di Michel Houellebecq

 

[E’ uscita ieri per Wudz una nuova edizione del saggio di Michel Houellebecq, H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita, con la prefazione di Stephen King. Pubblichiamo un estratto del capitolo intitolato Pronunciate il grande No alla vita]

 

Un odio assoluto per il mondo in generale, aggravato da una particolare avversione per il mondo moderno. Così potremmo riassumere l’atteggiamento di Lovecraft.

 

Molti scrittori hanno dedicato le loro opere a chiarire le ragioni di questo legittimo disgusto. Non Lovecraft. Per lui, l’odio per la vita precede tutta la letteratura. Quindi non ha intenzione di ribadirlo. Il rifiuto di ogni forma di realismo è una condizione preliminare per entrare nel suo universo.

 

Se definiamo uno scrittore non in base ai temi che affronta, ma a quelli che lascia da parte, allora converremo che Lovecraft occupa un posto a sé stante. Infatti, in tutta la sua opera non c’è la minima allusione a due realtà la cui importanza è generalmente riconosciuta: il sesso e il denaro. Neanche la più piccola. Scrive esattamente come se queste cose non esistessero. Al punto che, quando in un racconto compare un personaggio femminile (cosa che accade due volte in tutto), si prova una strana sensazione di estraneità, come se si fosse improvvisamente messo a descrivere un giapponese. Di fronte a un’esclusione così radicale, alcuni critici hanno naturalmente stabilito che, in realtà, tutta la sua opera è intrisa di simboli sessuali molto audaci. Altri, dello stesso calibro intellettuale, hanno formulato la diagnosi di “omosessualità latente”. Non ci sono prove su questo, né nel suo carteggio né nella sua biografia. Si tratta di teorie sconclusionate.

 

In una lettera al giovane Belknap Long, Lovecraft si esprime con la massima chiarezza su queste questioni, in relazione al Tom Jones di Fielding, che considera (ahimè, a ragione) un vertice del realismo, e quindi della mediocrità:

 

«In una parola, ragazzo mio, considero questo tipo di scrittura come una ricerca indiscreta delle cose più basse della vita e come la trascrizione servile di eventi volgari attraverso i sentimenti grossolani di un custode o di un marinaio. Dio sa che possiamo vedere abbastanza bestie in qualsiasi campo o aia e osservare tutti i misteri del sesso nell’accoppiamento di mucche e puledre. Quando guardo un uomo, voglio guardare le caratteristiche che lo rendono tale e lo elevano. Non è che voglia vedergli attribuire, alla maniera vittoriana, pensieri e motivazioni falsi e pomposi, ma desidero che il suo comportamento sia valutato in modo equo, ponendo l’accento sulle qualità che gli sono peculiari e senza evidenziare scioccamente quei tratti bestiali che ha in comune con il primo cinghiale o la prima giovenca che capita».

 

Alla fine di questa lunga diatriba, conclude con un’affermazione inequivocabile: «Io credo che il realismo non sia mai bello». Ovviamente non si tratta di un’autocensura scaturita da oscuri motivi psicologici, ma di una concezione estetica lucidamente asserita.

 

L’ostilità di Lovecraft verso ogni forma di erotismo nelle arti è spesso imbeccata dai suoi corrispondenti (di solito giovani, spesso adolescenti), i quali gli rivolgono di continuo questa domanda: è davvero sicuro che le descrizioni erotiche o porno grafiche non possono avere alcun interesse letterario? Ogni volta Lovecraft riesamina volentieri il problema, ma la sua risposta rimane sempre la stessa: no, assolutamente no. Per quanto lo riguarda, ha acquisito una conoscenza completa della materia prima degli otto anni, leggendo i libri di medicina dello zio. In seguito, spiega, «la curiosità divenne naturalmente impossibile. L’intera materia aveva assunto il carattere di noiosi dettagli di biologia animale, di nessun interesse per chi, come me, era più orientato verso giardini fatati e città dorate avvolte nella gloria di tramonti esotici».

 

Si potrebbe essere tentati di non prendere sul serio questa affermazione, o addirittura di sospettare oscure reticenze morali in questo atteggiamento di Lovecraft. Ma ci sbaglieremmo. Lovecraft sa perfettamente quali sono le inibizioni dei puritani, le condivide e le glorifica a dismisura. Ma ciò si colloca su un altro piano, che egli distingue sempre da quello della pura creazione artistica. Il suo pensiero su questo tema è complesso e preciso. E se rifiuta la minima allusione di natura sessuale nelle sue opere, è soprattutto perché ritiene che tali allusioni non trovino posto nel suo universo estetico.

 

Su questo punto, in ogni caso, ciò che accadde in seguito gli diede ampiamente ragione. Alcuni scrittori hanno tentato di introdurre elementi erotici in una storia prevalentemente “lovecraftiana”. Hanno miseramente fallito. I tentativi di Colin Wilson, in particolare, vanno incontro alla catastrofe; si ha costantemente l’impressione che stia solo aggiungendo qualche dettaglio eccitante per accaparrarsi qualche lettore in più. E in effetti non poteva essere altrimenti. La mescolanza è intrinsecamente impossibile.

 

Gli scritti di HPL hanno un unico scopo: portare il lettore a uno stato di fascinazione. Gli unici sentimenti umani di cui vuole sentir parlare sono la meraviglia e la paura. Su di essi, ed esclusivamente su di essi, costruirà il suo universo. Si tratta ovviamente di una limitazione, ma consapevole e deliberata. E non c’è creazione autentica senza un minimo accecamento volontario.

 

Per comprendere le origini dell’antierotismo di Lovecraft, è forse utile ricordare che la sua epoca fu segnata dal desiderio di liberarsi dei “pudori vittoriani”; negli anni Venti e Trenta infilare un’oscenità dietro l’altra divenne il segno distintivo dell’autentica immaginazione creativa. I giovani discepoli di Lovecraft erano necessariamente segnati da ciò, ed è per questo che gli ponevano così tante domande sull’argomento. E lui rispondeva. Con sincerità.

 

All’epoca in cui Lovecraft scriveva, si cominciò a pensare che fosse interessante affrontare l’argomento “apertamente e con franchezza”. Questo atteggiamento schietto e disinibito non prevaleva ancora quando si trattava di questioni di denaro, di operazioni di borsa, di gestione immobiliare e così via. Era ancora consuetudine, quando si affrontavano questi argomenti, collocarli più o meno all’interno di una prospettiva sociologica o morale. La vera liberazione in questo senso avvenne solo negli anni Sessanta. Probabilmente è per questo che nessuno dei suoi corrispondenti ha ritenuto opportuno interrogare Lovecraft sul perché nelle sue storie il denaro, così come il sesso, non giochi alcun ruolo. Non c’è la minima allusione alla situazione finanziaria dei suoi personaggi. Né sembra interessarlo in alcun modo.

 

Con queste premesse, non sorprende che Lovecraft non trovasse molto simpatico nemmeno Sigmund Freud, il grande psicologo dell’era capitalista. Questo mondo di “transazioni” e “transfert”, che dà l’impressione al lettore di essere capitato per errore nel bel mezzo di un consiglio di amministrazione, non aveva nulla che potesse sedurlo.

 

Ma a parte questa avversione per la psicoanalisi, in fin dei conti comune a molti artisti, Lovecraft aveva qualche motivo in più per attaccare il “ciarlatano viennese”. Si dà il caso che Freud si prenda la libertà di parlare di sogni, e lo fa in diverse occasioni. Ma quella dei sogni è una materia che Lovecraft conosce bene è un po’ il suo regno personale. In effetti, pochi scrittori hanno usato i loro sogni in modo così sistematico come lui; Lovecraft li raccoglie, li elabora; a volte si entusiasma così tanto da appuntarne gli intrecci prima ancora di essersi svegliato del tutto (come nel caso di Nyarlathotep); talvolta conserva solo alcuni elementi, per inserirli in una nuova trama; ma in ogni caso, prende il sogno molto sul serio.

 

L’atteggiamento di Lovecraft può quindi essere considerato relativamente moderato nei confronti di Freud, limitandosi a insultarlo solo due o tre volte nel suo carteggio; ma riteneva che ci fosse poco da dire al riguardo, e che il fenomeno psicoanalitico fosse solo una moda destinata a sparire presto. Tuttavia trovò il tempo di inquadrarne l’essenziale, riassumendo la teoria freudiana in due parole: “simbolismo puerile”. Si potrebbero scrivere centinaia di pagine sull’argomento senza trovare una formula sostanzialmente più efficace.

 

L’atteggiamento di Lovecraft non è quello di un romanziere. Quasi tutti i romanzieri immaginano che sia loro dovere dare un’immagine esaustiva della vita. Sono convinti che la loro missione sia quella di gettare “nuova luce”. Ma rispetto ai fatti non hanno altra scelta: sesso, denaro, religione, tecnologia, ideologia, distribuzione della ricchezza… un buon romanziere deve sapere tutto di queste cose. E tutto deve rientrare in una visione approssimativamente coerente del mondo. Il compito, ovviamente, è quasi impossibile per un essere umano, e il risultato quasi sempre deludente. È un lavoro sporco, quello del romanziere.

1 thought on “Pronunciate il grande No alla vita

  1. Bel testo, che mi fa venir voglia di leggere l’intero libro, ma soprattutto Lovecraft uno scrittore che conosco solo di nome ma di cui non ho mai letto nulla.

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