di Sergio Benvenuto

 

1.

 

 L’Italia ha una percentuale bassa di laureati (21%), più bassa degli altri paesi europei[1]. Ma se alle elezioni europee del 2024 fossero andati a votare solo i laureati, avremmo avuto questi risultati in percentuale (metto a destra i risultati generali per l’Italia):

 

                        Laureati                      Intero corpo elettorale

 

PD                       35%                            24,1%

FdI                       20                               28,8

AVS                     12                               6,8

M5S                     8                                 10

Stati Uniti E.    7                                 3,8

Azione                6                                 3,4

FI                           4                                 9,6

Lega                     3                                 9

 

Come si vede, se in Italia tutti fossero laureati e se fossero state elezioni legislative, l’Italia avrebbe un destino completamente diverso. il PD avrebbe stravinto le elezioni e avrebbe potuto formare un governo o con partiti alla sua sinistra, o con partiti alla sua destra. Mentre i partiti attualmente al governo sarebbero arrivati a stento al 27% dei voti.

 

Credo che anche un bambino trarrebbe da questo confronto una conclusione ovvia: se gli italiani fossero più colti, vincerebbe la sinistra, sia quella estrema che quella moderata e centrista. Eppure leader e opinionisti di sinistra si vergognano di questa evidenza, perché vorrebbero invece essere votati soprattutto dagli “ultimi”, dai più poveri, dai meno colti, ecc. Ed è molto duro per loro ammettere che la sinistra è sempre più l’area politica degli intellettuali. In particolare degli studenti e di chi abita al centro delle grandi città, il voto ZTL.

 

Le europee del 2024 non sono affatto una sorpresa, proseguono una tendenza ormai consolidata da una diecina d’anni. Risulta infatti, da tutte le elezioni degli ultimi dieci anni, che i partiti di destra sono votati tendenzialmente da:

 

  • uomini un po’ attempati, casalinghe, persone molto religiose, con basso livello di studio, abitanti nei piccoli centri.

 

I partiti di sinistra sono votati tendenzialmente:

 

  • da donne soprattutto lavoratrici, giovani studenti, persone poco religiose, con titolo di studio più elevato, abitanti nei grandi centri urbani.

 

Per essere ancora più plastici. L’elettore-tipo della sinistra è una ragazza laureata e già in carriera, che non va mai a messa e abita in una grande città, e che magari conosce l’inglese. L’elettore-tipo della destra è un sessantenne pio, che non è andato oltre la scuola media e che soprattutto vive in un piccolo centro o in campagna.

 

Come si legge nel rapporto CISE-LUISS[2]:

 

Il centro-sinistra guadagna voti a scapito del centro-destra man mano che cresce la dimensione del comune. In particolare, i tre partiti di centro-destra (FI, FdI, Lega) diminuiscono monotonicamente all’aumentare della dimensione demografica, passando da un complessivo 52,6 percento nei comuni inferiori ai 5mila abitanti a un 35,9 percento nelle città con oltre 100mila abitanti. Discorso inverso per le forze di sinistra (ad eccezione del M5S). Il PD sale di circa 11 punti passando dai micro-comuni (sotto i 5mila abitanti) alle grandi città (sopra i 100mila abitanti). Discorso analogo per AVS (Alleanza Verdi Sinistra), che nelle grandi città ottiene il 9,5 percento. Ciò significa che, considerati insieme, PD e AVS superano il centro-destra nelle grandi città italiane (38,9% contro 35,9%), mentre nei micro-comuni sono sotto di quasi 29 punti[3].

 

Purtroppo pochi hanno cercato di spiegare questa polarità così netta, anche perché essa non collima con le narrazioni politiche di oggi, sia di destra che di sinistra, le quali mettono al centro le classi economiche o i fattori economici. Non è detto, infatti, che chi vive in piccoli centri sia più povero di chi vive in città. Tra due panettieri che hanno lo stesso reddito, solo che il primo abita in un paesino di 5000 abitanti mentre il secondo abita in una città di 1 milione di abitanti, ebbene, è molto probabile che il primo voti a destra e il secondo a sinistra.

 

Interesserà le femministe sapere che votano per Giorgia Meloni più uomini (30,5%) che donne (27%)[4]. Frase maschile tipica a proposito di Meloni: “Quella donna sì che ha le palle!”

Da notare che questa dicotomia non è solo italiana: la si ritrova ormai in quasi tutti i paesi detti “occidentali”, in Europa e in Nord-America.

 

Nemmeno le differenze di classe sociale (almeno quelle autopercepite) sono dirimenti per pronosticare un voto di destra o di sinistra.  Per esempio, la classe medio-alta vota soprattutto il PD, FdI e Stati Uniti d’Europa, ovvero partiti distrbuiti in tutto l’arco politico. Mentre le classi più svntaggiate votano piuttosto il M5S e la Lega, ovvero due partiti percepiti, più degli altri, come anti-sistema, rifiuto globale dell’attuale assetto politico e sociale. Analogamente, la distinzione tra lavoratori dipendenti e autonomi, che appariva una variabile importante nel passato, oggi invece non ha più alcuna rilevanza nel pronosticare un voto di sinistra, di destra o al M5S. Come si legge ancora in un rapporto CISE-LUISS:

 

Il dato forse più interessante è la scarsa rilevanza di una distinzione che per decenni aveva strutturato la politica italiana: quella tra dipendenti e autonomi. La distinzione sembra poco rilevante per il M5S, che invece ha un boom tra i disoccupati; AVS ha un profilo più bilanciato, ma debole tra casalinghi e autonomi. Azione e Stati Uniti d’Europa hanno il proprio punto di forza tra gli studenti; Forza Italia tra gli autonomi e i casalinghi; Fratelli d’Italia ha un profilo uniforme, ma più debole tra disoccupati e studenti. Infine la Lega registra il massimo tra dipendenti e casalinghi; colpisce qui in particolare la debolezza tra gli autonomi, serbatoio storico della vecchia Lega Nord[5].

 

2.

 

Come spiegare il fatto che il voto nelle liberal-democrazie è sempre meno vincolato al reddito e sempre più a fattori demografici e anagrafici? Al fatto che una persona sia più o meno colta, che sia uomo o donna, e che abiti o meno in una grande città?

 

La mia ipotesi è che è sempre più decisivo, nei nostri paesi ricchi, un fattore di cui sia i sociologi che gli economisti hanno tenuto finora scarso conto: il prestigio. Se vivo in un paese di 1000 anime e guadagno quanto un mio omologo di una grande città, sento di avere molto meno prestigio del secondo, soprattutto se il mio omologo cittadino è più colto, sa parlare meglio di me, manda i figli in scuole migliori, può andare a teatro o a cinema, ecc. Si dice che il populismo è la rivolta di chi-sta-sotto contro chi-sta-sopra, e chi-sta-sotto vien chiamato left behind, chi rimane indietro. Chiamerei chi-sta-sopra running ahead, chi corre in avanti. Indietro e in avanti rispetto a che cosa? Non tanto rispetto al reddito, come abbiamo visto, ma in relazione a qualcosa di impalpabile, più psicologico-culturale che politico-economico: la mentalità sessuale, l’importanza della religione, l’apertura al nuovo, film giornali libri e video che si preferiscono… La rivolta populista oggi assume sempre più una spiccata caratterizzazione di estrema destra, da qui il declino dei populismi “di sinistra”, come M5S in Italia e Podemos in Spagna. Perché è a destra che si riconoscono i valori ereditati dal passato – Dio, patria, famiglia, eterosessualità, primato maschile, il Caffé dello Sport al centro del paese, le partite di scopone, il bicchierino di grappa al bar, ecc. I left behind sono attaccati a “ciò che sono” non a “ciò che fanno”. Ma appunto, che cosa sono?

 

Verrebbe da dire che sono Strapaese, nome della corrente culturale – animata da Malaparte, Maccari, Longanesi – che furoreggiò negli anni 1920 in consonanza col regime fascista.

La mentalità moderna, sia di sinistra che di destra, tende a esaltare la creatività e il talento. Esalta chi non vive di ciò che ha ereditato dalle generazioni precedenti ma innova, cambia modo di vita, “sale” con l’ascensore sociale, magari impara l’inglese… insomma un vincente. La cultura di sinistra finge di rifiutare questo modulo, ma di fatto lo segue essa stessa: è una cultura squisitamente urbana che dà massimo rilievo alla cultura alta. Basti sfogliare il manifesto, il giornale italiano forse con le pagine culturali più sofisticate. Nelle elezioni del 2022 il partito di estrema sinistra (AVS) aveva come chicca del proprio programma l’accesso gratuito a ogni università. Dietro c’era la consapevolezza che più si ha cultura, più si tende a sinistra. Il guaio però è che poco più di un italiano su cinque è laureato. “I ceti subalterni” – come li chiamava Gramsci – non si interessano all’Università.

 

Invece per i left behind – per persone che si sentono perdenti – il non-plus-ultra della cultura sono i quiz televisivi e gli show di Mediaset. A questo mondo dinamico delle metropoli – giovane, femminilizzato, colto, “di larghe vedute”, più creativo, smaliziato, anglofono – si contrappone un mondo che può vantare solo ciò che lui o lei è: l’essere italiano, uomo o donna, cattolico, mangiare all’italiana, la famiglia da cui deriva e che perpetua… In effetti, i valori tipici della destra – Dio, patria, famiglia – non dipendono affatto dal soggetto stesso ma da qualcosa che è fuori di lei o di lui. Nè Dio né la patria vengono scelti, in questa ottica; quanto alla famiglia, si prosegue quella da cui si proviene, una famiglia eterosessuale, dato che nel passato non c’erano uteri in affitto.

 

La cultura di sinistra afferma di essere contraria alla meritocrazia, ma di fatto è stata la principale artefice della svolta meritocratica. Quando si dice “largo alle donne” oppure in US “largo ai neri, agli ispanici”, si sottende: “largo alle donne che meritano”, “largo ai neri e agli ispanici che meritano”. Reclamare che una donna sia pagata come un uomo per un lavoro identico, è una rivendicazione squisitamente meritocratica, dato che non è un demerito diventare madre e dover accudire un bimbo i primi mesi. La vera cultura anti-meritocratica è quella di destra! La destra estrema promette di premiare non chi è più bravo o brava, ma chi maggiormente accetta la propria identità. L’identità, il tesoro dei poveri.

 

Ora, ritroviamo questa polarità in tutte le classi sociali nel senso tradizionale del termine. Anche tra due operai di fabbrica troveremo il left behind e il running ahead. Il primo resterà sempre operaio fino alla pensione, riuscirà a lasciare ai figli al massimo la casetta in cui abita. Il secondo diventerà sindacalista, o salirà di grado e diventerà impiegato, si laureerà, poi si metterà in proprio producendo uno dei pezzi della macchina che costruiva da operaio nella grande fabbrica, comprerà una casetta a ogni figlio…

 

Insomma, la rivolta populista è da parte di chi si sente snobbato da “chi ce l’ha fatta”. Non potendo vantare i propri successi, vanta aggressivamente quello che lei o lui è, ovvero qualcosa che non gli costa nulla né in danaro né in sforzi. “Sono una madre italiana”, diceva Giorgia Meloni. Due cose prive di merito: si è italiani se per caso si è nati in Italia, e sappiamo bene che non è difficile per una donna essere madre, tutt’altro. E’ più difficile non esserlo, dato che occorre abortire. Ma di che cosa può essere fiera una povera donna senza titolo di studio e che vive nella provincia profonda, se non il fatto di aver messo al mondo tanti bei marmocchi pieni di vita, e che con pochi soldi può ingozzare di nutella?

 

Note

 

[1] Tra tutti I paesi europei, solo la Romania ha meno laureati di noi. Anche se gli Italiani sono convinti di essere un popolo con le migliori scuole al mondo, in realtà in Italia, nel 2021, i 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario sono il 26,8%, una percentuale nettamente inferiore alla media Ue27, che raggiunge il 41,6%. .

[2] CISE: Centro Italiano Studi Elettorali. Università Luiss.

[3] https://cise.luiss.it/cise/2024/06/10/permane-la-frattura-citta-campagna-tra-centro-sinistra-e-centro-destra-alle-europee-2024/

[4] Già da tempo si è rilevato, in tutti i paesi occidentali, la maggiore tendenza delle donne, in particolare lavoratrici, a votare per la sinistra. Da qui la teoria del modern gender gap, da parte di Ronald Inglehart e Pippa Norris.

[5] https://cise.luiss.it/cise/2024/06/10/chi-ha-votato-chi-gruppi-sociali-e-voto/

18 thoughts on “Destra Strapaese

  1. “Anche un bambino capirebbe” che se le destre spopolano presso poveri, non laureati e precari, è perché dall’altra parte non c’è nessuna alternativa valida. (Chissà in questo caso, la tanto sbandierata “inclusività” dove va a finire.)

    E ogni volta che leggo articolesse come questa, il cui messaggio è “noi siamo cólti e cittadini e votiamo a sinistra, il resto del popolo è bue e va educato” l’unico sollievo che traggo viene dal fatto che… non lo leggono in tanti. Forse perché sono buoi.

    Saluti,
    Claudio

    PS: grafico che indica con i colori il partito di maggioranza relativa alle Europee, in Germania, Landkreis per Landkreis. Nero e blu scuro CDU/CSU, blu chiaro AfD. Mi pare di essere tornato negli anni ’80.

    https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2024-06-09-EP-DE/index.shtml

    (guardate il grafico intitolato “stärkste Kraft 2024”.)

  2. Cultura, intelligenza e mediocrità
    In Italia tutti glorificano l’intelligenza. “Una domanda intelligente”, “una persona intelligente”, “una vacanza intelligente”, “una partenza intelligente” sono espressioni che udiamo quasi quotidianamente.
    “È intelligente” è il giudizio approvatore definitivo che si ode, in Italia, specie nel Sud, nei confronti di chi viene ammirato non tanto per quello che fa, per il suo agire, per le sue qualità e virtu’, ma per l’intelligenza che ha e che sempre avrà. Intelligente, insomma, una volta per tutte.
    Invece che intelligente, io penso che si dovrebbe in molti casi dire abile, intelligentone, furbo. Infatti, l’intelligente di turno non è un novello Einstein, su cui è doveroso dire mirabilia, ma spesso è un “compagnuccio della parrocchietta” che semplicemente ci sa fare.
    Mentre l’intelligenza suscita grande ammirazione, la cosiddetta ignoranza è tenuta in gran disprezzo dai nostri snob, per i quali essa è la causa di ogni male. Il diritto di voto, ci dicono, dovrebbe essere negato agli ignoranti.
    Inutile dire che i populisti-sovranisti sono considerati, dall’élite di corte, dei gran campioni d’ignoranza. Intelligenti anzi intelligentoni, per antonomasia e per professione, sono invece i nostri intellettuali, virtuosamente quasi tutti di sinistra e tutti buonisti e universalisti per la pelle, odiatori dei confini nazionali (di quelli nostri beninteso). Al tempo del fascismo, da gran intelligentoni, nella stragrande maggioranza essi furono invece fascisti.
    Io penso che da condannare sia invece la mediocrità. In particolare la mediocrità morale. Vedi tanti nostri furbi politici, intelligenti forse ma mediocri. Se la mediocrità è appannaggio di tanti ignoranti, essa lo è ancor di più di molti individui, intelligenti e colti sì ma soprattutto furbi. Il “non mediocre”, quando è ignorante su qualcosa, cerca di imparare dagli altri e sa dimostrare anche pazienza, metodo e tenacia nel cercare di migliorare sé stesso, apprendendo. Si direbbe, invece, che a molti intelligentoni della penisola basti la soddisfazione di essere considerati intelligenti. Intelligenti una volta per tutte.
    In realtà sono spesso semplicemente dei furbi, degli opportunisti e degli abili calcolatori dei propri vantaggi immediati o futuri, ed abili manovratori nel gioco dei contatti con le persone che contano.
    L’essere considerati e il considerarsi intelligenti non bastano ad evitare la mediocrità. Molti dei tanti corrotti dell’Italia di oggi sono “intelligenti”. Al punto che “essere intelligenti” vuol anche dire, in Italia, che si è capaci di afferrare al volo le opportunità del momento, senza rispettare le regole né curarsi degli altri. La presunzione impedisce all’intelligentone di mettersi all’ascolto dell’altro, se questi è da lui considerato un ignorante, ma che invece in certi campi può saperne più di lui. Il contadino più trappano avrebbe molto da insegnare a un cittadino intelligente, digiuno però di nozioni utili in campo rurale. Quel contadino, quel meccanico, quel pizzaiolo che, partecipando a un quiz televisivo o a un talk show, ci farebbe ridere, bonariamente, per la sua ignoranza in fatto di conoscenze generali, dimostra spesso, nel suo campo d’attività, una notevole intelligenza: un’intelligenza effettuale, specifica, collegata al concreto, al reale.
    Non penso che sia il fatto di sbagliare il congiuntivo ad impedire a un individuo di fare bene il proprio mestiere e di comportarsi da buon cittadino. Eppure, in Italia, i sapientoni snob del congiuntivo, che sono spesso dei somari in fatto di solidarietà e di umanità, montano in cattedra bacchettando quelli che giudicano ciuchi, ciucci, asini, somari in materia di congiuntivi e di consecutio temporum.

  3. Insomma, il conflitto è tra i furbi chi saltano sul carro che tira e i fessi che si lamentano. Si sapeva anche prima di questo pippone neoliberista.

  4. Se in parte condivido, dall’altra proprio no. Anzi, siamo sempre allusione che in Italia la sapienza stia a sinistra, una vecchia storia. C’è un popolo che vota destra che ha proprio le caratteristiche elencate, femminilità, anglofonia, apertura mentale, cultura personale. L’errore è credere che queste persone abbraccino la globalizzazione e l’economizzazione forsennata della vita. Sapienza è da sempre riflessione sul linguaggio e sul potere, non ossequio al linguaggio ed al potere. Per altro Giorgia Meloni è di destra ed è una donna, è tutto molto semplice, è mostrato. Penso che la sinistra femminista (maschilismo, appunto, travestito), debba riflettere

  5. Caro Claudio dalla Germania
    e siamo in due e siamo leftbehind epperò leggiamo Leparolelecose e scommetto non ci vergognamo di stimare la Sara Wagenknecht
    ah, i miei allievi amano il congiuntivo, lo hanno imparato da me, lo usano e ne vado fiera
    e, niente, si era così a sinistra che si è risbucati a destra
    Alles Gute
    Isabella

  6. Insomma un elettorato “turco”: città di sinistra, campagna di destra. capito. e dunque quelli di campagna (destra) vincono perché hanno un nemico comune, ossia quelli di città. e immagino che quelli di città (sinistra) perdono perché il nemico sono sempre quelli di città, ma gli altri.
    fa ridere, no? un poco? un pochetto?

  7. Concordo con Sergio Benvenuto : la destra è tradizionalista, e i sovranisti populisti intendono salvaguardare i valori del localismo, lo “strapaese” insomma. Essi sono pertanto di destra.
    Ma noi dovremmo stare attenti alle etichette che appiccichiamo sugli altri. Etichette – noi non ce ne accorgiamo – che ci sono fornite preconfezionate dai padroni del discorso. Non dimentichiamoci che nelle « democrazie popolari », che ieri erano molto « popolari » nei salotti buoni degli intellettuali di casa nostra, si bollavano col ferro incandescente i « nemici del popolo ». Oggi i nostri « populisti », benché essi incarnino quel “popolo” che ogni democrazia pone al centro del sistema, subiscono sdegnate condanne; fortunatamente solo verbali e pallida ombra di quelle che ieri i « tribunali del popolo » emettevano contro i « nemici del popolo ».
    Inventariando alla carlona i torti e i demeriti dei populisti, giudicati alla guisa di un mucchio di letame, si sorvola sul loro denominatore comune che, a detta della politologa Chantal Delsol e di pochi altri non allineati al pensiero dominante, è la difesa del « radicamento », ossia delle radici, dell’appartenenza. Sentimento normale e legittimo, sentitamente provato – aggiungo una nota personale – da chi come me è un italiano espatriato.
    Populisti rischiano di essere considerati anche gli indigeni dell’Amazzonia e gli aborigeni del Canada, i quali cercano semplicemente di difendere la propria identità e dignità di popolo « espropriato » e messo ai margini.
    Il radicamento che i populisti difendono è il radicamento territoriale, nazionale, culturale, sentimentale, contro l’omogeneizzazione promossa dal globalismo, mondialismo, cosmopolitismo, internazionalismo finanziario, fautore dell’immigrazionismo a tutto campo così caro invece alle nostre élite. Chantal Delsol lo ha detto: « Le populisme est attaché à des enracinements que détestent les élites ».
    Non è un caso che per i Selvaggi strapaesani ravvisassero il pericolo più grave nell’americanismo, questa “peste” diffusasi in tutta l’Europa, con il suo materialismo consumistico, la sua finanza internazionale, la sua pacchianeria e tutti gli altri suoi veleni che già allora minacciavano direttamente i valori d’ordine spirituale, morale ed estetico della tradizione italiana.
    Noi, nel frattempo, ci siamo molto americanizzati. In una maniera spesso anche ridicola: vedi l’itanglese (italiese, italianese, italese, anglitaliano, inglesiano, itangliano) con cui ci sollazziamo.
    Vedo che Benvenuto insiste invece molto sull’apprendimento della lingua americana come segno di emancipazione e di progresso.

  8. “i valori d’ordine spirituale, morale ed estetico della tradizione italiana” (Claudio Antonelli, Montréal). Di che darsela a gambe, almeno per me.
    Mi spiace, io sono per l’omogeneizzazione, la mondializzazione, il cosmopolitismo e l’internazionalismo, che sarà pure finanziario ma ha ricadute culturali che le radici abbarbicate all’orticello non si sognano neppure.
    Quanto alla “peste” dell’americanismo, sempre per restare sul culturale Antonelli potrebbe forse provare a spiegare perché nel secondo Novecento il grande romanzo non è né francese né – men che meno – russo, ma guarda caso americano. O perché l’autorevole critico dell’Occidente Amitav Ghosh scrive nella lingua degli odiosi colonizzatori. Eccetera.
    Pestilenze a parte, non capisco la quasi generale levata di scudi in difesa del popolo (?) e dei populismi. A me sembra che, dei populismi, Benvenuto sottolinei un aspetto mutuato dalla destra ma ormai generale, su cui vale la pena di riflettere: «I left behind sono attaccati a “ciò che sono” non a “ciò che fanno”». La trovo un’osservazione importantissima. Il caso da manuale, il modello e forse l’origine è la teoria nazista della razza “eccellente”, migliore delle altre ecc. Ora, è chiaro che non si è ariani per merito: lo si è per nascita, punto. L’appartenenza genetica non è modificabile, non è migliorabile, è o non è, non vi si può intervenire in alcun modo. Per i teorici della razza, l’ariano (o altra categoria) va bene così com’è – che è precisamente l’atteggiamento del populista medio: io vado bene così come sono, non necessito di alcuno studio, progresso, modifica o intervento – anzi qualsiasi intervento, per es. una vaccinazione, non può che essermi nocivo quando non letale.
    E’ anche l’atteggiamento del conservatore: le cose vanno bene così come sono, perché cambiare? Cambiando si può solo peggiorare, si stava meglio quando si stava peggio, ecc.
    Con la distinzione, forse, che il conservatore, mediamente abbiente, non ha richieste particolari allo stato delle cose “così come sono”, mentre il populista ne ha eccome: la Grande Rivendicazione: che le cose si sbrighino ad adeguarsi, affinché anche a lui tocchi una congrua fetta di benessere, di prestigio, di visibilità ecc., senza che debba modificare in nulla il suo essere così com’è.

  9. Sono d’accordo con quanto scrive Sergio, soprattutto nella misura in cui andare a scuola e all’università in teoria insegna a pensare meglio, cioè più creativamente e autonomamente. E’ un principio talmente ovvio…Ma proprio perché è ovvio viene sottolineato da pochi. Le mie zie ultranovantenni, persone buonissime, che vivono in paese nel profondo nord, con pochi anni di scuola alle spalle, hanno votato “per la destra”, per usare le loro stesse parole. Prima votavano DC. Chi gliel’ha suggerito? Sicuramente il prete. E questo la dice lunga (anche sulla cosiddetta sinistra) ed è un’ulteriore disgrazia.

  10. Violante Ruggeri :
    “I valori d’ordine spirituale, morale ed estetico della tradizione italiana” (Claudio Antonelli, Montréal). Di che darsela a gambe, almeno per me. Mi spiace, io sono per l’omogeneizzazione, la mondializzazione, il cosmopolitismo e l’internazionalismo, che sarà pure finanziario ma ha ricadute culturali che le radici abbarbicate all’orticello non si sognano neppure.”

    E allora aderiamo ai “valori d’ordine spirituale, morale ed estetico della tradizione americana”, aderiamo insomma al populismo americano, perché il cosiddetto mondialismo in pratica comporta l’americanizzazione del globo.
    La globalizzazione, trionfante in ampie aree del pianeta, mira ad annullare le differenze. Il modello di vita e di civiltà, al quale ormai ci si ispira in quasi ogni dove del pianeta, è il modello unico: quello occidentale “all’americana”. La cultura a stelle e strisce, soprattutto nei suoi aspetti più scadenti, ha già alterato l’identità di certi paesi, deboli per dignità nazionale e per rispetto del proprio passato, vedi l’Italia.
    Nella TV della penisola, giochi, personaggi, storie, trame di film, stili di ripresa, talk show tutto si è americanizzato. La lingua italiana è farcita di anglicismi d’accatto. L’erosione del patrimonio identitario italiano continua inarrestabile. La cucina fortunatamente regge. La “panza”, se non altro, dimostra maggior gusto e dignità rispetto alla mente e al cuore degli italiani.
    Questa riduzione “ad unicum” di mondi diversi è un fenomeno triste perché riduce la ricchezza di una tavolozza di colori – le culture dei vari paesi – a un paio di tinte obbligate, monotone e scialbe. Il bianco, il rosso e il blu della bandiera americana sono bei colori ma solo quando restano sul tessuto originale a casa loro, e non quando vengono grossolanamente riprodotti al di fuori dei confini americani da valletti e lacchè.
    L’Italia è in prima linea in questo sgambettare e sculettare al suono della tarantella americana, che ha soppiantato la tarantella nativa. Cosa volete, il nostro paese è abitato da un popolo che eccelle nell’imitazione servile dei più forti, più famosi, più ricchi, più belli, soprattutto se dominatori stranieri.
    Che l’amor patrio sia visto in genere dagli italiani come una manifestazione di nazionalismo xenofobo e sopraffattore è un dato di fatto irrefutabile. Ma vi è di più: l’italiano è un adepto dell’“anazionalismo”. Devo questo neologismo a J. Nansen, ex diplomatico americano che vive da decenni in Italia e che è un “profondo conoscitore dell’animo italiano”. A chi trovava da ridire sull’eccessiva retorica dell’amor patrio così diffusa negli USA, Nansen (citato da Gianni Pardo) ha risposto: “Anch’io trovo il mio paese a volte ‘provinciale e bigotto’. Il patriottismo di maniera però non mi sorprende quanto mi sorprende l’anazionalismo italiano, unico nella mia esperienza anche rispetto agli altri paesi europei”.

  11. Gentile Antonelli,
    lei ribadisce la sua posizione senza aggiungere nuovi argomenti e senza rispondere alle mie domande, le quali richiederebbero in effetti una riflessione che vada oltre le solite banalità antiamericane. Mi ritiro volentieri da una discussione a due, su un punto oltretutto che non c’entra nulla con l’articolo di Benvenuto. Saluti

  12. “Lei ribadisce la sua posizione senza aggiungere nuovi argomenti e senza rispondere alle mie domande, le quali richiederebbero in effetti una riflessione che vada oltre le solite banalità antiamericane.”
    In realtà io ho dedicato un intero libro al mito dell’America, e in particolare al mito dell’America nell’Italia fascista (eh si’, anche allora esisteva il mito dell’America) e all’importanza del romanzo americano: “Pavese, Vittorini e gli americanisti. ll sogno dell’America.”
    “Osservatore attento della realtà americana, Claudio Antonelli esplora nel libro le radici dell’americanismo di Vittorini e Pavese , due scrittori – scrive – “che ricercarono in America sì un’occasione di libertà, ma non in termini di libertà di sistema di governo, quanto di libertà creativa di rinnovamento del linguaggio. (da “Leggere Tutti” n. 36, gennaio/febbraio 2009)”

  13. @Isabella dalla Germania: ho votato la BSW all’istante (settimane fa usando la Briefwahl). IEr mejo sono quelli che, siccome alcuni dei suoi punti coincidono con quelli di AfD, ti dànno del fascista.

    E comunque no, io non sono un left behind, al contrario, sono uno privilegiatissimo, quindi rientro probabilmente nella categoria che @Violante Ruggeri chiama “conservatore”.

    Di fatto, ora e qui, la vera estrema sinistra siamo noi.

  14. > La mia ipotesi è che è sempre più decisivo, nei nostri paesi ricchi, un fattore di cui sia i sociologi che gli economisti hanno tenuto finora scarso conto: il prestigio. Se vivo in un paese di 1000 anime e guadagno quanto un mio omologo di una grande città, sento di avere molto meno prestigio del secondo, soprattutto se il mio omologo cittadino è più colto, sa parlare meglio di me, manda i figli in scuole migliori, può andare a teatro o a cinema, ecc.

    Prendiamo i due poeti italiani piu’ letti in Italia in questi anni e guardiamo la mitopoiesi su cui fondano il loro parlare: Arminio il paesologo (estrazione umile, piccoli centri, left behind, rassegnati, ecc.), Catalano il borghese (estrazione colta, grandi centri, inseriti, ironici): rispecchiano grossomodo i dati elettorali e l’intepretazione sociologica di Benvenuto, ma non saprei dire chi va a rimorchio di cosa, ne’ riesco a vedere dove in loro sia citato o evocato il prestigio di Benvenuto. Arminio e Catalano sono poeti mimetici, di piccolissimo impatto nel mimetismo di massa che viene rappresentato dalla musica pop o ancor meglio dagli/dalle maggiori influencer che anche i due poeti ammettono di guardare, e dove in effetti si evoca anche il prestigio (che non e’ citta’-paese ma quanti fan/like/ads/acquisti movimenti tu rispetto ad un omologo/a che fa le medesime cose movimentando un decimo o un centesimo di quelli) . Sarebbe allora interessante secondo me analizzare chi sono (quanti laureati, cosa votano) i fan degli influencer massimi… non faccio due nomi di coppia scoppiata oggi sulla bocca di tutti, peraltro essi stessi assai vicini all’identikit di votante a sx e votante a dx di Benvenuto. Saluti.

  15. “Arminio il paesologo (estrazione umile, piccoli centri, left behind, rassegnati, ecc.), Catalano il borghese (estrazione colta, grandi centri, inseriti, ironici)” (Il fu GiusCo)
    *
    “Estrazione umile… estrazione colta”: termini riferiti alle origini sociali dei due?
    Hai controllato?

  16. Ennio: un riferimento da qui “La cura dello sguardo / Ansie e rimedi” articolo di Arminio del 21-7-2020 su Doppiozero .com (in cui dice: Sono nato a Bisaccia, Irpinia d’Oriente, il 19 febbraio del 1960. Mio padre Luigi e mia madre Flora tenevano l’osteria, allora la chiamavano cantina. Era appartenuta a mio nonno Vito, morto a trentasette anni, e al mio bisnonno. Quando avevo tre mesi fui ricoverato al Cotugno di Napoli. Avevo la difterite.) e poi un altro da qui “Non esiste un dottore in grado di curare i problemi d’amore ma esistono le poesie: Guido Catalano ospite a Musicultura 2024” intervista a Catalano del 28-4-2024 su musicultura .it (in cui dice: sono stato fortunato, perché avevo dei genitori che leggevano molto, sia poesia che romanzi. E leggere è proprio quello che auguro ai giovani, perché è come augurare a una persona di fare sport: è fondamentale fare sport perché altrimenti il corpo decade; è fondamentale leggere perché altrimenti il cervello decade.) Saluti.

  17. @ Il fu GiusCo
    *
    Grazie della risposta. Trovavo e trovo un po’ generiche le classificazioni che avevi usato (“Estrazione umile… estrazione colta”). Quando si parla di poeti oggi non è più di moda non dico l’analisi di classe ma almeno un po’ di sociologia. Essere figli di un oste in un paesino del Sud abitato da contadini poveri o braccianti o famiglie di immigrati in Svizzera o in Germania o in “Alta Italia” negli anni ’50-’60 significava davvero essere di “estrazione umile”? Ad occhio non direi. E si è davvero di “estrazione colta” soltanto perché si sono avuti “genitori che leggevano molto, sia poesia che romanzi”?
    Ma tutto si è fatto più complicato nella definizione della struttura sociale contemporanea in cui gli individui (poeti o non) agiscono e rimando. Spero se ne possa parlare con maggiore precisione in altre occasioni. Ciao.

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