di Annie Denton Cridge
[E’ uscito da poco per Argolibri A voi starebbe bene? I diritti degli uomini (tit. or. Man’s Rights; or, How Would You Like It?, trad. it. Ilaria Mazzaferro e Stella Sacchini. Pubblichiamo un estratto dell’introduzione di Valeria Palumbo].
Introduzione
di Valeria Palumbo
I Sogni uscirono in due tranches. La prima parte di Man’s Rights; or, How Would You Like It? di Annie Denton Cridge (1825-1875) fu pubblicata per la prima volta a Boston da William Denton, nel 1870, con cinque “sogni”. I successivi quattro furono aggiunti nell’apparizione a puntate sul «Woodhull and Claflin’s Weekly» di New York, tra il 3 settembre e il 19 novembre 1870.
In quello stesso anno uscirono Ventimila leghe sotto i mari e Intorno alla Luna di Jules Verne, Uomo e donna di Wilkie Collins, Il mistero di Edwin Drood, l’ultimo romanzo postumo di Charles Dickens, persino Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch e un trascurato romanzo breve di Fëdor Dostoevskij, Eterno marito. L’anno successivo sarebbe stato segnato da un capolavoro della letteratura internazionale, Middlemarch, di Mary Ann Evans ossia George Eliot, una donna costretta, come tante, a firmare con un nom de plume maschile per ricevere qualche attenzione. Ma questa temibile concorrenza non giustifica l’oblio in cui per troppo tempo è caduto lo straordinario lavoro di Annie Denton Cridge: in italiano non esiste neanche la sua biografia su Wikipedia e quella in inglese è tutt’altro che estesa.
Eppure, già soltanto la frase iniziale, a chi è nato nella seconda metà del Novecento, dovrebbe far venire i brividi: Last night I had a dream (La notte scorsa ho fatto un sogno). Solo l’insopprimibile bisogno delle donne di mettere sempre in dubbio (con ironia) il valore dei loro pensieri e azioni può aver spinto l’autrice ad aggiungere: Which may have a meaning, Che può avere un significato. Altroché. Quei nove sogni in cui la protagonista, parlando in prima persona, immagina di volare su Marte e di trovarvi una società del tutto speculare a quella europea dell’Ottocento, in cui tutti i ruoli pubblici, le professioni e le cariche sono assegnate alle donne, mentre gli uomini sono reclusi in casa a badare ai figli e alle faccende domestiche, sono una sberla all’arroganza del patriarcato nella forma borghese che assunse prima nei Paesi anglosassoni e poi via via nel resto d’Europa. Nella realtà, le donne dei ceti medi e poi anche di quelli aristocratici e infine piccolo borghesi erano educate a considerare il matrimonio come unico orizzonte sociale ed esistenziale e la fedeltà coniugale e il sacrificio materno come supremi obiettivi morali e civili, ed erano spinte a sacrificare qualsiasi altra vocazione, talento, ambizione, pubblica o privata che fosse, per lasciare che i talenti e le ambizioni realizzate fossero quelle maschili.
Sul pianeta Marte di Annie è tutto il contrario. Non solo, ma una geniale riforma sociale permette di razionalizzare il lavoro degli uomini di casa e rendere tutto più efficiente e meno umiliante. Di più, la lotta per i loro diritti ha successo: la loro vita non sarà più futile, vuota e gravata dall’ignoranza. Ovvero il ribaltamento è doppio: non solo la classe dominante è quella delle donne, ma la lotta di liberazione degli uomini ha spazio e ascolto. Uno scandalo? Una follia? Un’utopia? L’ultima frase dell’opera ci lascia una traccia: A dream! I said in astonishment; but may not this dream, after all, be a prophecy? (Un sogno! Dissi stupita; ma questo sogno, dopo tutto, non potrebbe essere una profezia?).
C’è però di più. Vorrei provocare: Annie Denton Cridge non è la madre della fantascienza femminista classica o del fantasy femminista contemporaneo. Non quella fantascienza, almeno, che ha immaginato società armoniche in cui vivono solo donne e presso le quali gli uomini arrivano solo per portare guai, distruzione e morte: come si immagina nelle pagine di Herland (1915) della sociologa e scrittrice Charlotte Perkins Gilman (1860-1935) o in quelle di The Female Man (1975) di Joanna Russ (1937-2011). A lei non interessa sognare l’insognabile.
Denton Cridge è, invece, con Man’s Right, la madre del paradosso, del ribaltamento del reale che, se non fosse perché è visto allo specchio, non avrebbe nulla di fantastico o di strano. Ma che, proprio perché visto “ribaltato”, ai suoi contemporanei dovette apparire una pura follia. Il punto è l’intento di Denton Cridge: non solo disegnare il mondo in cui si vorrebbe vivere ma denunciare quello che non si sopporta più. Mostrarne, attraverso il contrario, il suo aspetto mostruoso. In molti sensi la sua erede diretta è la regista Greta Gerwig (1983) con il suo film Barbie (2023) e i suoi Ken che, avendo vissuto in una società dominata dalle Barbie, scoprono solo “scendendo” sulla Terra che esiste il patriarcato e domina ancora il mondo. Forse non a caso il film è stato scartato dalla corsa agli Oscar del 2024. Non a caso, perché il paradosso è irritante, soprattutto perché non si lascia negare. Ed è di sicuro sua sodale Virginia Woolf (1882-1941) con l’ironia che rende Orlando (1928) un capolavoro. Denton Cridge ha anche un precedente: The Blazing World (1666) di Margaret Cavendish (1623-1673). Vi si immagina un mondo popolato di creature fantastiche, oltre il Polo Nord, su cui regna un’imperatrice e che fa della cultura e del rispetto delle diversità e delle “anomalie” i suoi valori fondanti. E c’è un nesso non banale anche con Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Shelley, scritto tra 1816 e 1817, perché, sia pure in un contesto ben diverso, l’autrice porta qui all’estremo, e quindi alle sue contraddizioni, la pretesa maschile di estendere il regno della propria creazione non soltanto a tutto quello che ha sottratto e vietato alle donne, dalla politica all’arte, dalla scienza al diritto, ma anche alla vita. Almeno quella, in apparenza, restava monopolio femminile. In realtà non era e non è così, visto il controllo ancora esercitato dal potere maschile sui corpi delle donne. A dirla tutta, Mary Shelley spinge il discorso un po’ più in là chiedendosi se non sia mostruoso il “dare la nascita” in sé, visti i pericoli che ogni nuovo essere è costretto ad affrontare e quelli che rendono la gravidanza un’attività rischiosa quanto e come la guerra.
Viceversa, e mi sembra interessante notarlo, un libro recente della canadese Deborah Willis, Girlfriend on Mars (del 2023, tradotto in italiano come La mia ragazza su Marte, Bollati Boringhieri, 2024), usa il viaggio su Marte, reale, in una dimensione apparentemente fantascientifica e “brillante” che però ricaccia le donne indietro. La protagonista, per esempio, prima donna, assieme a un uomo, a mettere piede sul Pianeta rosso, che fa? «Essenzialmente, è una casalinga marziana. Estrae l’acqua dalla terra di Marte: riscalda un chilo di terreno marziano […] in una bella pentola a pressione […]. Alleva grilli e riesce a far germogliare i pomodori…». Nel frattempo, il suo partner «trascorre le sue giornate a raccogliere campioni, scattare foto, cercare forme di vita aliene». Denton Cridge, se ci si può permettere la forzatura, avrebbe commentato che non ci sarebbe stato bisogno di andare su Marte per riproporre questo quadretto domestico tradizionale. Ad Annie Denton Cridge, Marte serve per dispiegare tutta la sua ironia. E, si sa, le donne pericolose sono proprio quelle che smantellano l’ipocrisia e le trappole del patriarcato ridendoci su.