mi sembra semplice leggere il sistema di verità qui implicitamente contenuto attraverso il filtro del vel vel: diverse verità, impianti ontologici e riferimenti possono convivere insieme, e anzi dovrebbero farlo. A questa prima constatazione se ne deve aggiungere poi una sull’implicita validità che viene attribuita al sapere religioso, possibile quando lo si includa in un sistema debole. Inoltre, si deve anche notare che la distinzione tra le biblioteche del Mella e di Livia riproduce, in modo esplicito, quella tra i due ordini di riferimenti che l’autore aveva indicato per Terra ignota. Ma tra questi, appunto, Gemma deve essere libera di muoversi, e si potrebbe allora pensare che la lotta dei due ragazzi contro le altre delegazioni sia stata intrapresa proprio per difendere la possibilità dell’individuo di costruire il proprio impianto di fede/immaginario[21].

 

La cosa, in effetti, diviene esplicita quando si prenda in considerazione il finale del romanzo, in cui il Mella si ritrova a dover fronteggiare “l’uomo in camicia”, delegato di logge e circoli e dichiarata allegoria della società[22]. Pur di non lasciar cadere Gemma nelle sue mani, il Mella deciderà di sacrificarsi, chiudendo in questo modo un percorso che va dall’incontro con il divino, a quello che potremo chiamare un ritorno alla città con compiti “politici”. Il riferimento è qui alla lettura foucaultiana dell’Alcibiade: l’anima che ha colto il divino saprà distinguere il bene dal male «e, sapendo come è necessario comportarsi, saprà anche governare la città»[23]. Non si tratta però di una identità tra il ritorno di cui

Michel Foucault sperimenta l’LSD con Simeon Wade, 1975

parla Foucault e quello del Mella, dal sogno alla città. Il protagonista dell’Impero del sogno non ritorna infatti per governare, ma per opporsi alle logiche della città/società, personificate nell’uomo in camicia.
Dovremo approfondire la questione dell’“impegno”, e lo faremo nelle prossime pagine, ma mi pare si possa già ora prendere posizione sul problema dell’inclusione/esclusione dalle scritture postsecolari. La centralità che il romanzo assegna al momento della teofania, provata dalle sue conseguenze, si accompagna infatti a una qualificazione iniziatica del sogno e delle avventure del Mella. Il fatto, poi, che l’autore parli di realismo riferendosi all’incontro tra protagonista e dea non sembra essere del tutto pensabile come ricerca di coerenza narrativa. Almeno in parte, questa sembra infatti rimandare alla possibilità che una tale esperienza si possa dare anche nel nostro mondo.

 

V. Esso/esoterico

 

Per meglio precisare la possibilità inclusiva, dobbiamo ora riprendere e discutere la doppia lettura (esso/esoterica) a cui rimanda Santoni nell’intervista citata nel paragrafo precedente: «Che L’impero del sogno abbia anche una chiave lettura esoterica, non c’è dubbio.» Per capire che cosa questo significhi per noi, e più in generale per il romanzo, dobbiamo innanzitutto considerare la natura citazionistico-parodica del testo. L’impero del sogno, infatti, oltre che momento di ricucitura vuole essere parodia di «un certo filone della narrativa di consumo, imparentato con il complottismo»[24]. Più in generale, si presenta come un’opera d’intrattenimento, che si serve a piene mani di strumenti postmodernisti: citazione e, appunto, parodia.

Si tratta di premesse molto simili a quelle di Terra ignota – penso in particolare al citazionismo – con alcune fondamentali differenze. La prima, come sarà forse ovvio, si trova nelle dichiarazioni dell’autore, che ammette la doppia possibilità di lettura per questo romanzo ma non per i precedenti. La seconda, interna al testo, riguarda il percorso iniziatico del Mella. A differenza di Terra ignota, L’impero del sogno non lascia spazio ai dubbi sulla natura del sogno del Mella, né sulla “realtà” della sua visione e delle sue conseguenze. Detto altrimenti, sembra possibile affermare che dietro alla maschera postmodernista, il romanzo faccia un discorso ontologico tutt’altro che giocoso. Insomma: ci troviamo ancora una volta ad avere a che fare con una sorta di double coding – uso l’espressione pensando a quali sono le tecniche compositive utilizzate per il romanzo – che è stato risignificato in senso esso/esoterico: era già avvenuto con Evangelisti, anche se su un piano “di oscurità” completamente differente.

 

Ermes Trismegisto, dal Viridarium chymicum, 1624

La presenza di tale meccanismo ci legittima, da una prospettiva differente, ad affermare che il mondo del Mella non può venir ridotto in ogni sua parte al genere testuale. Detto altrimenti, se è corretto intendere la questione spirituale come esoterica, e la parodia/avventura come essoterica, abbiamo acquisito un altro elemento molto forte a favore dell’inclusione del testo tra le scritture postsecolari. Che sia possibile leggere in senso spirituale il testo, sembra venir confermato anche dal modo in cui è stato accolto il romanzo, da alcuni inteso come storia di una assunzione di responsabilità, “ritorno alla realtà”[25], o come passaggio alla vita adulta. Alle spalle di queste letture, che ricorrono ad alcune delle parole più utilizzate oggi, si può infatti intravedere proprio il nostro problema. Il che significa: per quanto imprecise dal punto di vista della concettualizzazione del problema, se non altro perché nascondono lo strettissimo legame che nel testo unisce “ritorno alla realtà”, responsabilità e spiritualità, è stato già stato notato che il mondo dell’Impero del sogno non si accontenta di essere gioco, possibile, ma prova a dire qualcosa sul nostro mondo: l’esperienza mistica è possibile, e conduce a un aumento in potenza.

 

VI. Controcondotte?

 

Come detto, sia in Terra ignota che nell’Impero del sogno viene posto un problema del rapporto tra spiritualità e azione, potere/potenza. Era il soma nel primo caso, è la lotta per il controllo della bambina-dea nel secondo. Ma se è semplice individuare la presenza di questi rapporti, lo è molto meno provare a capire in che modo essi funzionino, certo nel limite della schedatura non esaustiva che qui proviamo a fare. In questo senso, mi pare utile provare a capire se sia possibile, oppure no, servirci delle (contro)condotte foucaultiane. Bisogna tuttavia distinguere, evidentemente e prima di cominciare, la riflessione che si farà qui da quella che [in capitoli precedenti del libro Scritture postsecolari, NdR] si è fatta per Moresco o Saviano. Se in questi casi, infatti, ci si era potuti concentrare sulla concezione e sugli obiettivi della scrittura per come sono stati definiti dagli autori stessi, qui si dovrà riflettere soprattutto all’interno della scrittura. L’obbiettivo rimane quello di capire se davvero il testo possa venir incluso tra le nostre scritture postsecolari, e non quello di esaurire lo studio della produzione di Santoni.

Cominciamo dunque dall’elemento che più distingue le posizioni di Santoni dalle altre in cui ci siamo imbattuti: la riproducibilità tecnica dell’esperienza mistica. Di tale caratterizzazione avevamo trovato traccia in Terra ignota – era la lotta per il controllo del soma –, ma una stessa concezione sembra emergere nell’Impero del sogno. Lo si afferma innanzitutto perché il suo protagonista non è un asceta, o un mistico in senso classico. Conta poi il metodo con il quale viene assegnata la custodia della dea, una votazione, cosa che sottolinea una volta ancora la non esclusività dell’esperienza. Detto altrimenti, tutti i delegati avrebbero la possibilità di “accogliere” il divino, uomo in camicia-società compreso, e il motivo per cui a venir scelto è proprio il Mella è che agli altri sembra facile sottrargli la bambina. È insomma una decisione politica, se non altro perché mette d’accordo tutti i delegati sul fatto che la lotta non si chiude con il voto.

 

L’elemento a cui bisogna dedicare più attenzione è proprio quello della lotta. Innanzitutto perché essa non sembra pensabile al di fuori di questo contesto di riproducibilità: se la mistica fosse esperienza di pochi “eletti”, e non vi fosse modo di impossessarsi della loro capacità di contatto con il divino, la lotta perderebbe di senso. Nell’impero, al contrario, la lotta “ontologica” occupa il centro della narrazione, e oppone quelli che vogliono impossessarsi della bambina per creare a loro proprio beneficio a coloro che sostengono l’importanza di una creazione libera, antidogmatica e sincretica. Potremmo insomma dire, riassumendo e senza troppo rischiare di sovrainterpretare, che lo scontro abbia lo scopo di evitare che il divino si trasformi in uno strumento di potenza. È questa, credo, la conseguenza più importante della mutazione di contesto: il passaggio della mistica dalla zona dell’extra-politico, al politico[26]. Riassumendo: l’esperienza mistica viene intesa come aumento di potenza (magica in Terra ignota, di controllo della realtà nell’Impero del sogno); essa è riproducibile, ed esperibile da tutti; può quindi divenire strumento di potenza, anche per chi non è primariamente interessato alla spiritualità; la conseguenza è la lotta[27].

 


Il contesto in cui cerchiamo di identificare un problema del condursi è, dunque, profondamente mutato. Differisce cioè in maniera significativa da quello in cui, così l’intende Foucault, la mistica poteva venir intesa come una forma di controcondotta: essa non sfugge più al controllo, proprio perché divenuta tecnicamente riproducibile. Nel momento in cui lo si afferma ci si accorge però di un problema. Da questa prospettiva, non è infatti difficile sostenere che la lotta del Mella e di Livia possa venir intesa come tentativo di difendere lo statuto tradizionale della mistica, come appunto extra-politica[28]. Proprio come extra-istituzionale viene del resto pensata da Santoni[29], e in questi termini vengono celebrate anche pratiche e i luoghi che la ospitano. I rave di cui si parla in Muro di casse, per esempio, si farebbero veicolo di un’«idea di un riutilizzo radicale dei gusci lasciati vuoti dal capitale – i residui insomma dell’industria novecentesca –, un processo che trasformandoli in baccanali va peraltro oltre la semplice riappropriazione urbana per assumere note di nuovo misticismo»[30]. I luoghi della mistica sono insomma quelli in cui trovano spazio pratiche tutt’altro che conformi all’ufficialità, civile o religiosa.
Proseguire a questo punto diviene difficile, probabilmente impossibile. I romanzi che abbiamo studiato qui, quelli abbiamo solamente accennato e nelle interviste non si parla di mistica e spiritualità con scopi di conversione del lettore, o pensando alla scrittura come a una forma di preghiera. La letteratura, infatti, viene pensata da Santoni in senso più “tradizionale”. La cosa si traduce in un discorso che non ha lo scopo di convertire il lettore, ma quello “a minore” della celebrazione di tali esperienze. La cosa diviene esplicita quando si leggano alcune delle risposte di Santoni – le ultime due – all’intervista contenuta in appendice a questo capitolo, ma anche quando si prenda in considerazione quanto l’autore afferma a proposito delle possibili interazioni tra sostanze psicotrope e scrittura.

 

Il discorso meriterebbe maggior spazio e approfondimento, ma credo che c’entri il fatto che la letteratura è, tra le arti, quella più dipendente dal proprio stesso canone: quando scrivi un romanzo, lo stai inevitabilmente scrivendo seduto su una infinita ziggurat fatta dai libri che sono venuti prima, e in simili condizioni la noesi, la conoscenza intuitiva, l’accesso a una realtà acategorica, finanche la rivelazione mistica, sono molto meno utili rispetto ad altre arti [31].

 

A differenza di autori come Moresco, Santoni sembra insomma avere una concezione più “tradizionale” di letteratura, in cui cioè il peso della lezione postmoderna – e dunque di tutto ciò che è intertestualità – porta a considerare smorzato l’effetto dell’«apertura delle porte della percezione», benché questa comunque giovi «a chiunque stia intraprendendo una ricerca (e la scrittura lo è sempre)»[32].

Potremmo dire, chiudendo, che proprio perché concepita in senso (almeno in parte) postmodernista, la letteratura non sia lo spazio della spiritualità in senso proprio. Altri sarebbero cioè i luoghi e gli strumenti adatti a ospitarla, e altri sono anche quelli in cui cercare forme alternative del condursi: «nel momento in cui non si è soli con la nostra mente (o la nostra anima), ma sono in ballo interazioni con altri, risulta più significativo ciò che, come i giochi di ruolo o i free party, aiuta a disegnare nuove modalità di relazione umana attraverso logiche cooperative e inclusive, piuttosto che competitive e divisive»[33]. Benché, insomma, non sia la letteratura il luogo in cui cercare o produrre un simile cambiamento, sembra comunque che la variazione sperata debba avvenire sul piano delle condotte. La possibilità, però, che la mistica dei free party faccia da sostegno a questo processo viene messa a rischio proprio dalla perdita dello status extraistituzionale della mistica. Compito dell’individuo, così almeno leggendo L’impero del sogno, è innanzitutto quello di difendere lo status della mistica stessa. Rimane tuttavia il dubbio, infine, se quello a cui si mira siano delle controcondotte o meno.

 

Marco Zonch (1988) lavora all’Università di Varsavia, dove insegna lingua italiana e tiene corsi dedicati all’estremo contemporaneo letterario. Ha organizzato il ciclo di conferenze Religioni letterarie (Varsavia, 2018 e 2023) e ha pubblicato articoli su autori italiani contemporanei su diverse riviste.

 

 

Note:
[1] M. Tondi, a cura di, Intervista a Vanni Santoni: da “Personaggi precari” a “Terra ignota”, in Sul Romanzo, 11/01/2014
[2] V. Santoni, L’impero del sogno, Mondadori, Milano, 2017, p. 273.
[3] M. Tondi, a cura di, Intervista a Vanni Santoni: da “Personaggi precari” a “Terra ignota”, cit.
[4] V. Santoni, Psychedelic party, in minima&moralia, 13 gennaio 2017
[5] V. Santoni, Muro di casse, Laterza, Roma-Bari, 2015, p. VII; «nessun dato può avvicinarsi al significato profondo del trovarsi lì, a ballare fino al mattino»; ibidem.
[6] Santoni prosegue indicando come, però, uno degli episodi del romanzo vada nella direzione suggerita dall’intervistatore. Cfr. A. Zandomeneghi, a cura di, A colloquio con Vanni Santoni | sulla letteratura, un’intervista ‘massimalistico-rizomatica’, da Zest.
[7] Si verrà poi a sapere dell’esistenza di una quinta bambina. A ciascuna di esse, infatti, corrisponde un elemento – aria, fuoco, terra, acqua ed etere – tuttavia solo quattro di questi sono riconosciuti dalla dottrina ufficiale. Di conseguenza nessuno si è premunito di andare alla ricerca di una quinta bambina.
[8] Ibidem
[9] Anche la storia della creazione contenuta in Zero il robot di Aldo Nove avviene tramite un sogno.
[10] M. Zonch, Mondo, mistica e città. Intervista a Vanni Santoni, da Nazione Indiana
[11] A. Zandomeneghi, a cura di, A colloquio con Vanni Santoni, cit.
[12] M. Zonch, Mondo, mistica e città. Intervista a Vanni Santoni, cit.
[13] Abbiamo inoltre incontrato qualcosa del genere anche in Evangelisti, e nella resistenza (razionale) che Eymerich oppone alla visione indotta dall’acqua celestina di Rupescissa.
[14] F. Spiedo, Intervista a Vanni Santoni, da Typee, 29/01/2019
[15] M. Zonch, Mondo, mistica e città. Intervista a Vanni Santoni, cit.
[16] V. Santoni, L’impero del sogno, op. cit., p. 14.
[17] M. Zonch, Mondo, mistica e città. Intervista a Vanni Santoni, cit.
[18] V. Santoni, L’impero del sogno, op. cit., p. 102.
[19] M. Zonch, Mondo, mistica e città. Intervista a Vanni Santoni, cit.
[20] V. Santoni, L’impero del sogno, op. cit., p. 243.
[21] La questione dell’immaginario è anche quella che, nel primo numero di «Carmilla», affronta Valerio Evangelisti.
[22] «Ci ho pensato un sacco, mentre stavo lì tra gli uccelli: è che la loggia più grande è la società, infatti anche lì puoi essere fuori o dentro.» Ivi, p. 270.
[23] Per comodità del lettore, si riprende qui una parte di una citazione contenuta in cap. II, par., VII.
[24] V. Santoni, L’impero del sogno, op. cit., p. 273.
[25] M. Marsilio, Il rocambolesco “ritorno alla realtà” di un Peter Pan contemporaneo: L’impero del sogno di Vanni Santoni, da La letteratura e noi, 12/01/2018.
[26] Non si sa qui dire se la citazione del sintagma benjaminiano da parte dell’autore sia, anche, un rimando diretto alle tesi dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, in senso se non altro politico.
[27] Ancora una volta, si deve segnalare una somiglianza tra questa dinamica e quanto avevamo visto comparire in Evangelisti: anche nel ciclo di Eymerich, infatti, la fisica platonica di Frullifer diviene uno strumento di potenza, utilizzato dai governanti per controllare la popolazione. Benché vere, insomma, la loro tecnicizzazione, la possibilità che esse siano alla base di una produzione di strumenti è vista come problematica: si celebrano solamente i ribelli.
[28] «Circa la carica anti-istituzionale dell’esperienza mistica, […] parlerei più di una sua extra-istituzionalità o sovra-istituzionalià: nel momento in cui la questione si sposta fuori dall’esperienza sensibile comune e la trascende verso un senso ulteriore, è inevitabile che gli affari degli uomini – o, peggio, le catene e i gioghi che incessantemente creano e affibbiano a se stessi e a i loro simili – appaiano risibili», dall’intervista di M. Zonch
[29] Ib.
[30] I. Barison, “Muro di casse”, conversazione con Vanni Santoni, da Sul Romanzo, 22/07/2015
[31] A. Zandomeneghi, a cura di, A colloquio con Vanni Santoni, cit..
[32] Ib.
[33] M. Zonch, Mondo, mistica e città. Intervista a Vanni Santoni, cit. Si noti che qui emerge, ancora una volta, la doppia possibilità interpretativa anima/mente.

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