di Ilaria de Seta
In occasione dell’uscita dell’ultimo romanzo, Il vecchio al mare, il 22 maggio a Napoli si è svolta un’intervista di Mirella Armiero allo scrittore Domenico Starnone, tra gli eventi di “Campania Libri Festival” con il patrocinio della libreria Ubik. La location, palazzo Venezia a spaccanapoli, all’interno di una tenda-pagoda su un terrazzo da raggiungere con scala angusta, che si è fatta notare in giorni di bradisismo acceso, era molto suggestiva ma vista la folla anche un po’ scomoda. Il rintocco delle campane (della vicina Santa Chiara?) ogni 15 minuti, insieme al sistema audio non proprio ottimale, hanno messo inizialmente alla prova il pubblico. Ma lo scrittore, un giovane ultraottantenne, con grande sympateia e ironia, per di più con una pianta che gli pendeva sul capo, ha cadenzato a sua volta il ritmo aggiungendo, a ogni puntuale domanda della giornalista, allo scampanio acustico il suo moto oscillatorio, alzato-seduto. L’ironia e autoronia che è stata affermata come elemento chiave della propria scrittura, invocando Italo Svevo come progenitore in tal senso, mi sembra faccia parte del corredo cromosomico dell’autore, cioè proprio dello scrittore in carne ed ossa. Quanto alla scrittura, anche se il nome del triestino mi è venuto in mente prima che lo pronunciasse, e la discendenza de Lo scrittore di Napoli dei nostri tempi dal mitteleuropeo nostrano Ettore Schmitz mi sembra in effetti calzante – avrei pero’ detto, e vorrei dirlo ancora, che la cifra della scrittura di Starnone più che l’ironia sia la nevrosi, una nevrosi piena di vitalità, che avviluppa e sviluppa – e non l’ironia (si veda il mio https://readingintranslation.com/2021/10/11/a-neapolitan-grandfather-on-the-edge-domenico-starnones-trick/; qui uno schizzo di autoritratto ferocemente autocritico si intravede sotto le spoglie di Gino, pp. 44-45).
Autoironica è la poetica, il progetto che sta dietro al libro: il titolo Il vecchio al mare è una parodia de Il vecchio e il mare, un understatment; il vecchio di Starnone, come ha detto l’altro giorno, non è uno che fronteggia il mare, ma uno che sta in spiaggia. L’autore ha anche spiegato la parola “vecchio”: oggi si usa “anziano”, dare del vecchio a una persona è un insulto, e quindi il titolo, va da sé, è ironico. Il dato biografico, ovvero l’approssimativa coincidenza dell’età del protagonista con l’età dell’autore lo rende poi autoronico (ma con un avvertimento del contrario, à la Pirandello, cosa che si evince solo alla fine del romanzo). Oltre alla vecchiaia, “quella fase della vita in cui il presente smette di produrre futuro”, si è affrontato il tema della madre, una figura ricorrente nei romanzi di Starnone. Come ci ha spiegato, nel suo immaginario – data la presenza ingombrante del padre, elaborata nel primo romanzo, Via Gemito – la madre è muta. In quest’ultimo romanzo lo stratagemma per metterla in scena è assai singolare: la giovane figura femminile con cui il vecchio ha a che fare, Lu, subisce un “innesto” [sic] con la propria madre, Rosa, ovvero il protagonista rivede in lei, che pure non le assomiglia per niente, la propria madre, investendola perciò di un carico affettivo e simbolico molto forte (una visione onirica o una piccola allucinazione?). A proposito di madre l’autore ha suggerito al pubblico la lettura dell’ultimo libro di Franchini, “il migliore romanzo italiano dell’anno”. Si è parlato del nucleo centrale del romanzo dove c’è una scena di prove di abiti – un cliché mutuato dal grande schermo che conduce al climax, nel capitolo 17, una rievocazione drammatica e accoratissima della madre: “Che nomi, che aggettivi, quanto mi piacevano: taffetà, sciantung di seta bordò, pizzo di tulle, il raso azzurro sintetico, lo sciffon di seta bianco o color fragola con una velatura argentea, e il mordoré, cos’è il mordoré, e le paillettes di bronzo e viola disperse per il tavolo, e l’organza. […] Mia madre mi piaceva più di ogni altro essere vivente mai comparso in questo mondo, la guardavo incantato quando si svestiva di mamma-mammà-mammi-ma’” (pp. 58-59) – e che l’autore ci ha confessato aver riscritto una ventina di volte. Avrei voluto chiedergli: cosa intende per riscrittura? Rielaborare la stessa pagina? O proprio riscriverla di punto in bianco ? come lavora Starnone? Tutte le manifestazioni della femminilità, dalla singolare passione dello scrittore per gli abiti femminili, candidamente confessata, e risalente alla madre-sarta, alle diverse fasi della vita, cioè dall’infanzia alla vecchiaia, con le modificazioni che il corpo ne subisce, ha detto, sono sempre state centro della sua attenzione. Il discorso, armonico e coadiuvato dalle domande dell’intervistatrice, è stato punteggiato da aneddoti ed esemplificazioni. Una particolarmente spassosa sul rapporto della vecchiaia con il gentil sesso intrecciata agli effetti benefici del raccontare: un vecchio va da uno psicologo e gli dice: “dottore tutti i miei coetanei raccontano di incontrare donne e di averci rapporti, a me non succede nulla di tutto questo, mi aiuti, cosa devo fare?” lo psicologo risponde: “racconti anche lei!”. Oppure una rapida battuta implicita sulla politica: Starnone ha detto di non sopportare il detto “ai miei tempi si stava meglio”, non è vero, dice, tutti i tempi sono stati brutti, è solo autoilludersi cercare di rappacificare i ricordi e inoltre porta con sé il rischio di voler ritornare al passato, all’assenza dei diritti civili…. Un po’ controvoglia, sollecitato anche dal pubblico, ha concluso sulla scuola: la scuola è fatta per chi non ne ha bisogno, per quelli che il docente riconosce come simili a sé e per i quali istintivamente prova simpatia, dovrebbe invece essere fatta per chi ne ha bisogno, e questo oggi vuol dire anche per chi deve imparare una nuova lingua e una nuova cultura, per cui anche i programmi andrebbero adattati: Cavour, le tre corone, sono così pertinenti oggi? Ha concluso la vivace chiacchierata sul romanzo – genere di scrittura per il quale l’autore ha evocato Joyce, molto rumore intorno a un piccolo tema – una interminabile processione di lettori in attesa di una dedica, dimostrazione del riconoscimento, sotto le spoglie del gioviale insegnante in pensione, di un grande narratore contemporaneo.