di Manuela Monti e Carlo Alberto Redi
[E’ appena uscito per Carocci SOS Terra. Emergenze planetarie e negazionismo ambientale, di Manuela Monti e Carlo Alberto Redi. Ne pubblichiamo un estratto].
Emergenze planetarie
La Terra è bellissima, ma soffre di una malattia chiamata uomo.
Friederich Nietzsche, Così parlò Zarathustra
La precisa citazione dallo Zarathustra di Nietzsche (2010, pp. 456-7; 1844-1900) posta in esergo suona così: «La Terra, egli disse, ha una pelle; e questa pelle ha malattie. Una di queste malattie si chiama, per esempio, “uomo”». E in effetti l’uomo ha procurato molte “malattie” al pianeta, che oggi è soffocato dalla plastica, mentre i ghiacciai si sciolgono, gli oceani e le barriere coralline muoiono, le foreste scompaiono e lo stesso fanno le specie (molte ancor prima di essere scoperte). Ci è voluta quella cartina di tornasole che è stata la pandemia di covid-19 per mettere l’umanità intera dinnanzi all’evidenza che la crescita economica senza limiti ha conseguenze mortali, per l’ambiente e per l’uomo, e costituisce la più grande minaccia alla sopravvivenza della nostra specie. La “grande accelerazione” (Steffen et al., 2015; 2018) ha causato il devastante aumento dell’impronta ambientale dell’uomo a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, dovuto al forte incremento numerico della popolazione e all’utilizzo smodato dei combustibili fossili. The Trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration (“La traiettoria dell’Antropocene. La grande accelerazione”) è un lavoro che andrebbe letto e riletto poiché spiega chiaramente le basi concettuali dell’idea di Antropocene (termine brillantemente coniato nell’anno 2000 da Paul Crutzen, 1933-2021, Nobel per la chimica nel 1995 per «gli studi sulla chimica dell’atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e la decomposizione dell’ozono»1 con Frank Sherwood Rowland, 1927-2012, e Mario Molina, 1943-2020) e di come il pianeta Terra sia entrato in una nuova era geologica a causa dell’attività umana.
La realtà della nostra epoca è fatta di temi drammatici: guerre, pandemie, emergenze sanitarie, mutamenti e migrazioni climatiche, insicurezza alimentare ed energetica; solo per ricordare alcune delle crisi che stiamo vivendo. Chi le studia si affanna a ricordare (come fanno i giovani ambientalisti) che esse non hanno confini sicuri e riguardano tutta l’umanità. Finalmente è divenuto chiaro che le società umane devono essere viste come parte della biosfera e non come entità poste al di fuori di essa. Nell’Antropocene il benessere dell’umanità dipende dalle azioni (benefiche o malefiche per la biosfera) che collettivamente sapremo intraprendere. La consapevolezza di questa situazione ha portato all’elaborazione del Planetary Emergency Plan (“Piano di emergenza planetario”) preparato da Club di Roma e Potsdam Institute for Climate Impact Research (2019). È questa una proposta di percorso virtuoso per una trasformazione e una rigenerazione dei sistemi sociali ed economici in grado di bilanciare salute del pianeta e prosperità per tutti i suoi abitanti. Salute umana e benessere per i tanti miliardi di abitanti del pianeta possono essere assicurati solo fermando il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, uscendo così dall’emergenza. Concetti ribaditi anche da numerose riunioni di esperti – in particolare dal primo Nobel Prize Summit, un incontro internazionale di laureati Nobel dedicato al futuro del nostro pianeta, e dunque al futuro dell’umanità, dal titolo Our Planet, Our Future: An Urgent Call for Action (“Il nostro pianeta, il nostro futuro. Un appello urgente all’azione”; 26-28 aprile 2021) – che sottolineano l’importanza di agire ora per mitigare le conseguenze del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità, per ridurre le disuguaglianze e portare fuori dalla povertà miliardi di persone. Un dettagliato sunto delle conclusioni di queste riunioni è riportato nell’articolo di Carl Folke e collaboratori (2021), dove numerosissimi dati scientifici sostengono che il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità non sono questioni indipendenti bensì fenomeni (causati dalle medesime azioni umane) interagenti tra loro. In questo contesto appare chiaro come la fortuna di una vita personale dignitosa sia legata alla casualità del luogo di nascita; altrimenti detto: come essa sia legata al codice di avviamento postale del luogo di nascita. Questo fatto implica doveri etici dei più fortunati verso coloro che si trovano a vivere in realtà di Apartheid climatica. Una trattazione completa di tutti questi temi e problematiche è ben presentata e dettagliata nel documento originale della Global Assembly (2021).
Il collasso e la devastazione del pianeta sono caratterizzati da crisi ambientale, sanitaria, alimentare ed energetica; queste comportano gravi conseguenze poiché hanno un impatto fortemente negativo su:
- biodiversità terrestre e acquatica;
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salute umana e dei viventi del pianeta (animali, piante ecc.);
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sicurezza alimentare;
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sicurezza delle acque (qualità e quantità);
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salute degli oceani e vita marina;
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ciascuno di questi fenomeni, a sua volta, si riverbera su altri acuendone la gravità (nuove zoonosi, migrazioni, ingiustizie sociali ecc.).
L’urgenza dell’agire oggi è ben delineata da due testi di riferimento. Il primo è quello di Luigi Ferrajoli (2022), Per una costituzione della Terra, ove l’autore chiama “crimini globali” i fenomeni dovuti allo stile di vita occidentale, quelli causati dalla nostra “normalità”: riscaldamento globale, crisi alimentare, disuguaglianze, migrazioni e sfruttamento, crisi sanitaria, pandemie. Il secondo è quello di Noam Chomsky (2023) che, se mai possibile, è ancora più diretto nel chiedere azioni riparatorie nel suo Poteri illegittimi. Clima, guerre, nucleare: affrontare le sfide del nostro tempo.
Antropocene (a volte aggiornato nel più comprensibile Plasticene) è il termine impiegato per indicare il momento che stiamo vivendo e dar conto della differente responsabilità delle popolazioni umane nell’aver contribuito all’attuale catastrofe ambientale. Nel 2009 durante la cop (Conferenza delle parti) di Copenaghen, i cosiddetti “paesi ricchi” (quelli maggiormente responsabili del disastro ambientale) si erano impegnati a versare annualmente 100 miliardi di dollari ai paesi a medio-basso reddito per far fronte alle emergenze climatiche: Oxfam denuncia che quei finanziamenti sono in ritardo di molti anni e sono stati quasi tutti erogati sotto forma di prestiti, il che aggrava il debito estero di paesi già in gravi difficoltà economiche.
È dunque necessario sviluppare politiche di sostenibilità per giustizia sociale e giustizia ambientale; la sostenibilità è una doverosa risposta a una giusta domanda di giustizia intergenerazionale che si può declamare con un concetto assai semplice: abitare la Terra, non sulla Terra. Tale idea va seguita pervicacemente (e fattivamente) ricordando che vivere significa creare e mantenere le condizioni di abitabilità con la Terra (Steffen et al., 2018), e magari anche tentare di essere tutti felici. Tra pochi anni saremo ben 10 miliardi e oltre il 70% degli umani vivrà in metropoli sempre più grandi (secondo le World Population Prospects 2022). Per evitare altre pandemie (ad esempio quella del vaiolo delle scimmie)2 è doveroso cambiare le nostre abitudini assai poco rispettose della natura e delle sue componenti ritenute, tout court, risorse economiche inesauribili. Poiché viviamo nel millennio delle scienze della vita e le domande “Da dove veniamo?” “Chi siamo?” “Dove andiamo?” si caricano oggi di nuovi significati che rendono urgente una riflessione radicale sulla nostra quotidianità trasformata (come ci relazioniamo, come ci curiamo, quale cibo produciamo ecc.), pensiamo che il tema debba essere trattato da tutti i “saperi” in modo transdisciplinare. Un prezioso esempio di metodologia da perseguire per questi fini ci è offerto dal governo inglese che ha realizzato il rapporto Dasgupta (coordinato e sviluppato da Sir Partha Dasgupta, 2021, della Cambridge University) dal titolo The Economics of Biodiversity (“L’economia della biodiversità”). Con questa monumentale opera (ben 606 pagine elaborate da biologi, chimici, medici, economisti, giurisperiti, sociologi, psicologi, letterati, filosofi) illustra come siamo giunti all’attuale livello di distruzione della biodiversità e quali azioni dobbiamo intraprendere per ricostruirla. Se l’idea di leggere 606 pagine spaventa, invitiamo vivamente alla lettura della prefazione, dell’introduzione e dei titoli dei tanti capitoli del documento: già così risulterà chiaro che il pianeta Terra è allo stremo. Siamo giunti al momento in cui i manufatti e i prodotti dell’uomo (edifici, plastiche ecc.), che ammontano a circa 1,1 teratonnellate (1 teratonnellata = 1012 tonnellate), hanno superato la biomassa dei viventi (inferiore a una teratonnellata, vegetali e animali). Le domande di risorse (materie prime, combustibili, legname, alimenti ecc.) e servizi (produzione di ossigeno, assorbimento della CO2 (l’anidride carbonica) atmosferica, riciclo di nutrienti, capacità di eliminare scorie ecc.) che oggi poniamo al pianeta sono tali che dovremmo disporre di quasi due pianeti (1,6 per la precisione) per soddisfarle. Sulla base di dati numerici e affidabili si dimostra che il “capitale natura” (piante, animali, aria, suolo ecc.), il capitale umano (conoscenza, educazione, competenze, attitudini ecc.) e il capitale prodotto (macchine, strumenti, edifici, infrastrutture ecc.) sono legati da raffinate architetture di relazione. Sulla scorta di puntuali analisi storiche si dimostra che il successo economico, oggi, deve essere valutato non solo sul mero ritorno finanziario dell’investimento ma anche sul valore dei servizi offerti dal “capitale biodiversità” sottesi a quel guadagno.
Nelle diverse sezioni del documento vengono chiariti, con una quantità di dati impressionanti, diversi punti focali, tra i quali:
– le nostre economie, mezzi di sostentamento e benessere dipendono dal patrimonio più prezioso di cui siamo dotati, la natura. Questa assicura acqua, ossigeno, cibo, smaltisce rifiuti, e assorbe la CO2. Di conseguenza la natura è un patrimonio come lo sono il capitale prodotto (come le strade, gli edifici) e il capitale umano (la salute, la conoscenza, le competenze);
– l’umanità, collettivamente, ha fallito nella valutazione della sostenibilità della natura al punto che le attuali richieste di risorse e beni superano di gran lunga la capacità del pianeta di fornirli. Tra il 1992 e il 2014 il valore del capitale prodotto (ad esempio macchine ed edifici) si è duplicato mentre è diminuito del 13% quello del capitale umano (lavoratori e loro capacità) e del 40% quello delle risorse naturali;
– molti ecosistemi (foreste tropicali, barriere coralline) sono ormai persi mentre altri sono sul punto di scomparire; intervenire ora per preservarli ha un costo ben minore rispetto alle perdite di quei patrimoni naturali. Degli 867 differenti ecosistemi categorizzati solo 42 sono ben protetti e gestiti;
– è necessario sviluppare e adottare differenti parametri di valutazione del successo economico, utilizzando misure del patrimonio (della ricchezza) che tengano conto dei benefici ottenibili dagli investimenti su risorse naturali (con esempi virtuosi nel campo della forestazione, gestione della pesca, ecoturismo). Ogni dollaro investito in ricostruzione di ecosistemi assicura un ritorno dai 3 ai 75 dollari (con una media di 10) di benefici economici;
– la soluzione risiede nel capire e accettare una semplice verità: le nostre economie sono incastonate, integrate entro la natura e non esterne a essa.
Nell’insieme, sono valutati i benefici che la biodiversità assicura all’economia e i costi derivanti dalla sua perdita a livello globale. Ne emerge un chiaro suggerimento ad attuare una profonda autotrasformazione in ciascuno di noi. Solo in questo modo possiamo sperare di realizzare un vero cambiamento, di divenire soggetti attivi, capaci di produrre trasformazioni individuali e collettive. Già da tempo gli scienziati hanno lanciato grida di allarme (esattamente come quelle del rapporto Dasgupta) ricordando i rischi legati allo sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta, come se queste fossero illimitate e le azioni legate al loro utilizzo neutre: I limiti dello sviluppo è il rapporto pubblicato nel 1972 dal Club di Roma (elaborato da scienziati di tante qualificate istituzioni coordinate dal mit – Massachusetts Institute of Technology – di Cambridge) ove si diceva a chiare lettere che l’ambiente terrestre e i sistemi economici sarebbero collassati dinnanzi a una continua crescita della popolazione accompagnata da uno sfruttamento senza sosta delle risorse e del suolo del pianeta Terra.
Ora un nuovo volume ad opera di Sandrine Dixson-Declève e collaboratori (2022) aggiorna quel richiamo: Earth for All: A Survival Guide for Humanity (“Terra per tutti. Una guida di sopravvivenza per l’umanità”). È questa una guida necessaria che tutti noi dovremmo studiare accuratamente per poter vivere bene e consapevolmente il nostro pianeta, in altre parole per vivere la Terra e non sulla Terra. Dalla lettura è possibile ricavare dodici messaggi di estrema importanza: Federico Butera (2022, p. 8) così li sintetizza sulle pagine dell’“ExtraTerrestre”, l’inserto ecologista settimanale del “manifesto”, del 22 settembre 2022 precisando che:
Sono messaggi che, non a caso, condensano quanto la comunità scientifica internazionale va ripetendo da anni, inascoltata. Messaggi che tutti noi dovremmo avere ben chiari per orientare i nostri comportamenti […]. Particolarmente utili sono per il fronte progressista, perché non sembra che abbia chiaro che – messaggio 2 – «l’attuale sistema economico sta destabilizzando le persone e il pianeta», e che quindi va radicalmente cambiato.
I messaggi chiave come sintetizzati da Butera sono i seguenti.
1. È possibile per tutti avere un elevato standard di vita entro i limiti del pianeta.
2. L’attuale sistema economico sta destabilizzando le persone e il pianeta. Nonostante una ricchezza senza precedenti, le società rimangono estremamente vulnerabili agli shock sanitari, umanitari ed economici.
3. Il divario tra ricchi e poveri continuerà ad aumentare nei prossimi decenni, a meno che non si intervenga per risolverlo. I livelli distruttivi di disuguaglianza e le crescenti emergenze climatiche ed ecologiche saranno probabilmente i principali responsabili dell’aumento delle tensioni sociali.
4. La temperatura media globale rischia di aumentare di 2,5 gradi in questo secolo. Ciò supera notevolmente l’obiettivo stabilito dall’Accordo di Parigi3 delle Nazioni Unite sul clima. Quando l’aumento della temperatura media globale supererà gli 1,5 gradi, il rischio di attraversare molteplici punti critici inarrestabili e autorinforzanti sarà più elevato.
5. Prima agiamo, meglio è. Il futuro dell’umanità sulla Terra sarà molto più pacifico, più prospero e più sicuro se le società faranno tutto il possibile per trasformare i sistemi economici in questo decennio, piuttosto che se non lo faranno. Non si può escludere un collasso sociale nelle regioni vulnerabili, con conseguenze destabilizzanti che si riverseranno a livello globale.
6. La trasformazione in “economie del benessere” sarà probabilmente dirompente. Il mondo ha superato il punto in cui è possibile una trasformazione incrementale: le soluzioni devono essere eque e giuste, altrimenti rischiano di essere rifiutate.
7. Saranno necessarie cinque svolte straordinarie in materia di povertà, disuguaglianza, emancipazione di genere, cibo ed energia. Queste svolte equivalgono a una trasformazione economica su larga scala.
8. La trasformazione economica è accessibile. L’investimento necessario per costruire una civiltà più resiliente sarà probabilmente modesto: nell’ordine del 2-4% del reddito globale all’anno per la sicurezza energetica e alimentare sostenibile.
9. La trasformazione economica richiede governi forti e attivi per rimodellare i mercati e investire in progetti infrastrutturali a lungo termine. Il processo genererà fiducia, creerà milioni di posti di lavoro e guiderà l’innovazione e il progresso economico.
10. Il consumo eccessivo nei paesi ad alto reddito deve essere frenato. È necessario attuare politiche che garantiscano la sufficienza per tutti ridistribuendo la ricchezza, riducendo l’impronta materiale dei ricchi e promuovendo il passaggio a un uso intelligente delle risorse naturali, alla circolarità e a soluzioni rigenerative nei paesi a basso, medio e alto reddito.
11. La ricchezza deve essere ridistribuita in modo più equo per affrontare la disuguaglianza. Ciò rafforzerà la coesione sociale e creerà fiducia nei governi per rimodellare i mercati e investire nel futuro.
12. Abbiamo raggiunto un punto di svolta sociale positivo: i cittadini sono pronti al cambiamento. Il sondaggio globale sui paesi del G20, riporta Butera nel suo articolo, ha rilevato che il 74% dei cittadini è favorevole a una riforma dei sistemi economici che abbandoni la centralità del profitto e della crescita per concentrarsi maggiormente sul benessere umano e sul pianeta. Importanti coalizioni e iniziative politiche già operano in questa direzione: l’Alleanza per il benessere dei paesi, il Green Deal europeo, il New Deal statunitense, il Global Deal proposto e la Civiltà ecologica cinese.
I punti 2, 10, 11 e 12 dovrebbero costituire il modus ponens per un sincero e costruttivo dibattito sul tema ambiente e vita sul pianeta che non sia pregiudizialmente impostato su pur legittime convinzioni personali. In caso contrario (purtroppo ciò che avviene oggigiorno), il dialogo sarà del tutto inefficace e fine a sé stesso per lo scopo di trovare un accordo su come continuare a vivere la Terra. Purtroppo, la crisi ambientale non è un fatto acquisito da tutti gli abitanti del pianeta, per due ragioni principali: l’una, ovvia, dovuta a un grave stato di indigenza di miliardi di persone che comprensibilmente non hanno mezzi e tempo per occuparsi d’altro che non sia il combattere giornalmente per vivere e sopravvivere; l’altra, più complessa, dovuta all’interessato agire di gruppi di negazionisti: privilegiati capaci di creare, diffondere e far prevalere nella società delle narrative fraudolente per meri interessi economici e di consenso politico. Così per molti, vittime di una narrazione inquinata da notizie false e disinformazione, la crisi ambientale e le sue emergenze non sono realtà. Capire i meccanismi sottesi alle false narrazioni (pervasive perché potenziate dalla comunicazione tramite la rete) è premessa necessaria per dotarsi di una cittadinanza scientifica per un agire collettivo e immediato così da evitare che l’agenda 2024 si trasformi in una subenda 2024.
Dobbiamo agire subito per assicurare alle generazioni future benessere dell’ambiente e giustizia sociale: dobbiamo comportarci da buoni antenati.
“È doveroso”, “dobbiamo”, “l’uomo deve”.
Come pensano gli autori, e in generale il mainstream ambientalista catastrofista, che questo comando possa essere praticamente realizzato, tanto nelle nostre società, quanto in quelle emergenti?
Più nel dettaglio: come pensano, gli autori, di alterare il sistema corrente (problematico, senza dubbio) in pratica? Intendo dire, senza scaricare sul cittadino la repsonsabilità delle emergenze nelle quali egli viene immerso quotidianamente?
saluti,
claudio
Claudio, sacrosanta osservazione ! Tutti noi siamo alla ricerca di una risposta a questa domanda che sorge spontanea. Proponiamo diversi scenari nel libro (partendo dai dati scientifici riconosciuti e passando per Martin Heidegger !). Quello che più ci convince, sotteso a quel comando, è la convinzione (articolata nei vari passaggi del libro) che solo educando e responsabilizzando il principale colpevole del disastro planetario ecologico ((pianeta Terra)) e sociale ((disuguaglianze)): noi stessi !!!! si possa veramente incidere sui processi attualmente in atto.
buon lavoro e buona giornata