di Paolo Lago

 

Oltre che personaggio tragico di primo piano all’interno della vicenda raccontata da Euripide nelle Baccanti, il dio Dioniso è anche una figura mitica di lunga durata che, periodicamente, fa la sua comparsa nei più svariati ambiti culturali ed artistici, dalla letteratura al cinema, dalla musica alle arti visive e al teatro[1]. Compare anche, nei panni di un fattorino diciassettenne (l’«ultima ruota dell’ultimo carro» dell’impero aziendale del potente ingegnere De Rossi), in un romanzo breve di Ezio Sinigaglia, Grave disordine con delitto e fuga, scritto negli anni Novanta ma pubblicato solo adesso da TerraRossa (2024). Nel romanzo incontriamo infatti la figura di Jimmy – soprannome che cela il ben più altisonante “Michelangelo” –, un giovane bellissimo e perfetto che, come già accennato, svolge le mansioni di fattorino nella più piccola delle aziende appartenenti al gruppo De Rossi, la Termolux. D’altra parte, la presenza di Dioniso rende necessaria anche quella di un suo antagonista che, nella tragedia di Euripide, è il re Penteo, il quale rappresenta un potere ottuso e tirannico che, di fronte a qualsiasi forma di alterità, vorrebbe reprimere, incarcerare e ridurre al silenzio[2]. Dioniso, nel racconto di Euripide, è connotato come uno ‘straniero’ che giunge a Tebe (in realtà il suo è un ritorno) e, accompagnato dalle sue sacerdotesse, le baccanti, porta con sé una logica di radicale sovvertimento. Il re, di fronte alla diversità e all’alterità, non trova di meglio che farlo incarcerare.

 

L’antagonista di Jimmy-Dioniso, nel romanzo di Sinigaglia, non è un re ma un ingegnere, rampollo di una ricchissima dinastia di capitani d’industria. È l’ingegnere De Rossi, un trentenne che possiede a sua volta alcune doti ‘dionisiache’ come il bell’aspetto e la prestanza fisica, nonché l’invidiabile capacità di sapersi districare in qualsiasi situazione. La comparsa di Jimmy provoca, nell’ingegnere, dapprima un «lieve disordine» che poi, come leggiamo nel titolo, diverrà «grave». Il giovane fattorino porta con sé un perturbamento che, comunque, contiene degli elementi positivi e vitali; ad esempio, riesce a rendere piacevoli e gioiose le giornate lavorative di tutti gli impiegati della Termolux che entrano in contatto con lui. Precursori di Jimmy – figure cioè di ragazzi bellissimi dalle connotazioni dionisiache – nell’opera di Sinigaglia ne avevamo già incontrati: basti ricordare il personaggio di Fifì che, in Fifty-Fifty. Warum e le avventure conerotiche (TerraRossa, 2021), seduce e illude, attraverso un estenuante double-bind, il narratore Warum, o l’avvenente garzone Nerino, oggetto del desiderio incontrollabile di Mastro Landone nella “novella lunga” L’imitazion del vero, uscita sempre per TerraRossa, nel 2020. Ma l’ingegnere De Rossi, a differenza di altri personaggi sinigagliani che subiscono il provocante fascino di un bellissimo giovane, possiede una peculiarità, e cioè la sua appartenenza all’alta borghesia industriale che lo innalza alle intoccabili e potenti vette del capitalismo maturo. L’ingegnere, nel romanzo, è il perfetto rappresentante della logica capitalistica ed è abituato ad esercitare un potere che gli permette di avere pressoché tutto quello che desidera. Tutto, ma non la bellezza «nella sua forma più perfetta e più irresistibilmente sensuale» che «aveva deciso di incarnarsi nelle membra diciassettenni di un suo fattorino». Per «un uomo della sua condizione, abituato ad avere senza soverchia difficoltà tutto ciò che voleva per importante o insignificante che fosse, non era facile rassegnarsi a farsi passare il capriccio della cosa più bella che avesse mai visto». Se da una parte, quindi, abbiamo Jimmy-Dioniso, che incarna un’innocenza e una bellezza sovvertitrici, dall’altra abbiamo un rappresentante del capitalismo industriale, un sistema che, in modo non troppo diverso dal controllo e dalla cattura messi in atto dal re Penteo, cerca di infierire in tutti i modi sulle dinamiche sociali a discapito dei più poveri e dei più deboli.

 

Se l’antagonista di Dioniso è un capitano d’industria, abituato alla ricchezza e al possesso, allora non possiamo non pensare a Teorema (1968), un’opera che Pier Paolo Pasolini ha realizzato contemporaneamente come romanzo e come film. Anche qui assistiamo all’improvvisa apparizione, all’interno di una famiglia appartenente all’alta borghesia milanese, di un misterioso Ospite dalle connotazioni dionisiache, chiamato semplicemente «l’Adorabile». Come è stato osservato[3], anche l’Ospite di Teorema possiede indubbie connotazioni dionisiache e, tra l’altro, è stato assimilato a Dioniso dallo stesso Pasolini[4]. L’Adorabile seduce e fa l’amore con tutti i personaggi della famiglia; nella fattispecie, l’ingegnere De Rossi è avvicinabile al personaggio di Paolo, il padre e capofamiglia, un ricco industriale milanese. Come scrive Pasolini, Paolo «è uno di quegli uomini abituati da sempre al possesso. Egli ha sempre, da tutta la vita (per nascita e per censo) posseduto; non gli è balenato neanche mai per un istante il sospetto di non possedere»[5]. Paolo, sotto l’influenza dionisiaca dell’Ospite, si trasforma «da possessore a posseduto»[6], esattamente come l’ingegnere De Rossi. Ma, se in Teorema il padre e gli altri membri della famiglia (la madre, la figlia, il figlio e persino la domestica Emilia) vengono letteralmente devastati dalla forza perturbante dell’eros che l’Adorabile emana, in Grave disordine con delitto e fuga, come già notato, l’ingegnere De Rossi dapprima è vittima soltanto di un «lieve disordine» che ha assunto le sembianze di un «gomito piegato ad angolo retto». Come nella versione cinematografica di Teorema, anche nel romanzo di Sinigaglia la dimensione sacrale e dionisiaca affiora soprattutto grazie a un onnipresente feticismo del dettaglio che trasforma il corpo nella «figura di una sessualità primitiva ed eversiva, che scardina il controllo sociale della famiglia»[7]. Anche il corpo di Jimmy è continuamente sottoposto a un feticismo del dettaglio che ne fa emergere la sconvolgente – ma anche innocente e naturale – bellezza: la penna dello scrittore si esibisce in sinuose volute lessicali e sintattiche per descrivere ora gli occhi nerissimi del personaggio, ora i vari particolari del suo corpo e della sua carnagione scura, quasi naturalmente e delicatamente bronzea.

 

Di fronte alla bellezza perturbante di Jimmy, l’ingegnere si trova un po’ come Penteo di fronte a Dioniso travestito da giovane straniero nella tragedia di Euripide: nonostante abbia potere e ricchezze, viene investito in pieno dal fascino del personaggio e quasi non riesce a sostenerne lo sguardo. Riportiamo un brano che riferisce del primo colloquio tra il fattorino e l’ingegnere:

 

Accadde anzi, nel corso di quel primo e più lungo colloquio di oltre dieci minuti, un fatto minuscolo ma a modo suo inverosimile: che cioè l’ingegnere De Rossi, ch’era abituato a trafiggere con azzurra penetrante freddezza le pupille di tutti e a guardare occhi che non riuscivano a sostenere il suo sguardo, si trovasse ad un tratto, sia pure per un fuggevole istante, nell’impossibilità di sostenere il nero, succoso, misterioso sguardo di Jimmy, tanto da vedersi costretto ad accendere una sigaretta della quale non sentiva in quel momento alcun desiderio (p. 25).

 

Un ricco industriale – presidente, amministratore delegato e padrone di importanti aziende – non riesce a guardare negli occhi l’ultimo dei suoi dipendenti, un semplice fattorino. Sembrerebbe assai strano se non pensassimo che sotto le vesti di quel giovane inserviente si cela in qualche modo una presenza dionisiaca. Bisogna anche notare che Jimmy parla assai poco – come l’Ospite di Teorema e tutti i perturbanti ‘oggetti d’amore’ ‘muti’[8] – ma quel poco che dice colpisce inequivocabilmente qualsiasi bersaglio. Quel «lieve disordine» si trasformerà in un «grave disordine», ma come e perché spetterà al lettore capirlo, così come gli toccherà capire in che modo si arriverà al «delitto» e alla «fuga». Del resto, è un piacere lasciarsi avvolgere dalla scrittura ‘centrifuga’ dell’autore, che parte da un centro per poi trasformarsi in fascinose spirali che a loro volta avviluppano l’attenzione del lettore, e successivamente ritornano dritto al cuore del racconto. Una scrittura che è anche pastiche, modalità sempre più rara, ormai, nella narrativa contemporanea, che probabilmente trova nella prosa di Carlo Emilio Gadda un modello che è lo stesso titolo a suggerire[9]. Una scrittura che, in Grave disordine con delitto e fuga, scruta l’irruzione di un elemento «irrazionale», come viene definita la presenza di Jimmy in un momento cruciale del racconto, nell’universo «razionale» di un potente ingegnere: né più né meno che una reincarnazione di Dioniso nei panni non di un’«Adorabile» ma di un semplice fattorino-efebo di origine proletaria.

 

Ezio Sinigaglia, Grave disordine con delitto e fuga, TerraRossa, Bari, 2024.

 

 

[1] Per un’analisi della fortuna di Dioniso e delle Baccanti nel Novecento si veda M. Fusillo, Il dio ibrido. Dioniso e le «Baccanti» nel Novecento, Il Mulino, Bologna, 2006. Ma si veda anche N. Scaffai, «Indovina chi viene a cena». L’ospite dionisiaco e il problema del personaggio, in Contaminazioni, «Quaderni di Synapsis», IV, Atti della Scuola Europea di Studi Comparati, Bertinoro, 13-20 settembre 2003, a cura di P. Zanotti, Firenze, Le Monnier, 2005, pp. 73-82.

[2] Riguardo alla figura di Penteo, si legga quanto scrive Davide Susanetti: «Catturare, mettere in carcere, legare, chiudere, ridurre al silenzio, asservire sono i termini che ritornano ossessivamente nei suoi discorsi, che si ripetono sulla scena in una sorta di climax della logica punitiva e del furore repressivo» (D. Susanetti, Il trionfo della distruzione in Euripide, Baccanti, introduzione, traduzione e commento di D. Susanetti, Carocci, Roma, 2010, p. 21).

[3] Cfr. M. Fusillo, Il dio ibrido…, cit., pp. 212-220.

[4] Cfr. P.P. Pasolini, Il sogno del centauro, ora in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano, 1999, p. 1483.

[5] Id., Teorema, in Id., Romanzi e racconti, vol. 2, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano, 1998, p. 958.

[6] Così suona il titolo del capitolo 25 (cfr. ivi, p. 956). Spunti di riflessione sul modello pasoliniano nella narrativa di Sinigaglia (con particolare riferimento ai temi del doppio, dell’alienazione e della logica simmetrica) sono presenti in Diego Bertelli, «Tutto scorre» nella scrittura: un primo sondaggio su «Il pantarèi» di Ezio Sinigaglia, in «Fronesis», 29, 2019, pp. 123-128.

[7] M. Fusillo, Il dio ibrido…, cit., p. 215.

[8] Cfr. R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, trad. it. Einaudi, Torino, 1979, p. 69.

[9] E qui si potrebbe ricordare, anche e soprattutto, il romanzo breve Eclissi (Nutrimenti, 2016), un testo che, letteralmente, vive di mistilinguismo, portando alle estreme conseguenze i pastiches ‘dichiarati’ che figurano negli inserti programmaticamente meta-romanzeschi del Pantarei (SPS, 1985, poi TerraRossa, 2019). Per una diversa ‘applicazione’ della tecnica del pastiche (pseudo-antico), si rimanda alla già citata ‘novella’ neo-boccacciana L’imitazion del vero: cfr., su questo testo e su questi temi: Livio Santoro, L’eros e la lingua italiana: giochi e cronache da Lopezia, https://www.quadernidaltritempi.eu/ezio-sinigaglia-imitazion-del-vero-terrarossa/ e Id., La letteratura italiana e le lingue inattuali fra parodia e tradizione (su Landolfi, Malerba, Mari, Sinigaglia, Ascione), https://lavialibera.it/it-schede-1321-la_letteratura_italiana_e_le_lingue_inattuali_tra_parodia_e_tradizione. Si vedano anche L. Weber, Tra Una serata in famiglia e Ekìdrosi. Su Sconclusione di Giorgio Manganelli, in «Finzioni», 1, 1, 2021, 2, p. 40 e un’intervista all’autore dal titolo L’intervista letteraria: Giuseppe Girimonti Greco dialoga con Ezio Sinigaglia in «Zest. Letteratura sostenibile», 18 gennaio 2018, https://www.zestletteraturasostenibile.com/lintervista-letteraria-giuseppe-girimonti-greco-dialoga-con-ezio-sinigaglia/

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