di Sergio Benvenuto
Vorrei condividere un’esperienza della mia pratica di psicoanalista.
Da anni seguo via online persone che abitano all’estero. Alcuni vivono in paesi attraversati da disastri come guerre e profonde crisi sociali. Soggetti dall’Ucraina, dalla Russia, dall’Armenia e dalla Siria. Si tratta talvolta di esuli, che vivono lo sradicamento imposto da forza maggiore.
Ebbene, anche quando la guerra infuriava o infuria – come in Ucraina – i soggetti nelle sedute parlano molto raramente, e di sfuggita, della condizione politica critica in cui stanno vivendo. I problemi che li assillano sono più o meno gli stessi che portano pazienti di Roma o di Vercelli – fiaschi amorosi, litigi con la suocera, difficoltà nel trovare l’impiego giusto, la solitudine… La guerra, la politica, è come se non esistessero. Direi anzi che parlano più della guerra in Ucraina pazienti italiani che ucraini.
Fui impressionato da una seduta avuta con una analizzante di Kyiv circa due anni fa. A Kyiv si aspettava la sirena che avrebbe avvertito la popolazione di un’incursione aerea russa, ma la signora parlò con foga solo del suo dilemma: se lasciare il marito per raggiungere il giovane amante a Leopoli.
Tengo a precisare che questi miei analizzanti ucraini e russi non sono contadini o persone di poca cultura, sono persone per lo più professori universitari, benestanti, o psicoanalisti a loro volta.
Quanto poi all’inconscio, è ancora meno politicizzato.
Lo psicoanalista Serge Leclaire a un congresso portò un sogno di una sua paziente che seguiva nel 1965. Questo sogno ruotava attorno a “le port de Djakarta”, il porto di Giacarta. Proprio a quell’epoca il mondo era sbigottito davanti allo sterminio dei comunisti e di altri indonesiani scomodi incoraggiato dal governo di Giacarta. Ciò si risolse nella morte di circa un milione di persone. Leclaire pensò che forse in questo caso l’inconscio fosse, una volta tanto, impressionato da un genocidio. Ma poi, analizzando bene il sogno, venne fuori che “le port de Djakarta” rimandava in realtà a quel “porc de Jacques”, quel porco di Jacques!, l’amante che tempo prima l’aveva lasciata. L’inconscio è politicamente scorrettissimo.
Proprio Leclaire raccontava un aneddoto personale che lo aveva molto colpito. Negli anni 1930 aveva uno zio ebreo in Francia il quale era sconvolto dalla politica di discriminazione degli ebrei iniziata dal governo nazista. La guerra sembrava ancora lontana, e lo zio, pur non essendo implicato in prima persona, era veramente ossessionato da questa politica… Paventava cose assurde, addirittura lo sterminio degli ebrei! I parenti pensarono che il poveraccio stesse esagerando per cui… lo mandarono a farsi curare per un po’ in una clinica psichiatrica.
Questo è un caso in cui la lungimiranza politica coincide con una diagnosi psicopatologica.
Il primato dei crucci privati mi ha certamente colpito ma non sorpreso. Perché non ho mai creduto alla predicazione di Deleuze e Guattari.
Come è noto, costoro rimproveravano alla psicoanalisi soprattutto freudiana di voler “familiizzare” tutto, di ridurre tutti i conflitti detti psichici a storie di mamma, papà, inauspicato fratellino, toccamenti di pisellino o patatina tra bambini… Mentre, altroché, i veri problemi inconsci sono cose serie, politiche, lotta di classe, rivoluzione degli oppressi, ecc. Gli schizofrenici, in particolare, vibrano per le sorti drammatiche del mondo.
Deleuze commentò criticamente lo scritto di Freud sul piccolo Hans, il bambino di cinque anni che aveva sviluppato una fobia per i cavalli che allora muovevano le carrozze. Deleuze disse che era un abuso da parte di Freud ridurre la paura-compassione di Hans per i cavalli da traino in città alla sua ambivalenza nei confronti del papà. Macché, dice Deleuze, il piccolo Hans era veramente commosso dalla triste condizione dei cavalli da tiro a Vienna. Insomma, il problema di Hans avrebbe potuto trovare sbocco in una militanza animalista.
In sé, la correzione di Deleuze potrebbe anche convincere. I bambini sono capaci di inaudite compassioni così come di stravaganti paure. Anzi, andrei anche oltre: i bambini si commuovono per la sorte di cose inanimate. Quando avevo cinque o sei anni andai a cinema con i miei genitori e fui colpito da una scena del film in cui la bicicletta del protagonista finiva sfasciata. Quella bicicletta mi impietosì e la sera mi misi a piangere per il suo triste destino. Ecco una sfida alla teoria così popolare dei neuroni specchio…
Eppure nella realtà clinica accade proprio l’opposto di quel che auspica Deleuze. L’analista, avendo a che fare con analizzanti che vivono in paesi magari a lui stesso ignoti, si augura che loro portino elementi finalmente nuovi, etnici, socialmente idiosincratici, vistosamente non-eurocentrici. E invece si confronta sempre con le solite storie banalmente “freudiane”. Non manca di esserne deluso. Le differenze storiche ed etniche risultano alquanto epifenomeniche. L’analista, anche se animale politico, deve convenire obtorto collo che “tutto il mondo è paese”, perché gli esseri umani sono fatti della stessa stoffa infantile.
Così, credo che sia molto più verosimile la tesi promossa da George Lakoff (in Moral Politics): che i grandi conflitti politici, quelli che portano anche a distruzioni e miserie immani, sono una proiezione espansiva, cosmica, delle nostre primitive relazioni con mamma, papà, la balia, la zia… In analisi, emerge la straordinaria pregnanza del Piccolo Mondo Antico.
Mi chiedo se certi colleghi possano portarmi esperienze ben diverse.
Devo dare ragione al mio amico A.C., il quale ieri mi ricordava un celebre detto di Karl Kraus: Die Psychoanalyse ist jene Geisteskrankheit, für deren Therapie sie sich hält. Gli obiettavo che Kraus non mi ha mai convinto, ma in questo caso ha pienamente ragione.
Meno male che ogni tanto c’è un articolo di Sergio Benvenuto. Grazie!
La psicanalisi, semmai, serve solo a essere consapevoli del dolore, non a farlo passare.
Freud ha fatto conoscere l’esistenza dell’ inconscio, ma i risultati, da me personalmente constatati mi portano a non credere a questo metodo di cura.
Gli psichiatri che redigono il DSM sostengono che la schizofrenia è presente al 2% in tutto il mondo. Il problema sta nello strumento di osservazione che usano. Questo saggio di Benvenuto mi ricorda “la pappa del cuore”, io faccio clinica e incontro persone (o “soggetti” come va di moda dire) traumatizzati dalla guerra, dalla politica, dal razzismo, dal malocchio, dai jiin, dal salario e dalla povertà. Detto ció, ma che c’entra Deleuze? Forse dovrebbe prendersela con Fanon o Devereux.
TENTATIVI DI ANNULLARE IL TEMPO E COSTRUZIONI NELL’ ANALISI…
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IL TITOLO DEL XXI CONGRESSO NAZIONALE DELLA SOCIETA’ PSICOANALITICA ITALIANA ( https://www.spiweb.it/la-cura/voci-dal-congresso-psiche-e-polis-a-migliozzi-e-c-cimino ) E’ “PSICHE E POLIS”.
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Incapaci di riuscire ad “aprire gli occhi” fuori dalla famosa “caverna” e guardare il “mondo” al di là della luce “del sapere del “Maestro di color che sanno”, del sole e delle altre stelle del cielo aristotelico, è più che “verosimile la tesi promossa da George Lakoff (in Moral Politics): che i grandi conflitti politici, quelli che portano anche a distruzioni e miserie immani, sono una proiezione espansiva, cosmica, delle nostre primitive relazioni con mamma, papà, la balia, la zia… In analisi, emerge la straordinaria pregnanza del Piccolo Mondo Antico”. (S. Benvenuto, v. sopra).
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A quanto pare, l’evidenza appare al massimo del suo livello: il tempo si è fermato! A questo punto, a che vale chiedersi ” se certi colleghi possano portarmi esperienze ben diverse”, quando “La freccia è ferma” (E. Fachinelli, 1979), per quanto qualche “vecchia talpa” possa essere ancora benvenuta nella sua volontà di scavare, può mai contribuire a trovare la via d’uscita? Boh e bah?!
La politica è la prosecuzione della psicosi con altri mezzi.
Voglio ringraziare l’amico Pietro Barbetta per aver cercato di portare esperienze ben diverse da quella mia, come auspicavo alla fine del mio Anti-Deleuze!
Non scrivo sub specie aeternitatis, ma per comunicare agli altri le cose che mi colpiscono e avere da loro delle reazioni. Non mi sento in una campagna elettorale tra psicologi clinici.
Certo che se IO sono un Bangla-deshi che è stato malmenato per razzismo, ne parlo in analisi! Certo che, se in Ucraina IO resto senza elettricità per giorni interi, ne parlo in analisi! Certo che se IO ho perso il lavoro, ne parlo in analisi! Ma qui mi riferivo ad analizzanti che non sono PERSONALMENTE coinvolti in drammi politici che investono il loro paese.
Ho seguito omosessuali che soffrivano la propria omosessualità, anche se – ammettevano – nella loro cerchia di amici e colleghi la cosa era ormai perfettamente accettata, e non si sentivano emarginati per questo. Perché allora soffrirne? Mi rispose uno: “Non posso sopportare che lo possa venire a sapere la mia povera nonna!”
Grazie per i commenti.
Grazie a Sergio Benvenuto per avere letto e commentato a sua volta il mio commento.
Nella Genesi, quando il Signore interdice Eva e Adamo dall’accesso all’albero della conoscenza, non vieta loro la sessualità, ma la conoscenza, appunto. Hegel trasfigura questo divieto nella coscienza infelice. Il Servo – oggi direi “la Serva”, therapeuein dicevano gli antichi – si emancipa dal Signore, ma diventa nostalgico dell’Assoluto, là c’è un vuoto: “non posso sopportare che lo possa venire a sapere la mia povera nonna”.
In questi giorni, dopo un breve soggiorno a Parigi, sto leggendo alcuni inediti di Foucault che propongono una lettura post-filosofica – direi – della filosofia parlando di due mutazioni, una a partire da Descartes, l’altra ben più radicale, a partire da Nietzsche (Deleuze e Foucault conoscevano molto bene il lavoro di Colli-Montinari). Con Nietzsche, la filosofia – l’amicizia verso il sapere – si risolve in delirio. Questo è quel che, credo, intenda Deleuze, con Guattari, nell’Antiedipo. “La mia povera nonna” soffrirebbe, e io ancor più, se lei lo venisse a “sapere”. Il sapere è delirio, sta fuori dal senso, e, come ho scritto nel mio ultimo libro, va decifrato/decrittato.
Abbastanza irritante e banalizzante il linguaggio del signor Benvenuto
Purtroppo gli ultimi suoi articoli sono quasi illeggibili
Li inizio e poi li interrompo
Non era cosi qualche anno fa
Se parla solo con borghesi e prof universitari non c’è da stupirsi che saltino fuori storie tanto banali e noiose. La globalizzazione dell’inconscio è cosa da classi agiate, come la globalizzazione dei gusti. Un minimo di biodiversità, neurodiverità, psicodiversità ecc. non può che provenire dalle classi subalterne, meno plasmate, nel profondo, dal capitale, per quanto schiavizzate da esso. Sarà uno sbadiglio a seppellirvi
CINEMA (PLATONISMO) ED EDIPHICANTE PSICOANALISI GuATTARINA-DELEUZELANTE (UN “FrEUDISMO” LACANIANO) A TRECENTO ANNI DALLA NASCITA DI KANT (1724):
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NEL “NOME” DEL “PADRE”, “LO CHIAMAVANO #TRINITA’ (https://it.wikipedia.org/wiki/Lo_chiamavano_Trinit%C3%A0… ) …
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“E CONTINUAVANO A CHIAMARLO TRINITA’
( https://it.wikipedia.org/wiki/…continuavano_a_chiamarlo_Trinit%C3%A0 ):
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«[…] Con Nietzsche, la filosofia – l’amicizia verso il sapere – si risolve in delirio. Questo è quel che, credo, intenda Deleuze, con Guattari, nell’Antiedipo. “La mia povera nonna” soffrirebbe, e io ancor più, se lei lo venisse a “sapere”. Il sapere è delirio, sta fuori dal senso, e, come ho scritto nel mio ultimo libro, va decifrato/decrittato» (cfr. Pietro Barbetta, “Le parole e le cose”, 1 maggio 2024 – https://www.leparoleelecose.it/?p=49232#comment-486382).
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Nel giorno 7 maggio 2024, lo spiraglio diun “Inno di Gioia” (“Freud+e” = “Freude”), con Schiller e Beethoven, e non con il paolinismo “niceano” (325-2025) dei lacaniani (atei e devoti),
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Federico La Sala
Non pensa che i suoi pazienti, più che portarle il loro inconscio sano, le buttino addosso le loro nevrosi? Forse lei non è abbastanza ricettivo perché le dischiudano il primo, oppure non vogliono loro o il setting (per forza non neutro, ma spesso nemmeno “neutralizzato”) non lo consente.
Detto questo, penso che sia facile (e piacevole) essere d’accordo sul fatto che le astrazioni non ci interessano: ci interessano il piacere e il dolore. E molte questioni concrete e appassionanti, come una guerra, sono oggi associate a idee, parole e interazioni noiose e mortificanti. Data la “sacralità” dei temi, è difficile far notare che il pacifismo o il nazionalismo – della zia come del politico – hanno un cattivo odore di religione.
La neve è bella, ma se serve per scrivere il tema… meglio parlare della sorellina che ci fa i dispetti. Le persone con cui parla, ipotizzo, associano la guerra al tema. E il tema tra l’altro l’ha già scritto qualcun’altro. Capisce cosa intendo?