di Simone Giorgino e Alessio Paiano
[E’ uscito da poco per Kurumuny, nella collana Beniana, Da questo altrove. Carmelo Bene e Il Sud del Sud dei santi. Una cartografia, a cura di Simone Giorgino e Alessio Paiano. Proponiamo l’introduzione dei curatori].
Il «Sud del Sud dei santi» è la definizione che Carmelo Bene adopera per presentarci la sua idea di Terra d’Otranto, intesa non solo come spazio geografico ma come un articolato sistema logico-concettuale e di significati culturali a partire dai quali è possibile organizzare uno spazio estetico. Sono infatti alcune caratteristiche etno-culturali (ma anche atmosferiche, antroposferiche, litosferiche…) del Salento a creare il sostrato indispensabile per lo sviluppo delle principali direttrici di ricerca di Bene, a partire dal concetto di «depensamento», cioè da quella sospensione del pensiero che è uno dei tratti distintivi della sua poetica. «Se non si è graziati da una siffatta premessa etnica» – scrive Bene in Sono apparso alla Madonna (1983) – «non avrei potuto accedere all’essere senza fondamento, alla spensieratezza, a un’arte teatrantesi che inscena la sospensione del tragico dopo Nietzsche, la irrappresentabilità, il piano d’ascolto in quanto dire, la femminilità come abbandono, la fine del teatrino conflittuale dell’io e delle sue rappresaglie, la mancanza di che si consiste».
Introducendo la categoria estetica (ed estatica) del «Sud del Sud dei santi», Bene racconta una terra che, affrancandosi dall’invalso stereotipo di palude sociale ed economica, o di villaggio-vacanza per un turismo di massa spesso indifferente alle sue peculiarità culturali, può finalmente riscattarsi – «riterritorializzarsi», potremmo dire con Gilles Deleuze – in quanto territorio di poesia. Il finisterre salentino può trasformarsi, così, da periferia estrema – o «infinita», come la definiva il conterraneo Vittorio Bodini, con il quale Bene ha condiviso un’intensa riflessione attorno alla categoria estetica del barocco – in frontiera e ombelico di una nuova civiltà che, proprio a partire dalle contraddizioni che la attraversano, ma anche dalla potenzialità espressiva di alcuni suoi archetipi e mitologemi, può ripensare la propria identità – plurale – e proporsi come avamposto di un progetto culturale dialogico, inclusivo, meridiano: come scrive Bene, Otranto, iponimo del «Sud del Sud dei santi», «terra nomade per eccellenza», è una «casa di cultura tollerante influenze islamiche, ebraiche, arabe, turche, cattoliche. Ne è testimone la stupenda cattedrale».
Il Centro Studi Phoné, che sin dalla sua fondazione, nel 2018, ha stimolato un articolato dibattito attorno a questi temi con una serie di iniziative sul territorio come seminari, incontri, visite guidate, letture pubbliche ecc., presenta, nelle pagine seguenti, una cartografia culturale del Salento di Bene, approfondendo, da una parte, le caratteristiche ortsgebunden, legate-al-luogo, che si possono registrare all’interno della sua opera complessiva (teatro, cinema, letteratura, televisione, radio); e, dall’altra, proponendo ai lettori un itinerario che si pone l’obiettivo di raccontare, attraverso le stesse parole di Bene, le caratteristiche materiali e immateriali, visibili e segrete, del «Sud del Sud dei santi».
Il progetto editoriale Da questo altrove, che il Centro Studi Phoné ha sviluppato in stretta collaborazione con l’Archivio Carmelo Bene, si rivolge non solo agli specialisti e agli estimatori dell’artista ma anche a un pubblico più ampio di lettori che vogliano approcciare la sua opera a partire da un’inedita prospettiva geopoetica e interdisciplinare, che coinvolge filosofia, sociologia, geografia, antropologia, letteratura, linguistica, teatro, cinema.
Questa prospettiva viene sviluppata, in particolare, nei saggi raccolti nella prima parte del volume. L’intervento di apertura di Simone Giorgino (Università del Salento) è incentrato sulla particolare connotazione che Bene conferisce al Sud del Sud e ai concetti deleuziani di ‘minorità’ e ‘nomadismo’: così il legame tra soggetto e territorio, tradizionalmente racchiuso nella metafora della radice, rimanda piuttosto alla figura del rizoma, che è «capriccio e asimmetria, esplorazione del diverso, dell’altro da sé, predisposizione all’innesto, al confronto, all’ibridazione».
I saggi immediatamente successivi si occupano di esplicitare la persistenza dell’elemento barocco nelle diverse fasi della produzione dell’artista. Francesco Ceraolo (Università del Salento) esamina un inedito di Maurizio Grande, uno dei più partecipi studiosi di Bene: lo scritto, concepito come introduzione alle Opere (poi espunta da Bene, che preferirà scrivere personalmente l’Autografia d’un ritratto) approfondisce il discorso critico sul barocco che Grande aveva già affrontato nei decenni precedenti, soffermandosi soprattutto sulla risemantizzazione del paesaggio salentino in Nostra Signora dei Turchi. L’originale rilettura del barocco salentino da parte di Bene, come evidenzia Antonio Lucio Giannone (Università del Salento), è il risultato di un appassionante dialogo col conterraneo Vittorio Bodini, autore della Lettera a Carmelo Bene sul barocco poi confluita nell’Orecchio mancante (1970): ciò dà l’occasione a Giannone di soffermarsi anche su Il barocco leccese (1968), primo cortometraggio dell’artista, e sul film Don Giovanni (1970), in cui il poeta e ispanista salentino è peraltro protagonista di un breve cameo. Per Marco Sciotto (Università di Catania) il barocco configura una vera e propria «metafisica del caos» attraverso cui Bene esprime il proprio rifiuto al diktat della rappresentazione, ergendone a emblema Giuseppe Desa da Copertino, il Santo dei voli: in Nostra Signora dei Turchi, in particolare, il movimento barocco, che Deleuze aveva codificato nell’immagine della piega, è la chiave di lettura che permette di individuare le linee di continuità (e discontinuità) che intrecciano il romanzo e la sua trasposizione cinematografica in quanto «potenziamento visivo delle operazioni barocche».
Secondo Luca Bandirali (Università del Salento) l’esperienza cinematografica di Bene testimonia la predominanza dell’elemento spaziale su quello temporale: ciò è particolarmente evidente nel film Capricci (1969), dove l’opposizione tra spazi interni («appartamento-mondo») ed esterni (il non-luogo dell’auto-scontro) è ancora il sintomo dell’irrequietudine intrinseca del soggetto che non trova una stabile collocazione nello spazio. È poi nell’altro film già citato, Don Giovanni, che Giulia Raciti (Università di Palermo) individua, attraverso l’esaltazione del barocco come «puro significante» e «intarsio citazionistico», un tentativo di scongiurare lo stesso tipo di inquietudine (o horror vacui), ravvisabile stavolta nell’eccesso decorativistico e nel tentativo di replicare l’estetica e la dinamica barocca attraverso il mezzo cinematografico. Le linee di fuga fin qui delineate sono riprese nell’intervento di Annalisa Presicce (Centro Studi Phoné), che si sofferma sulle numerose suggestioni deleuziane nell’opera di Bene: la studiosa passa al setaccio alcuni topoi fondamentali del pensiero di Deleuze, evidenziandone affinità e divergenze rispetto a quello di Bene e approfondisce poi il legame tra l’abolizione della rappresentazione e la negazione del pensiero (o depensamento) attraverso l’«idiozia» inscenata da san Giuseppe da Copertino.
I due saggi successivi sono dedicati a ’l mal de’ fiori (2000), l’ultima opera poetica pubblicata da Bene. Alessio Paiano (Centro Studi Phoné) si sofferma brevemente sulla genesi e sui caratteri fondamentali dell’opera, concentrandosi poi su Ahi! ’nu parlamu d’osce marammie!, un lungo e complesso poemetto in dialetto salentino. Alla riflessione sull’utilizzo del dialetto e sull’importanza di questo componimento all’interno del poema, si accompagna una proposta di traduzione, che ha l’obiettivo di far apprezzare meglio il testo anche ai non dialettofoni, e un’approfondita e puntuale analisi linguistica, condotta da Beatrice Perrone (Università del Salento).
Un ultimo gruppo di interventi riguarda la possibilità di inquadrare l’opera di Bene nel solco del ‘pensiero meridiano’ di Franco Cassano: per Stefano Cristante (Università del Salento) è possibile individuare un punto di contatto tra i due nella riproposizione di un sud interiore, i cui tratti peculiari vanno rintracciati nell’«eterno ritorno delle forme ancestrali». Allo stesso modo, nel saggio di Fabio Tolledi (International Theatre Institute), la costellazione di autori che hanno accompagnato la formazione di Bene (Camus, Artaud, Foucault, ecc.) generano un forte campo intertestuale da cui risulta meglio motivata l’ipotesi di un «Sud del Sud» come spazio eterotipico.
Lorenzo Madaro (Accademia di Belle Arti di Brera) e Brizia Minerva (Archivio Carmelo Bene) ricostruiscono il contesto storico-culturale in cui il giovane Bene muove i primi passi, con un approfondimento dedicato al sodalizio con il pittore leccese Tonino Caputo. Chiude questa prima parte del volume un intenso saggio-diario di Silvia Balestreri (Università di Porto Alegre), composto da appunti e riflessioni che hanno accompagnato il suo viaggio alla scoperta del Salento di Bene, un territorio le cui caratteristiche sono per alcuni aspetti accostabili, secondo la studiosa, a quelle del sertão brasiliano.
La secondo parte del libro ospita invece una Cartografia poetica di Carmelo Bene, cioè un itinerario che si sviluppa nei cinque Comuni salentini maggiormente legati alla vita e all’opera dell’artista: Campi Salentina, Lecce, Santa Cesarea Terme, Otranto e Copertino. In questa sezione, che comprende anche un ricco apparato iconografico e cartografico, realizzato da Efrem Barrotta (BigSur) su materiali raccolti dal Centro Studi Phoné, il lettore potrà trovare un’ampia ‘topografia’ degli scritti di Bene, tratta dalle sue opere e dalle sue interviste, inserita in un album di immagini e documenti anche inediti.
Ma il nostro viaggio nel Salento di Carmelo Bene non è solo virtuale, non si esaurisce solo nelle pagine di questo volume, ma continua anche… all’aperto; cioè si sviluppa come un itinerario reale nei luoghi di Bene. In ognuno dei cinque comuni ‘beniani’ sopracitati, grazie alla partnership con le rispettive Amministrazioni, è stato infatti installato un totem che contiene, oltre ad alcune informazioni essenziali relative al progetto Da questo altrove, anche un QR-code attraverso il quale si potrà accedere direttamente ad appositi contenuti digitali riversati sul sito internet dell’Archivio Carmelo Bene, permettendo a chiunque voglia farlo (turisti, studenti, cultori, semplici appassionati) di osservare con lenti diverse, forse più in profondità, il territorio che stanno attraversando.