di Giulio Aureliano Pistolesi

 

 

In un articolo di qualche anno fa apparso su questo sito e dedicato all’uscita di un libro di versi dello youtuber Francesco Sole, Simone Burratti compiva un’interessante ricognizione di quella che proponeva di indicare come #poesia, e cioè quel filone mainstream della poesia italiana che, spesso, è l’unico ad affiorare nelle librerie non specializzate, accanto ai classici e ai pochi nomi recenti consacrati dal midcult. Tra gli aspetti più significativi di questo filone, secondo Burratti, c’è la completa separatezza rispetto al mondo della poesia seria, che, com’è noto, pur godendo sempre di notevole vitalità, compie le sue evoluzioni negli spazi ristretti della nicchia, ignoti al pubblico anche colto e incapaci della minima risonanza oltre il giro stretto degli addetti ai lavori – con il risultato paradossale che la poesia contemporanea, molto più di qualsiasi altro genere letterario, si trova rappresentata presso il grande pubblico da autori che verso la poesia stessa – intesa come campo di relazioni, discussioni, riflessioni teoriche etc. – mostrano, più che un rapporto conflittuale, un completo (e generalmente ricambiato) disinteresse.

 

A questa logica del disinteresse esistono però delle eccezioni. Il dibattito sorto intorno al recente exploit commerciale di Franco Arminio (passato, come ricorda Gianluigi Simonetti, da “poeta e prosatore di nicchia, a sfondo depressivo” ad autore di una “lirica di massa terapeutica e ottimista”[1]) ha portato lo stesso Arminio a rivendicare con orgoglio la propria svolta, accusando la letteratura “seria e complessa e colta” di snobismo; una simile prospettiva si ritrova nell’opera dell’altro grande protagonista della poesia pop italiana, Guido Catalano. Ma se l’invettiva di Arminio si risolve negli spazi dello scontro pubblicistico e resta sostanzialmente estranea ai testi, in Catalano l’opposizione alla poesia “ufficiale” è da sempre tematizzata con grande insistenza. Dai primi libri pubblicati con editori indipendenti alle ultime, imponenti uscite per Rizzoli (Ogni volta che mi baci muore un nazista, 2017; Smettere di fumare baciando, 2023), Catalano ha fatto del proprio ribellismo da enfant terrible (condensato in efficaci slogan: “Criminale poetico seriale”, “Ultimo dei poeti” etc.) uno dei filoni principali della propria poesia, capace di rivaleggiare con le altre dominanti (amorosa, ironica, narrativa) al punto da rendere la poesia di Guido Catalano l’unica, tra le recenti esperienze mainstream italiane, a presentare una significativa componente metapoetica.

 

Ora, ciò è sicuramente da attribuirsi anche all’esigenza, in un contesto editoriale che premia un personal branding efficace, di mantenersi riconoscibile; ci sembra però che, a uno sguardo ravvicinato, l’ossessione – poiché di ossessione si può parlare, visto il numero delle occorrenze – di Guido Catalano per la poesia assuma un significato più profondo. Innanzitutto, bisogna definire quale poesia: perché in Catalano il termine significa molte cose, e più precisamente si distribuisce lungo un arco semantico che dal massimo dell’astrazione (la poesia neanche come genere letterario, ma come generica espressione di delicatezza del vivere: “E non ho la benché e maledetta e minima intenzione | di smettere | di scriverti poesie d’amore”[2]) arriva a concretizzarsi nella rappresentazione satirica del mondo poetico contemporaneo, descritto come uno spazio asfittico e dominato dalla seriosità e dal livore (“questi che si fanno le seghe tra loro parlando dei massimi sistemi della poesia”[3]; “questa gente strana, arrabbiata | livorosa, cinica, delusa, frustrata”[4]). A partire da ciò, Catalano descrive una dinamica per cui il poeta libero e creativo, incline a un uso ludico e diretto della parola (cioè lui) si trova messo ai margini dalla “lobby dei poeti”, che lo bolla come cabarettista e gli nega ogni considerazione; allo stesso tempo, i poeti “ufficiali” (un’ immagine fissata con grande efficacia già da Pier Vittorio Tondelli[5]) sono troppo ingabbiati nelle loro rigidezze corporative e consapevolezze teoriche per realizzare una poesia che non sia, chiosa Catalano, “una martellata sui coglioni | ma di quelle pese”[6].

 

Si tratta di una prospettiva che, nel suo gioco di polarizzazione e semplificazione, è facile bollare come populista: chi segue e ama la poesia sa che la produzione contemporanea ha da offrire molto più di quanto Catalano dica, e che la condizione a tratti certamente asfittica del campo è da ricondursi non al temperamento elitario dei singoli poeti, ma, come ha mostrato Guido Mazzoni, a tendenze storico-culturali di lungo corso. Nondimeno, volendo seguire Catalano nella sua provocazione, è interessante notare come, nella pars construens del suo ragionamento, egli si trovi spesso a vagheggiare situazioni in cui le preoccupazioni critiche del dibattito poetico siano sostituite non tanto da una maggiore “intensità” o “ingenuità” poetica (come vorrebbe, a rigore, la prospettiva “populista” di cui sopra), ma da una logica di tipo performativo/produttivo: “il poeta, basterebbe poco | capisse | che una cosa gli si chiede […] mettiti comodo | e scrivine una bella”[7]. Il punto, qui, non è tanto che la poesia sia bella, ma che la poesia sia chiesta; che insomma, in un contesto che da Baudelaire in poi ha dovuto fare i conti con una vertiginosa perdita di mandato sociale (si pensi alla celebre constatazione di Palazzeschi che “gli uomini non domandano più nulla | dai poeti”[8], o al Pasolini della Mancanza di richiesta di poesia) sia invece possibile immaginare, e in un certo senso realizzare, un improvviso, insperato ritorno di legittimazione.

 

Il mercato, dunque, come forza legittimante e positiva, che Catalano, armato di un cinismo che si vorrebbe privo di pregiudizi intellettualistici, mostra di saper cavalcare con disinvoltura; ma anche qui sarebbe un errore fermarsi alla lettera. Perché se è vero che Catalano si dichiara da anni e con grande fierezza “Poeta professionista vivente”, ed esibisce volentieri i muscoli del proprio successo commerciale, è vero anche che, come ha scritto Fausto Curi a proposito di Baudelaire, la “totale disponibilità alla mercificazione”, per quanto smaliziata, rappresenta sempre “la conversione di uno stato coatto in vocazione”[9]; e di una mercificazione così urlata e così spesso chiamata in causa, al netto del beffardo di cui l’autore la colora, è difficile non vedere le implicazioni contestuali – e cioè l’assenza di alternative, per il poeta contemporaneo, che non siano la mercificazione o la marginalità. Tra una poesia seria in crisi perenne e un mainstream che, nella maggior parte dei casi, evita accuratamente ogni riflessione su se stesso, Guido Catalano ha il merito di portare i due mondi a frizione, restituendoci uno sguardo tanto desolante quanto veritiero sulle condizioni oggettive della poesia contemporanea ed esprimendo un disagio che ci riguarda tutti.

 

 

 

[1] G. Simonetti, Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario, nottetempo, Milano 2023, p. 29.

[2] G. Catalano, Come se piovesse, in Ogni volta che mi baci muore un nazista. 144 poesie bellissime, Rizzoli, Milano 2017, p. 29, vv. 1-3.

[3] G. Catalano, Domande, in Smettere di fumare baciando, Milano, Rizzoli 2023, p. 241, vv. 6-8.

[4] G. Catalano, Andando a capo a cazzo, vent’anni dopo, in Smettere di fumare baciando, op. cit., p. 15, vv. 33-34.

[5] P.V. Tondelli, Poesia e rock (1987-89), in Un weekend postmoderno, ora in Id. Opere, Milano, Bompiani, 2001, p. 335; cit. in G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, Il Mulino, Bologna 2005, p. 224.

[6] G. Catalano, Il poeta, in Ogni volta che mi baci muore un nazista. 144 poesie bellissime, op. cit., p. 176, vv. 70-71.

[7] Ivi, 73-80.

[8] A. Palazzeschi, Lasciatemi divertire, in Tutte le poesie, a cura di A. Dei, Mondadori, Milano 2002, p. 532, vv. 92-95.

[9] F. Curi, Perdita d’aureola, Einaudi, Torino 1977, p. IX.

2 thoughts on “Guido Catalano, preso sul serio

  1. Quello che denunciano scrittori come Catalano o Arminio, al di là dei loro effettivi meriti letterari, è reale. Il mondo della poesia “seria” è fatto di poeti mediocri non meno, se si vuole, di Catalano o Arminio, pur celandosi dietro un linguaggio a volte completamente oscuro, altre volte sperimentale, altre volte semplicemente banale anche nei contrnuti. Se si è dei lettori competenti non si può non notarlo, eppure tali “poeti” sono a volte finalisti in premi letterari, ricevono omaggi dalla critica più colta (non di rado fatta da altri poeti amici), vengono recensiti o trovano molto più facilmente occasione di pubblicare ciò che scrivono. Più che di snobismo (come sostengono Arminio o Catalano) verso autori ritenuti più popolari, io parlerei per costoro di chiusura autoreferenziale in una cricca di eletti che si difendono tra loro e che si mantengono in auge grazie ad agganci col mondo universitario, editoriale, dei blog, consolidatisi nel tempo. A suggellare il tutto, l’uscita periodica di qualche antologia, curata da uno degli amici, che cataloghi gli eletti (o quelli tra loro che sgomitano di più) e tenti di consegnarli alla storia della poesia contemporanea.

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