di Vincenzo Pernice

 

[E’ da poco uscito per Mimesis I romanzi del futurismo. L’avanguardia per tutti, di Vincenzo Pernice (prefazione di Antonio Scurati). Ne proponiamo un estratto].

 

LA ZONA FRANCA DEL FUTURISMO

 

“Probabilmente colla prosa rimangono fregati moltissimi critici. I romanzieri a dozzine come darà il futurismo non ci sono neanche nel mondo della Luna”. A. Palazzeschi a F.T. Marinetti, luglio 1910

 

Nel 1997 Giuseppe Petronio pubblica Il piacere di leggere. La letteratura italiana in 101 libri. Si tratta di un canone della leggibilità da consegnare al nuovo millennio, in un percorso diacronico dalla Commedia di Dante alla narrativa del tardo Novecento. C’è posto anche per il futurismo, tuttavia, contrariamente alla gran parte delle 101 schede che compongono il volume, Petronio non propone all’utente medio un’opera specifica della nostra avanguardia, bensì invita a leggerne i manifesti. “La vicenda del futurismo e dei futuristi è, senza dubbio, significativa e istruttiva, anche se è difficile, o addirittura impossibile, consigliare oggi una loro opera che sia, nello stesso tempo, emblematica e godibile”1.

 

All’uscita de Il piacere di leggere, l’Italia ha alle spalle quarant’anni di ricerche sul futurismo letterario, che evidentemente non sono serviti a smentire tutta una serie di pregiudizi. Il movimento fondato da F.T. Marinetti sarebbe una fucina di idee prive di compimento sul piano creativo, il cui unico merito è aver indicato strade che altri avrebbero percorso con risultati migliori, “per le arti figurative è un altro discorso”2, mentre “particolarmente importante, per la complessità dei suoi interessi e l’originalità delle opere, fu il futurismo russo”3.

 

Date queste premesse, non stupisce come la controparte didattico-antologica al suddetto inquadramento critico sia rappresentata dai manifesti, i quali risultano i testi più noti della nostra avanguardia. È in tal senso che il canone della letteratura italiana ha accolto e al tempo stesso rimosso il futurismo, presentandolo come un’officina di proclami, negando la possibilità di fruirlo e studiarlo nelle sue realizzazioni effettive. Senz’altro è possibile “trattare l’avanguardismo in quanto fatto di cultura”, eppure “Il giudizio critico non deve fermarsi all’ante litteram, ma deve an- dare al testo e affrontare l’opera d’arte concreta”4.

 

Pur in presenza di un nutrito numero di estimatori, bibliofili, collezionisti, gli studi sulla letteratura futurista si sono concentrati sulla teoria delle parole in libertà, a scapito di un’analisi puntuale delle opere effettivamente prodotte. Da qui l’immagine di un movimento che secondo la vulgata, fatta eccezione per Aldo Palazzeschi, avrebbe realizzato soltanto opere di scarso valore estetico (versi liberi) o al limite della leggibilità (parole in libertà), quando non semplici curiosità bibliografiche (tavole parolibere).

Le cose stanno davvero così? Il futurismo letterario italiano non avrebbe lasciato proprio nessun opera “emblematica e godibile”? Il problema sta forse nel punto di vista adottato finora.

 

Scegliendo di concentrarsi sulla componente più innovativa e appariscente, ovvero le parole in libertà e le varie declinazioni di scrittura visuale, la critica ha in sostanza accantonato una vasta produzione di romanzi, novelle e prose liriche, entro cui potrebbero collocarsi lavori non soltanto esteticamente significativi, degni dell’attenzione degli esperti, ma anche alla portata dei lettori comuni. In un’Italia che, nel corso del Novecento, ha visto la prosa imporsi progressivamente sul tradizionale primato del linguaggio poetico, innescando una vera e propria “egemonia del romanzo”5, è allora opportuno approfondire il rapporto intrattenuto dalla nostra avanguardia con la forma più tipica e rappresentativa della modernità letteraria. Bibliografie alla mano, i futuristi hanno scritto decine di romanzi nell’arco dell’intero svolgimento storico del movimento (1909-1944).

 

È vero, il primo e unico manifesto programmatico dedicato alla narrativa (Il romanzo sintetico, firmato da Marinetti, Luigi Scrivo e Piero Bellanova) risale soltanto al Natale del 1939, a giochi ormai fatti. Cionondimeno la disattenzione riservata alla prosa ha del paradossale, se si pensa come, a dispetto del manifesto tardivo, la prima opera propriamente futurista di Marinetti sia appunto il romanzo Mafarka le futuriste (1909), così come è un romanzo il lavoro oggi più letto e apprezzato del gruppo, l’unico che in qualche modo possa essere annoverato al rango di classico, ovvero Il Codice di Perelà (1911) di Palazzeschi.

 

Esistono ovviamente delle eccezioni. Per quanto al margine del dibattito, un certo numero di studiosi si è effettivamente interrogato sulla natura delle opere in prosa della nostra avanguardia e sulla possibilità o meno di un “romanzo futurista”6. Le posizioni coinvolte sono molto diverse, ma è possibile individuare due schieramenti opposti. Il primo si potrebbe definire deduttivo: partendo da determinate aspettative o anche pregiudizi nei confronti dell’avanguardia storica, questa prospettiva ha finito per negare l’esistenza di una narrativa futurista soltanto perché non sorretta da sufficiente elaborazione teorica o in alternativa ha definito romanzi anche opere di natura diversa (poemi, aeropoemi), scorgendovi presunte forme di narrazione sperimentale. Il secondo è invece di tipo induttivo: preso atto, senza preconcetti, che il futurismo ha prodotto romanzi sia sperimentali sia e più spesso in contraddizione con i dettami del paroliberismo, li si è accolti tutti come parte della sua storia. Se è vero che un movimento d’avanguardia si definisce tale anche in base alla capacità di intervenire sulla società, quest’ultimo orientamento appare il più proficuo per approfondire la questione, a maggior ragione che la forma romanzo, per qualità intrinseche di moderna epopea borghese, deve necessariamente misurarsi con un pubblico di lettori e un mercato di riferimento.

 

Ci si domanda, in sostanza, a chi hanno voluto rivolgersi i futuristi pubblicando romanzi con tavole parolibere, a chi e con quali intenti scrivendo narrativa di consumo. Per rispondere bisogna tenere conto delle caratteristiche di questi testi, delle motivazioni che li hanno ispirati e del contesto storico-culturale in cui hanno preso vita. Solo così si potrà verificare se e in qual modo si possa parlare di “romanzo futurista” o se non convenga esprimersi in altri termini. E magari, alla fine, si potrà anche indicare qualche opera “emblematica e godibile” da consegnare al canone.

 

Note

 

1 G. Petronio, Il piacere di leggere. La letteratura italiana in 101 libri, Mondadori, Milano 1997, p. 267.

2 Ivi, p. 268.
3 Ivi, p. 267.
4 R. Poggioli, Teoria dell’arte d’avanguardia [1962], Biblioteca d’Orfeo, Roma 2014, p. 284. Peccato che lo stesso Poggioli aggiunga in seguito: “le mi- gliori produzioni che Marinetti e i suoi collaboratori ci abbiano lasciato restano infatti i manifesti” (ivi, p. 387).

5 Cfr. V. Spinazzola, L’egemonia del romanzo. La narrativa italiana nel secondo Novecento, Il Saggiatore, Milano 2007.

6 Cfr. R. Jacobbi, Per una rilettura della poesia futurista, in Id. (a cura di), Poesia futurista italiana, Guanda, Parma 1968, pp. 50-51, 73-79; L. De Maria, Introduzione, in Id. (a cura di), Filippo Tommaso Marinetti e il futuri- smo [1973], Mondadori, Milano 2000, pp. XXIX-XXXII; M. Verdone (a cura di), Prosa e critica futurista, Feltrinelli, Milano 1973; E. Falqui, Esiste la pro- sa futurista?, in “Il Dramma”, a. XLIX, n. 5, 1973, pp. 39-42; R. Cavalluzzi, Metamorfosi del romanzo. L’attività narrativa del primo Novecento, Adriatica, Bari 1988, pp. 171-219; C. De Benedictis, La teoria del romanzo futurista, in “Critica letteraria”, a. XXI, n. 81, 1993, pp. 789-799; Id., Bibliografia del romanzo futurista, in “Otto/Novecento”, a. XVII, n. 3-4, 1993, pp. 177-187; A. Masi (a cura di), Zig zag. Il romanzo futurista [1995], Il Saggiatore, Mi- lano 2009; S. Contarini, Il futurismo e il romanzo. “Sam Dunn è morto”, “Il Codice di Perelà”, in “Narrativa”, n. 9, 1996, pp. 15-41; G. Tellini, Il romanzo italiano dell’Ottocento e Novecento, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 281- 290; W. Pedullà, Avanguardie e futurismo, in N. Borsellino, W. Pedullà (diretta da), Storia generale della letteratura italiana, vol. X, Motta, Milano 1999, pp. 201-213; G.B. Nazzaro, Romanzo, in E. Godoli (a cura di), Il dizionario del futurismo, vol. II, Vallecchi, Firenze 2001, pp. 985-989; S. Giovanardi, L’avan- guardia storica, in G. De Angelis, S. Giovanardi, Storia della narrativa italiana del Novecento, vol. I, Feltrinelli, Milano 2004, pp. 197-228; L. D’Ascia, Il ro- manzo futurista: estetica dell’immagine e civiltà di massa, in I. Riccioni (a cura di), Arte d’avanguardia e società. L’esperienza futurista nel pensiero sociale e culturale contemporaneo, L’Albatros, Roma 2006, pp. 113-126; G. Iannaccone, Vietato vietare. Paradossi, comicità e dissacrazione nella narrativa futurista, in “Sinestesie”, VIII, 2010, pp. 40-52; T. Biancolatte, La narrativa futurista, in W. Pedullà (a cura di), Il futurismo nelle avanguardie, Ponte Sisto, Roma 2010, pp. 289-304; L. Ballerini, Tentativi di avvicinamento ad alcuni “roman- zi” di Marinetti, ivi, pp. 315-333; L. Weber, Romanzi del movimento, romanzi in movimento. La narrativa del futurismo e dintorni, Transeuropa, Massa 2010; A. Saccone, Il romanzo futurista, in G. Alfano, F. de Cristofaro (a cura di), Il romanzo in Italia, vol. III, Carocci, Roma 2018, pp. 91-106; B. Meazzi, “Il fantasma del romanzo”. Le futurisme italien et l’écriture romanesque (1909- 1929), Savoie Mont Blanc, Chambéry 2021.

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