di Laura Pugno
Tavola dei nomi e delle materie è un nuovo ciclo di interviste a scrittori e scrittrici, su un loro libro.
A ognuno di loro assegnerò una materia reale o immaginaria – sappiamo che è la stessa cosa –, visibile o invisibile, astratta o concreta, che il loro libro mi evoca, e chiederò di commentare questa scelta.
A ogni scrittore o scrittrice, poi, chiederò di scegliere un nome, alias di parlare di qualcuno, qualcosa, reale o immaginario – anche qui –: luogo o persona, soggetto umano animale vegetale minerale o all’incrocio di tutti questi mondi, del presente o del passato, o addirittura del futuro, che fa parte della materia del libro o che è stato determinante nell’innescare o nel far compiere il processo creativo che ha portato al libro stesso.
Laura Pugno
Ecco la tua materia
Giulia Siviero, in “Fare femminismo” (Nottetempo), la tua materia è il poiein delle pratiche, della felicità e potremmo dire, in senso lato, della poesia. Si comincia sempre a cercare da una teoria, o più teorie: come hai dipanato il filo che dal pensiero porta all’azione, come vorresti riavvolgerlo per intrecciare una teoria – più teorie – nuove?
Come spesso accade la presa di parola nasce da un desiderio. Il mio era quello di riportare al centro del discorso il fare creativo dei movimenti delle donne, quello legato alle pratiche che, sempre intrecciate al pensiero, è spesso rimasto ai margini del racconto, tramandato oralmente o disseminato in archivi, volantini, documenti.
Mi sono formata tra le pensatrici di Diotima, comunità filosofica femminile legata all’Università di Verona, in un momento in cui i movimenti stavano ricominciando a uscire dall’accademia per occupare le piazze. E poi mi sono ritrovata tra le strade, le assemblee, i cortei di Non Una di Meno e un femminismo che mi sembra fatichi a tessere relazioni e ad agire: una sorta di megafono affollato di slogan, come scrivo nel libro, e di cose che materialmente stanno accadendo altrove, una sorta di femminismo fantasmatico, quasi senza corpo, che mentre fa divulgazione, spesso e purtroppo, capitalizza a uso personale le istanze più radicali del movimento.
Ma il femminismo è stato e resta ancora oggi un movimento di pensieri e pratiche di libertà, uniche, spettacolari e sempre intrecciate tra loro. Come si dice in un libro della fine degli anni Ottanta della Libreria delle donne di Milano intitolato “Non credere di avere dei diritti”, un testo importante per il femminismo italiano, le pratiche sono forme di vita, nascono da esperienze pensate, discusse e agite con altre. Sono in continua trasformazione e incommensurabili: non hanno cioè come propria misura l’efficacia della politica tradizionale, ma il cambiamento delle vite reali. Ciascuna è nata all’interno di precisi contesti, ma tutte sono dei processi, percorsi di sperimentazione, di scoperta ancora in corso, naturalmente. Penso a come il movimento argentino Ni Una Menos ha risignificato la pratica dello sciopero, penso alle occupazioni dei consultori anche qui in Italia o alle reti informali che sono tornate ad affiancare le persone che vogliono abortire per i troppi ostacoli. Nella genealogia femminista c’è un arsenale di pratiche che può essere recuperato, e rimesso al mondo.
Scegli il nome
Le protagoniste delle tue storie – che sono figure storiche – sono state determinanti per te, a un certo momento della tua vita e della tua personale pratica femminista? Come le hai scelte? Quali storie, invece, hai rinunciato a raccontare, su quali conti di tornare in futuro?
Nella mia cucina c’è un grande e vecchio manifesto della metà degli anni Settanta che mi è stato regalato da un amico. Apparteneva a sua madre ed è la chiamata a una grande manifestazione che si tenne a Verona in occasione di un importante processo per stupro che i collettivi femministi trasformarono in un processo politico. È firmato dal Coordinamento Veronese Collettivi Donne ed è precisamente questa dimensione collettiva che sta al centro delle storie che racconto. Non sono mai storie singolari di singole donne. Se è vero che ci sono molti gesti inaugurali, o considerati tali, compiuti da alcune non sono isolati, ma stanno in una costellazione, all’interno di una creatività sorretta da molte, in molte parti del mondo. Ci sono dunque storie provenienti dalla storia del femminismo e storie che arrivano dai movimenti delle donne: alcune le conoscevo, altre mi sono state raccontate dalle donne che ho intorno e con cui faccio politica. Di nuovo, e senza alcuna pretesa di esausitività, ho seguito il desiderio accostando queste storie in modo imprevisto e cercando di seguire il “fare” del titolo nelle sei azioni dei diversi capitoli. Azioni larghe che mi sembrano abbiamo guidato i movimenti femministi nel mondo.
Molto è rimasto fuori: avrei voluto lavorare molto di più sul “fare” inteso come disfare: relazioni e famiglie cosiddette tradizionali, innanzitutto, rapporti di potere, gerarchie, sentimenti codificati. E avrei voluto lavorare sul tema della resistenza delle donne in Palestina che ha una storia lunga, iniziata con le prime lotte contro il Mandato britannico e che ha seguito, almeno fino a un certo punto, un duplice processo dispiegandosi come resistenza all’occupante e resistenza al patriarcato. Un processo agito, libero dalle dinamiche neocoloniali e libero da qualsiasi retorica della salvezza. Credo però che soprattutto ora, in questo momento storico in cui è in corso il genocidio del popolo palestinese, questa storia non debba essere una storia tra le altre, ma meriti invece, con le risorse che ancora oggi può offrire, tutta l’attenzione del mondo.