di Mauro Piras

Chi ha perso in queste elezioni, in Francia, Grecia e Italia?

In Francia, gli elettori hanno punito in primo luogo Sarkozy, nella sua politica di aggancio alla Germania e di egemonia in Europa fondata sul rilancio dei due nazionalismi, per quanto alleati. Hanno punito le istituzioni europee nella loro condotta attuale, burocratica e troppo rigida in materia economica, ma non il progetto dell’Europa e dell’euro in sé, perché alla fine hanno scelto un candidato apertamente europeista. Hanno punito le politiche di austerità a favore invece di una revisione del fiscal compact, dei patti di stabilità, della politica di investimenti, e per una politica di spesa con assunzioni nel settore pubblico, tutti punti qualificanti del programma di Hollande.

In Grecia, è facile dire che in primo luogo gli elettori hanno punito massicciamente la politica di austerità che ha spinto fino alla catastrofe una crisi già grave. Questa cosa è ovvia: la somma di tutti i partiti tolti il Pasok e la Nuova Democrazia fa la maggioranza assoluta nel nuovo parlamento. E ovviamente la condotta rigorista e poco solidale dell’Europa e della Merkel è stata condannata senza appello. Ma l’abisso in cui sono sprofondati i due partiti fino a qui dominanti della politica greca mostra che c’è qualcosa di più profondo: gli elettori hanno sanzionato ferocemente una classe politica totalmente incapace, che ha distrutto il paese negli anni della crescita, e non ha avuto la credibilità per riuscire a negoziare qualcosa durante la crisi.

In Italia anche, certamente, gli elettori hanno punito la politica di austerità, l’Europa dei tecnocrati e il duo Merkozy. Ma anche qui, forse ancora più che in Grecia, il significato dominante del voto è una bocciatura solenne della classe politica. È una sanzione del fallimento della politica italiana. Tutto sommato, se è vero che l’unica costante sicura è l’avanzata dei grillini, è anche vero che gli elettori italiani non sono così sprovveduti come li si dipinge, né così “antipolitici”. Se il bersaglio fosse stata solo la politica di austerità il PD avrebbe pagato caro quanto il PdL (se non di più) e la Lega avrebbe invece capitalizzato la sua opposizione frontale a Monti. La Lega ha invece perso molto, non quanto il PdL, ma certo molto più del PD. Se il bersaglio fosse stato solo l’Europa, il PD avrebbe perso ancora più voti del PdL. E se le politiche di austerità fossero state il problema principale, forze come l’Idv, Sel e la Federazione della Sinistra avrebbero dovuto rafforzarsi. Non è successo, anzi. In Italia inequivocabilmente il bersaglio dell’elettore inferocito è la cattiva politica. È stata condannata senza pietà la classe politica che ha gestito irresponsabilmente il paese negli anni della crescita, leggi PdL e Lega. Il PD è stato penalizzato violentemente, riducendosi ai minimi termini, dove ha scelto male i candidati, ha perpetuato sistemi di potere decennali, ha portato avanti forze e alleanze innominabili, è stata implicato in intrallazzi, ecc. Ma dove era un minimo presentabile, cioè nella maggior parte dei casi, ha tenuto o ha perso meno voti degli altri, confermandosi il perno delle alleanze di centrosinistra che hanno buona probabilità di vincere al secondo turno, in molti casi togliendo la maggioranza al centrodestra. La crescita dei grillini, che toglie voti a sinistra, mostra che il disagio nei confronti del partito c’è. Ma non negli stessi termini degli altri partiti. Quindi, anche nel PD, ciò che viene colpito è la cattiva politica. E lo stesso accade nelle formazioni di sinistra. Gli italiani sono stufi di una frammentazione della sinistra che non ha nessuna ragione di esistere; altrimenti queste forze così radicalmente antisistema (contro la finanza internazionale, contro la speculazione, contro il “governo dei banchieri” ecc.) avrebbero dovuto avere una esplosione di consensi. Invece niente, i grillini si sono presi anche i loro voti.

Il confronto tra la Francia da una parte e Grecia e Italia dall’altra ci insegna alcune cose.

1. La politica funziona e ha i suoi spazi di manovra dove le istituzioni statali e le strutture finanziarie sono sane. È vero, in generale il capitalismo mondiale vive una profonda crisi di sistema: gli stati nazionali di taglia media e piccola sono impotenti di fronte alla speculazione finanziaria, e questo impedisce loro di fare politiche di spesa senza incorrere in gravi crisi del debito. Gli stati europei a questo aggiungono l’anomalia di una moneta unica senza sovranità economica comune. Da qui la crisi. Ma è indubbio che i paesi più solidi nella struttura dell’apparato statale riescono a imporre delle scelte politiche senza subire gli attacchi della speculazione. La Francia è un caso esemplare. E i risultati parziali dello Schleswig-Hosltein in Germania, dove la SPD cresce, confermano questo.

2. Non è quindi del tutto vero che la crisi europea è solo una crisi del capitalismo. È anche una crisi delle politiche nazionali ed europee, anzi è soprattutto questo. La crisi è provocata ampiamente dalla miopia nazionalista della condotta di Germania e Francia in questi ultimi anni. Paradossalmente, lo hanno mostrato proprio le reazioni dei mercati finanziari. Dopo l’elezione di Hollande non sono andati al ribasso, come sembrava e come numerosi commentatori superficiali si sono precipitati a dire, ma sono andati bene, premiando la prospettiva di un rilancio della crescita concordato sul piano europeo. La crisi europea nasce dal connubio devastante di miopie nazionaliste e meccanismi sistemici finanziari fuori controllo.

3. La gravità della crisi politica e finanziaria in Grecia e in Italia ha una terza radice: la frammentazione del sistema politico e l’inadeguatezza della classe dirigente. In una formula: la modernità mancata. Il berlusconismo è stato soprattutto questo: un progetto molto all’italiana di realizzare l’adattamento del paese alle condizioni della modernità avanzata senza pagarne i prezzi. Cercare di sfruttare le risorse del capitalismo finanziario moderno, senza adeguare le strutture dello stato e della società. Quindi, invece della riforma fiscale e della lotta all’evasione, il patto scellerato di una fiscalità pesante per chi paga, fuori controllo per chi fa il furbo. Invece della razionalizzazione del mercato del lavoro, la proliferazione selvaggia di forme di subordinazione precaria mascherate da partite Iva. Invece della riduzione della spesa corrente, il suo uso politico sostenuto da un debito pubblico incontrollato. Invece della promozione dell’innovazione nella produzione, la compressione salariale e gli incentivi a pioggia alle imprese. Eccetera. E tutto questo accoppiato a un sistema politico il cui unico fine è la riproduzione endogena dei gruppi di potere, non rappresentativo, e frammentato. La situazione greca in fondo è la stessa, più grave per molti aspetti.

Alcune prospettive.

La cosa più urgente da fare, per ogni seria forza democratica europea, per l’Europa e per gli stati europei, è salvare la Grecia. Il risultato delle elezioni, su scala europea, manda questo grido: Atene chiama Parigi. La Grecia rischia adesso davvero la catastrofe, dato il vuoto politico in cui è precipitata. La Francia di Hollande dovrebbe fare questo, oltre a rinegoziare il fiscal compact, proporre gli eurobond, ecc.: dovrebbe lanciare un salvagente alla Grecia, proponendo a tutta l’Europa di rivedere il memorandum imposto dalla UE al governo greco per ottenere gli aiuti finanziari. Questa proposta permetterebbe forse delle alleanze politiche tra forze, attualmente, europeiste e antieuropeiste. Altrimenti, queste alleanze sono impossibili ora come lo saranno anche dopo nuove elezioni a giugno, sempre più probabili. Vengono in mente brutti ricordi: la durezza con cui negli anni venti del Novecento Francia e Belgio imposero il pagamento del debito di guerra alla Germania, provocando la crisi del 1923; o il balletto di elezioni politiche ravvicinate nella Germania del 1932. L’Europa dei nazionalismi cerca di nuovo di distruggere se stessa, come ha fatto più volte nel Novecento. Tutte le forze democratiche devono invece darsi questo programma, come primo punto di uscita dalla crisi, per salvare l’Europa: salvare la Grecia.

Sul piano della politica nazionale, oltre all’assunzione di questa nuova prospettiva europea, che rilanci la democrazia sul piano sovranazionale, che cosa devono fare le forze di sinistra? Primo, la sinistra “istituzionale”, leggi PD, deve fare propria una prospettiva politica di rilancio dell’economia con politica di spesa. Questa è impossibile su scala nazionale e in condizioni di dissesto finanziario interno. Quindi tale politica deve essere sostenuta a livello europeo, promuovendo qualsiasi progetto che rafforzi i poteri sovranazionali della UE in materia economica e fiscale, sotto un controllo di legittimità democratica. Allo stesso tempo, il PD deve fare una svolta netta sul piano della “moralità della politica”. Questo purtroppo è l’auspicio più utopistico. Eppure la partita si gioca quasi tutta qui, come abbiamo visto. La “sinistra sinistra”, cioè tutta l’area a sinistra del PD, deve unificarsi. L’operazione di Mélenchon in Francia e la paralisi della sinistra greca lo mostrano da due lati opposti. Deve unificarsi e fare suo un progetto di democrazia europea, invece di cullarsi in sogni di chiusura nazionalista. Se cominciasse un simile percorso nel senso di una ricostruzione del sistema politico, sarebbe sensato anche proporre una riforma elettorale: nel quadro attuale, è evidente a tutti che il sistema proporzionale è devastante, e che qualsiasi sistema con premio di maggioranza è criminale. Anche in Grecia, adesso, il premio di maggioranza falsa la situazione. Nel quadro frammentato del nostro paese, un sistema maggioritario a doppio turno può aiutare a incanalare il cambiamento senza troppe forzature.

[Questo articolo è stato pubblicato oggi sul sito della rivista “Il Ponte”, con il titolo Atene chiama Parigi]

[Immagine: Marmi del Partenone, British Museum (gm)].

10 thoughts on “Chi ha perso le elezioni?

  1. Solo un’osservazione Mauro. In larga parte concordo con te, ma ho il sospetto che il “boom” del Movimento 5 stelle (perché, checcé ne dica il nostro stimabilissimo Presidente, di boom si è trattato) non si spieghi solo con il malcontento dell’elettorato di sinistra. Chiaramente la mia è solo l’impressione di un profano e bisognerebbe sentire un competente analista di flussi elettorali, ma io mi sono dato una spiegazione diversa. Forse all’origine Grillo intercettava (quando aveva il 3%) i voti degli scontenti di sinistra, per via del fatto che ha sempre battuto su temi cari a quell’elettorato, come i beni comuni, la contrarietà alla Tav, l’ecologismo, ecc…
    Ma ricordiamoci che Grillo dice anche qualcosa di più ormai: la miglior sintesi di certi tratti del suo pensiero è una sua stessa frase, quella in cui, polemizzando con Napolitano di recente, ha detto grosso modo “perché parla, lui che non è neanche eletto dai cittadini?”. Se non è semplificazione rozza e antipolitica questa… Dimentica infatti che la democrazia è costituita da un sistema di regole e contrappesi, complesso e incomprensibile ai più, certo, ma che è irrinunciabile, per quanto sia, ahimé, a volte farraginoso.
    Ora, si potrà anche dire che quella sia solo la sparata di un satirico-comico. Può essere, ma l’effetto che produce non è comico né satirico. Esprime infatti una radicale e populistica semplificazione della realtà (che certo nasce da insofferenza anche comprensibile per certi versi) ed esprimendola intercetta i voti di chi così la pensa. E temo che non siano più solo i voti di chi è insoddisfatto della sinistra per un’integralità civistica che semmai quella complessità delle istituzioni democratiche la difende, non la scredita in piazza.
    Una forza politica deve sempre tener conto di quale sia il suo elettorato. Non so quanto aiuterà i candidati grillini della prima ora, quelli che appartengono precisamente a quel civismo di sinistra cui facevo riferimento, dover rendere conto a elettori che sono stati mobilitati su tutt’altre parole d’ordine. Tutto ciò, senza contare il rischio che sul carro di Grillo saltino cani e porci (ciò è già successo nell’IDV), che approfitteranno dell’onda lunga del leader informale per entrare nel sistema politico spacciandosi per nuovi e puiliti. Il problema della selezione della classe dirigente infatti in Italia è un grosso problema.
    Faccio i miei migliori auguri agli eletti grillini, che credo siano persone encomiabili. Non sono di fronte a una sfida facile.

  2. @ Lo Vetere
    “populistica semplificazione della realtà”

    se riferita al solo Grillo, sembra in effetti più che calzante, ma cos’hanno mai fatto tutti gli altri nel frattempo? Ma com’è che la lente di ingrandimento viene usata solo per Grillo e affini?
    Adesso fanno tutti gli entomologi….

  3. Analisi moto lucida, grazie. Un solo punto: la modernità mancata. Il berlusconismo non è stato soprattutto un “normale” progetto molto all’italiana di adeguamento provinciale al dominio globale del capitale finanziario. E’ stato anche degrado conclamato, e per certi aspetti golpista, à la Licio Gelli, della democrazia partecipativa. L’uscita di scena morbida, ambigua, falsa di Berlusconi senza nessuna verifica o autocoscienza civile, senza nessuna capacità di analisi storiografica e autocritica, è il nostro dramma nel dramma.

  4. Del tutto d’accordo con Piras, anche sulla prospettiva, relativamente indigesta, di una riforma elettorale a doppio turno, altamente improbabile, peraltro, in Italia. Zinato coglie un punto importante: l’uscita di scena di Berlusconi, che potrebbe addirittura anticipare un ritorno, è un dramma nel dramma: una mancanza di “autocoscienza civile”.

  5. @ Capastina.

    In effetti Grillo non è l’unico esempio di populismo. Ma nel commento non dico il contrario, solo taccio di altri. Infatti la mia non era un’analisi globale del populismo in Italia oggi, ma un’osservazione a un punto specifico dell’analisi di Mauro Piras. Niente di più. Un po’ poco per accusarmi di strabismo e mettermi nel club dei “tutti”, di cui proprio non ho la tessera.
    Cordialmente

  6. La mia era una una piccola provocazione voluta, perché , anzi, il tema della “semplificazione della realtà” e del “populismo” sarebbe proprio centrale in questi nostri anni così complessi (più che complicati, ché complicato era, almeno in Italia, quando si moriva “normalmente” di difterite, per dire, e la pellagra c’era ancora tanti che sapevano cosa fosse…).

    Passati per sempre, spero (e non me ne voglia Abate, che stuzzico sempre volentieri), anche gli anni nei quali l’unica lente d’ingrandimento del reale la forniva SOLO una certa “dialettica” (mica dico sbagliata…) le cui vette più alte di pensiero devono ancora decidere se è l’economia che traina il consesso umano, o una visione più ampia (in cui la fantasia avrebbe dovuto prendere il potere, pensa te…), che tenga conto del fatto che il solo essere “economico” (ma mica per sempre, dico) sulla terra è l’essere cosiddetto umano, per poi ignorare che su questo pianeta ci sono tutti gli altri (il più, praticamente).

  7. Caro Daniele,
    sono d’accordo con quello che scrivi. Mi sembra di ricordare, da qualche analisi che ho letto, che circa un terzo dei voti dei grillini viene dal centrodestra. In effetti, lì dentro si trova molto del populismo che imperversa da vent’anni (e fa parte della ricetta della “modernità fallita all’italiana”): democrazia vuol dire “la maggioranza decide”, i politici di professione sono dei delinquenti, le tasse sono un furto, ecc. ecc. Queste posizioni di pancia si spostano da una parte all’altra, a causa di una lunghissima crisi del sistema politica e della rappresentanza che, con alti e bassi, dura da vent’anni. Conseguenza inevitabile, forse, di una democrazia prima bloccata. Adesso dobbiamo prendere coscienza che il problema di fondo è questo. Purtroppo molto di queste semplificazioni si trovano anche in una parte dell’elettorato di sinistra. Grillo congiunge le due sponde.
    Tutto questo non toglie le responsabilità gravissime della classe politica, di entrambe le parti, anche se, insisto, in misura diversa: fa parte del populismo anche dire che tutti, centrodestra e centrosinistra, hanno creato allo stesso modo questa situazione. No, mi rifiuto. Il PD e le altre forze di centrosinistra hanno le loro responsabilita, ma nei pochi anni in cui hanno governato hanno cercato di proporre un altro modello di Italia. Mettere tutti nello stesso sacco fa il gioco della destra populista, e perpetua nell’elettorato di sinistra un atteggiamento semplicistico del tutto autolesionistico, come si è visto più volte (e comunque, buona parte di questo elettorato ha dimostrato in queste elezioni di essere più maturo di certi leader e commentatori).

    Caro Capastìna,
    mi unisco alle repliche di Daniele Lo Vetere al suo intervento. In primo luogo, è evidente la presenza del populismo anche altrove. In secondo luogo, come scrivevo sopra, mi rifiuto categoricamente di semplificare e di mettere nello stesso sacco tutte le forze politiche: non tutte sono populiste, non tutte sono corrotte fino al midollo. Come cittadini, cerchiamo di analizzare e di scegliere quelle che offrono qualcosa di diverso. I francesi hanno fatto così, invece di liquidare Hollande come “il solito socialista” (avrebbero potuto farlo, è lì da trent’anni). E bisogna rifiutare tutti quelli che dicono che il PD e Bersani mancano di “carisma”, di “incisività”, ecc. Basta, siamo stufi di queste cose; facciamo come i francesi, scegliamo le cose concrete, obblighiamo i politici a dare prospettive concrete.

    Caro Zinato,
    la mia formulazione era in effetti fuorviante: con “all’italiana” intendo non solo l’elemento “Alberto Sordi”, ma proprio anche lo sfondo golpista, la resistenza dell’apparato alla democratizzazione e alla crescita dei diritti, ecc. Dalla fine dell’ottocento (Milano 1898), ogni spinta verso la modernità politica, in Italia, è frenata da questo tipo di reazioni.

    Caro Rino,
    secondo me il maggioritario a doppio turno non è un male minore, ma la soluzione migliore, rispetto al proporzionale con sbarramento, che è l’unica altra proposta seria. Tutte le altre formule sono pasticci scelti solo per opportunità politica di breve periodo, hanno solo creato danni.
    L’uscita di scena di Berlusconi in effetti dovrebbe essere analizzata meglio, metabolizzata. Ma forse noi non abbiamo ancora metabolizzato decentemente neanche l’uscita di scena di Mussolini (le due, nel passaggio inevitabile dalla tragedia alla farsa, si assomigliano).

  8. Certamente, maggioritario con doppio turno nei collegi oppure proporzionale con sbarramento (alla tedesca). Sono le uniche soluzioni serie. Temo però che non se ne farà niente: che resti il “porcellum” con qualche modifica di facciata.

  9. Che poi, lasciatemi dire che è difficile trovare qualcuno più autolesionista di chi si ostina a votare una parte politica ormai solo per motivi affettivi. Certo, l’offerta Dx e quella SX, a guardarli con la lente d’ingrandimento, qualcosa di differente ce l’hanno.
    Ma mi sbaglio, o i veri globalisti stanno nel sx? Ed nacora trovano qulache masochista che li vota?
    E’ vero o no che nei lunghi anni di governo, non hanno portato alla luce neanche un pezzo della verità storica sulle stragi che sono avvenute in Italia, che non hanno minimamente scalfito i poteri delle banche e delle assicurazioni, che sono stati i grandi privatizzatori, ed ora ci ritroviamo con monpoli privati, e dove il monopolio non c’è più, le azinede sono quasi decotte?
    Chi non ha fatto la legge sul conflitto di interessi? Ma di cosa stiamo parlando, di opinioni, perchè di fatti no, qui i fatti latitano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *