di Claudia Terra
Ecologie della trasformazione, rubrica a cura di
Emanuele Leonardi e Giulia Arrighetti
[In occasione dell’imminente Traversata delle lotte per l’acqua (https://www.infoaut.org/crisi-climatica/traversata-delle-lotte-per-lacqua) e del Climate camp di Vicenza (https://www.veniceclimatecamp.com/), pubblichiamo l’Introduzione alla traduzione italiana di On ne dissout pas un soulèvement. 40 voix pour les Soulèvements de la Terre, l’abbecedario collettivo dei Soulévements de la Terre, in uscita a breve per Orthotes Editrice].
Dalla Venezia Verde alla laguna di Venezia
Il problema fondamentale del marxismo è di sapere perché e come il lavoro produce un plusvalore.
Non si è notato abbastanza spesso che la risposta di Marx a questo problema ha un carattere etnografico. […] Ne risulta, in primo luogo, che la colonizzazione è storicamente e logicamente anteriore al capitalismo e, in secondo luogo, che il regime capitalistico consiste nel trattare i popoli occidentali così come l’Occidente aveva trattato in precedenza le popolazioni indigene.
Antropologia Strutturale due, C. Lévi-Strauss
Chi poteva protestare? Non si poteva nemmeno protestare.
Tutto era legale. Solo la nostra protesta sarebbe stata illegale.
Fontamara, I. Silone
Noi siamo qui per denunciare all’Italia intera
la cementificazione delle coste di Montesilvano!
La Guerra degli Antò, S. Ballestra/R. Milani
«Se l’aeroporto non si farà, la ZAD diventerà la base operativa di ogni guerriglia contro progetti di questo tipo». Una frase del tutto verosimilmente pronunciata in qualche seduta del Consiglio regionale della zona in questione, la zone à defendre di Notre-Dame-des-Landes, o nello spazio mediatico. La ZAD, istituita contro la costruzione di un nuovo aeroporto, a difesa degli abitanti e agricoltori locali minacciati di sgombero, delle terre agricole, delle acque e in generale della zona umida, del bocage (paesaggio rurale caratterizzato da piccoli boschi, siepi naturali e paludi frammiste a parcelle irregolari coltivate) intorno a Notre-Dame-des-Landes, ha resistito fino a quando il progetto di aeroporto è stato abbandonato nel 2018. Così, l’aeroporto non si è fatto, e l’esperienza di vita collettiva nella ZAD ha fatto crescere legami di solidarietà, complicità e resistenze destinati a durare.
I Soulèvements de la Terre nascono dall’incontro di 200 persone nella ZAD di Notre-Dame-des-Landes. Hanno cominciato a “sollevarsi” nel gennaio 2021. Plurali e compositi come le anime della ZAD, come Gaia: giovani attivisti e attiviste di Extinction Rebellion e Youth for Climate, stanchi e stanche dello sguardo paternalistico che i governi rivolgono loro, stanche delle manifestazioni simboliche che non smuovono i politici e che non riescono a invertire l’inettitudine delle politiche attuali e la massiccia inazione climatica. Contadine e contadini desiderosi di resistere all’industrializzazione di un’agricoltura volta unicamente alla crescita capitalistica, di reinventare il lavoro e la sussistenza, di coesistere insieme alle specie non-umane. Cittadini autonomi e cittadine autonome desiderose di agire di fronte alla crescente erosione ecologica e sociale, formatesi nelle lotte politiche e nelle esperienze collettive degli ultimi anni. Cittadini non necessariamente politicizzati in partenza, che raggiungono il movimento e apportano le proprie competenze specifiche, impegnandosi a livelli differenti. Collettivi locali e associazioni cittadine in lotta contro progetti che minacciano i luoghi che abitano, la fauna e la flora locali. Fautori e fautrici dell’autonomia politica, abitanti minacciati di sfratto per via dell’ennesima grande opera. Ma anche giornalisti, artisti, fotografi, musicisti: la lista è lunga, c’è sicuramente qualche specie che sfugge al repertorio. La Terra è il terreno comune di componenti così diverse.
Gennaio 2021, si è detto. La Terra si è sollevata nel bel mezzo di un’Europa, di un mondo congestionato dalla pandemia sindemica di Covid-19. Il coronavirus, figlio dell’arretramento delle aree naturali, della perdita di biodiversità e della cementificazione delle aree selvagge, ha portato i governi a imporre restrizioni, in molti paesi tristemente accompagnate da una logica bellica, nel quadro di un’opinione pubblica manichea e spesso infantilizzata dai governi e di un’informazione impoverita, propagandistica e compiacente. Se le restrizioni di tipo economico hanno semplicemente congelato la corsa per poi ripartire come prima più di prima, il coronavirus ha dato una battuta di arresto a una serie di movimenti ecologici e sociali. Se guardiamo alla Francia pre-pandemica e post-pandemica, il coronavirus – semplice agente virale, se visto da Marte – ha accelerato processi di regressione democratica e ha fatto salire la temperatura politica. Ma l’effetto è stato, tuttavia, il congelamento del potere nelle mani di pochi a scapito della conflittualità democratica, il livellamento securitario della democrazia ad opera del «neoliberalismo autoritario». Possiamo averne prova guardando l’ascesa e poi l’esaurirsi, la repressione a colpi di manganello o di 49.3, dei movimenti sociali degli ultimi anni: “Nuit debout” contro la riforma del lavoro nella primavera del 2016, il movimento dei Gilets jaunes dall’autunno 2018 contro il gravare della “transizione ecologica” sulle spalle delle classi lavoratrici, i cortei contro la riforma delle pensioni nel 2023. È in questo contesto che va situato il sorgere controcorrente dei Soulèvements de la Terre, dalle crepe di una democrazia e di una Terra che si scuote. Che si difende.
Di fronte allo stretto nodo di ingiustizie sociali ed ecologiche, di ferite ecologiche e sociali, i Soulèvements de la Terre riportano in auge il conflitto politico, la tettonica a placche che scuote la politica. Non si perdono in universalistiche dichiarazioni e generalissimi intenti, non avanzano richieste politiche irricevibili. Non cedono all’estetizzazione della rivolta. Non sono un sintomo ma la linfa vitale che guarda il male alla radice. Si potrebbe, così, dire che si distinguono dal fronte degli altri movimenti politici e sociali per una strategia politica volta a colpire direttamente le infrastrutture responsabili della catastrofe in atto. Individuano dei nemici politici precisi, ricostruiscono la catena della sussistenza, informano, svelano menzogne laddove i media ufficiali coprono e giustificano. Si potrebbe dire che riempiono, giorno dopo giorno, dei cahiers des doléances, e non dovremmo stupirci se, spesso, vi troviamo attori ricorrenti. Bruno Latour ricorreva a questa espressione, resa celebre dai quaderni di doglianza del 1789, per invitare la società civile a riflettere sulle condizioni di abitabilità e di sussistenza sul pianeta Terra, invitando inoltre a designare, nel contesto di ciò che ha definito “Nuovo regime climatico”, i propri nemici. C’è un’aria di famiglia, eppure qualcosa di gioiosamente diverso. Latour scriveva forse in un’epoca più fiduciosa verso i meccanismi della democrazia, del rispetto della legittimità, che sarebbe poi la linfa della democrazia stessa, che viene dai movimenti e dalle contestazioni dal basso, più fiduciosa, in altre parole, nell’idea che la democrazia non si rinchiude nel cemento armato dei palazzi governativi. In un’epoca che, d’altra parte, se messa alle ristrettezze climatiche, non disdegnerebbe di fare ricorso a uno stato di eccezione di Gaia (certo, non istituito da un manipolo di governanti), designando nemici secondo l’accezione data da Carl Schmitt al termine. Non è questa la sede per dirimere tali questioni teoriche. Eppure, vorrei mettere in evidenza come i Soulèvements de la Terre prendano atto del fatto che la dinamica democratica odierna è volta alla conservazione dello status-quo e non permette che vengano accolte rivendicazioni ecologiche e sociali attraverso semplici manifestazioni, cortei o anche attraverso la pratica della disobbedienza civile. Prendono atto, cioè, del fatto che non è più il tempo della fiducia perché il gioco non è alla pari. Ma, dall’altra parte, questo non implica che i Soulèvements de la Terre prospettino uno stato di guerra di tutti contro tutti. Se individuare i nemici della nostra sussistenza e della vita sulla Terra umana e non umana è di vitale importanza, ciò non implica che venga scavalcata la dimensione della legge. I Soulèvements de la Terre rispondono alla violenza istituzionale e istituzionalizzata di un sistema che protegge e foraggia le infrastrutture del disastro e della morte. L’obiettivo è istituire l’esuberante e sempre conflittuale legge di Gaia, creare un terreno comune, “un mundo donde quepan muchos mundos” dicono gli zapatisti. Nell’abbecedario dei Soulèvements de la Terre non troverete parole come “morte” o “guerra”, ma “gioia”, “contro-violenza”, “resistenza”. Opporre la gioia e la resistenza e non le passioni tristi, non l’inedia cui conduce inevitabilmente l’eco-ansia e la «solastalgia», di cui pure inevitabilmente siamo vittima, alla devastazione in atto. Proprio perché si hanno dei legami con la Terra e che questa ci forgia, non si vuol essere spettatori del management dell’Apocalisse prospettato dai governi e della risposta tecnocratica e burocratica alla catastrofe. La Terra non è la navicella con cui i cavalieri dell’Apocalisse intendono pure salpare su Marte. La resistenza prospettata dai Soulèvements de la Terre è condotta dagli abitanti di questa Terra, non dai suoi coloni. È un atto necessariamente plurale, come molteplici sono i legami che crea la Terra, pur restando il nostro unico suolo, la nostra carne. Alla resilienza, alla penitenza personale, a una falsa morale individualista propagandata dai governi neoliberali si oppone la gioia collettiva. Non basta la rivolta, che può avere come referente ultimo il soggetto e la coscienza singolare, occorre una sollevazione.
Teniamo ancora a mente il mese di gennaio 2021. Bastano solo due anni affinché i Soulèvements de la Terre facciano paura al governo. Il 28 marzo 2023, il Ministro dell’Interno e dei dipartimenti d’Oltremare Gérald Darmanin annuncia all’Assemblea Generale l’avvio della procedura di scioglimento dei Soulèvements de la Terre. Lo fa, tuttavia, davanti a un’arena pubblica che sostiene ampiamente i movimenti ecologisti e le loro strategie: dalla manifestazione all’occupazione di una zona naturale minacciata, fino al blocco di un’azienda inquinante. L’abbecedario che abbiamo tradotto per il pubblico italiano, stampato da Seuil nel giugno 2023, è una delle risposte alla dissoluzione dei Soulèvements de la Terre. L’eterogeneità delle voci e degli autori e autrici (filosofi e filosofe, scrittrici, scienziati, membri di associazioni cittadine e dei Soulèvements…) dimostra la portata del sostegno al movimento. D’altra parte, la volontà del ministero dell’Interno di dissolvere i Soulèvements de la Terre si esprime in un momento preciso della dinamica del movimento ecologista e dopo che il governo francese aveva da una parte rafforzato il terreno legale per le sue iniziative e dell’altro tentato, senza troppo successo, di orientare l’opinione pubblica. Ma andiamo con ordine.
Pochi giorni prima la dichiarazione di Darmanin, il 25 marzo 2023, circa 30.000 persone si ritrovano e marciano alla volta del cantiere di una riserva d’acqua di irrigazione a Sainte-Soline, nel dipartimento delle Deux-Sèvres, nei pressi del Marais Poitevin, che dopo la Camargue è la più grande zona umida della Francia, la “Venezia verde”. Una zona umida la cui acqua, tuttavia, non è infinita, e possiede una dinamica propria che caratterizza il luogo, come non cessa di ripetere, dal 2017, l’associazione “Bassines Non Merci”. Quest’ultima si batte contro il progetto di ampliamento della rete di “mega-bacini”, conosciuti come “bacini di sostituzione agricola”. Di che si tratta? Un bacino è una riserva di acqua destinata all’irrigazione di colture intensive, in particolare quella del mais. Si fregia dell’aggettivo “mega” poiché si tratta di grandissimi crateri plastificati (10 ettari di media) circondati da terrapieni alti 10 metri e attrezzati di un vasto sistema di alimentazione di pompe e canali che estenderebbero le loro lunghe braccia nelle terre agricole dell’Ovest della Francia. E perché riserve “di sostituzione”? L’idea portata avanti dal progetto è di sostituire i prelievi di acqua estivi con quelli invernali, andando a pompare l’acqua delle falde acquifere per trasferirla nei crateri. Pompare l’acqua d’inverno per irrigare di più in estate. I bacini verrebbero riempiti con acqua “di eccedenza”, assicurano i promotori, scavalcando impunemente i cicli dell’acqua. Ma la realtà è che, nel momento in cui il progetto mira all’aumento della produzione di colture molto bisognose d’acqua come il mais, il risultato consequenziale è l’aumento del prelievo complessivo di acque, un accaparramento di acqua in una zona già segnata da deficit idrico. È una scelta politica precisa che, di fronte al cambiamento climatico, sceglie di perseguire un modello inadatto a tali cambiamenti, volto alla grande produzione e alla monopolizzazione delle risorse. Un mega-bacino sta all’agricoltura come una mega piscina di una persona molto abbiente sta nel bel mezzo di una città che muore di caldo e di sete. Possiamo già assistere a questo macabro spettacolo in altre parti del mondo. Il rapporto è lo stesso, la differenza è quantitativa e non qualitativa.
L’aumento della produzione delle colture cerealicole gioverà a un pugno di attori dell’agro-industria, solo il 6% circa degli agricoltori della zona beneficerà dell’acqua dei mega-bacini, sebbene il progetto sia finanziato al 70% da fondi pubblici. Il bacino di Sainte-Soline (SEV15, 627.868 m3 di acqua) è diventato il simbolo tristemente celebre dell’opposizione a un progetto approvato dai prefetti nonostante la forte opposizione locale e internazionale. A Sainte-Soline, all’appello di “Bassines Non Merci”, della Confederation paysanne e dei Soulèvements de la Terre, si sono ritrovate migliaia di persone, tantissime associazioni che ovunque nel mondo combattono contro l’accaparramento dell’acqua. A Sainte-Soline, i popoli dell’acqua hanno sfilato in difesa dell’acqua, della terra, di un’agricoltura desiderosa di prendersi cura della terra, degli ambienti rurali e delle specie minacciate da progetti come questo. La tentacolare rete di mega-bacini distrugge una zona classificata Natura 2000, violando il diritto europeo in materia di acqua e della conservazione degli habitat naturali e della fauna e flora selvatiche. Sono già entrate nella storia le immagini del corteo che a Sainte-Soline portava la scultura in legno dell’otarda, la gallina prataiola (Tetrax tetrax), una specie già in pericolo per via della sparizione dei suoi habitat e criticamente minacciata dalla rete dei mega-bacini.
La violenza della repressione è stata inaudita. Il 25 marzo 2023, 3200 gendarmi e poliziotti, 9 elicotteri, veicoli blindati, cannoni ad acqua e una squadra di 40 gendarmi su 20 quad ha difeso la fortezza dei signori dell’acqua, il cratere vuoto plastificato di Sainte-Soline. Per renderla inespugnabile, un fuoco di granate è piovuto sulla folla. 5000 granate di cui alcune esplosive e mutilanti, per una media stimata di una detonazione ogni 3 secondi in meno di due ore, una coltre di gas lacrimogeni, lancio di LBD direttamente sui manifestanti: un arsenale di armi “non letali” che andrebbe usato per “dissuadere”, in caso “di assoluta necessità”. Pesante il bilancio: 47 gendarmi feriti, tra i manifestanti almeno 200 persone ferite, di cui 40 in modo grave, 20 mutilate, due persone in coma. All’ambulanza è stato negato il diritto d’intervenire immediatamente: questo può accadere solo quando, ad esempio, dei terroristi armati fino ai denti minacciano la popolazione… Qui si trattava di prendere in carico dei manifestanti in pericolo di vita per via delle armi della polizia. Ecco all’opera il dispositivo narrativo che fa degli ecologisti degli “eco-terroristi”. Gas lacrimogeni e granate esplodono vicino al cordone di parlamentari europei e deputati che si era formato per proteggere alcuni manifestanti gravemente feriti in attesa dell’arrivo dei soccorsi. Sainte-Soline priez pour nous!
Non avremmo questo punto di vista sul campo di Sainte-Soline senza il lavoro svolto dai media indipendenti come Reporterre, Off investigation che ha prodotto (insieme a Reporterre) un dettagliato documentario sulla giornata del 25 marzo, o da associazioni come la Lega dei Diritti Umani. Senza le testimonianze dei feriti Serge, Mickaël, Alix, Olivier e senza le voci di tutti e tutte le ferite a cui è dedicato l’Abbecedario. Senza i contro-racconti e le inchieste condotte da ricercatori e insegnanti. Sainte-Soline è stato ed è un evento che ha bisogno di una messa in forma narrativa. Affinché il vissuto dei manifestanti sia un vissuto plurale, con le gioie ma soprattutto i forti traumi condivisi. Affinché venga “disarmato” il racconto ufficiale del governo e dei prefetti, che ha preparato l’opinione pubblica alla violenza della repressione, prima che i fatti accadessero, e ha lavorato costantemente alla criminalizzazione del movimento ecologista. Le 30.000 persone accorse a Sainte-Soline sarebbero, per il racconto ufficiale, ecoterroristi, ultra-violenti dell’estrema sinistra, facinorosi pieni di odio oppure simpatizzanti di questa orda minacciosa, omogenea, nemica delle istituzioni.
Eppure, qualche mese dopo la pioggia di granate, il 3 ottobre 2023 il Tribunale Amministrativo di Poitiers ha annullato le autorizzazioni per la costruzione di 15 bacini di sostituzione nei dipartimenti delle Deux-Sèvres e della Vienne, dichiarandoli inadatti al cambiamento climatico e sollevando forti dubbi sull’economizzazione delle risorse d’acqua promessa dai promotori dei mega-bacini. E ancora, a proposito dei bacini esistenti, lo scorso 9 luglio i giudici del Tribunale Amministrativo di Poitiers hanno annullato l’autorizzazione di prelievo pluriennale rilasciata dai prefetti alla fine del 2021, giudicando “eccessivo” il volume delle acque stoccate, imponendo così una riduzione. La decisione arriva a cavallo di una nuova manifestazione internazionale indetta nella regione Poitou-Charentes da “Bassines Non Merci” in federazione con la Confédération paysanne, Attac, i Soulèvements de la Terre e altri attori locali. Le azioni si sono svolte nel dipartimento delle Deux-Sèvres e, la giornata del 20 luglio, a La Rochelle. All’albeggiare, nel porto di La Pallice sono stati bloccati i depositi della cooperativa cerealicola Soufflet, uno dei principali beneficiari del sistema delle riserve di sostituzione. Il tutto seguito da un corteo musicale. La scelta di prendere di mira il porto de La Rochelle nel quadro di una mobilitazione in difesa dell’acqua, un anno dopo Sainte-Soline, si spiega attraverso la volontà di risalire la filiera dell’accaparramento delle acque, andando dritti ai depositi delle multinazionali che ricavano mega-profitti attraverso l’esportazione. Esportazione che viaggia sulle vie dell’energia e del capitalismo fossile. Il porto di La Pallice serve principalmente il traffico del complesso agroindustriale e quello dell’industria petrolifera. Due facce della stessa medaglia, forgiata grazie a un sistema di sfruttamento coloniale e neocoloniale. La Pallice è stato, dal XVII secolo, uno dei più importanti porti della tratta degli schiavi in Francia. Oggi, le multinazionali di stanza vi accumulano la fortuna fatta grazie al saccheggio delle risorse del Sud del mondo. Il cerchio della medaglia si chiude.
Il governo francese si è servito del dispositivo narrativo e poliziesco messo in atto a Sainte-Soline per giustificare la procedura di dissoluzione dei Soulèvements de la Terre pochi giorni dopo la manifestazione. Sainte-Soline è stato il casus belli di un processo di repressione più lungo e generale di cui abbiamo già avuto modo di vedere alcuni tratti. Nell’estate 2021 viene adottata la legge volta a “consolidare il rispetto dei principi della Repubblica”, nota come “legge contro il separatismo”. Nel contesto di una società ancora segnata dagli attentati terroristici del 2015, tale legge interviene con un taglio delle libertà e attraverso un colpo di mano securitario. Separatismo: una parola che non vuol dire nulla di per sé, e si spiega solo in relazione a un immaginario e omogeneo “corpo della Repubblica”. Un corpo che sarebbe in perfetta salute se non fosse per una serie di nemici interni. La legge è un tentativo, per esprimerci con Claude Lefort, di “rifare corpo” davanti all’incertezza democratica. La democrazia porta sempre con sé lo spettro del corpo integro, identitario, ma l’antidoto a questa tendenza non è mai il taglio dei diritti e delle libertà: la “salute” di una democrazia si vede dalla qualità e dalla ricchezza delle contestazioni, dei conflitti dello spazio democratico, nello spazio democratico e per lo spazio democratico, direbbe ancora Lefort, che guardava positivamente a esperienze come la lotta del Larzac. E la volontà repressiva che ha ispirato la legge non tarda a manifestarsi. Il processo di “dissoluzione” dei Soulèvements de la Terre è condotto a partire dai capi della legge contro il “separatismo” che permette di sciogliere tutti i “gruppi” che istigano alla violenza contro persone o cose. La legge esacerba la linea (troppo) sottile che il diritto stabilisce tra un danno provocato a una persona e il danneggiamento di un bene. “I beni sono importanti quanto le persone”, esclama Darmanin il 5 ottobre 2023 all’Assemblea Nazionale, pochi giorni prima l’udienza finale sullo scioglimento dei Soulèvements de la Terre. La legge, inoltre, lascia grande margine al ministero dell’Interno poiché autorizza la procedura di dissoluzione sulla base di una “provocation”, un incitamento alla violenza, che può essere, sempre secondo la legge, esplicito o implicito, può essere scovato nei commenti di qualche follower sui social media (quindi non di qualcuno appartenente all’organizzazione o al gruppo in questione), nella ricondivisione di video e immagini. Una vera e propria operazione di polizia politica.
Col braccio armato di una legge repressiva e liberticida, nell’estate 2023, il governo continua la sua offensiva contro i Soulèvements de la Terre, attraverso un’operazione, complementare alla legge “anti-separatista”, anti terroristica. Un’ondata di arresti, diverse persone indagate e prima prelevate con mezzi brutali: porte sfondate nelle prime ore del mattino, mobilitazione della SDAT (sotto-direzione antiterrorismo della Direzione centrale della polizia giudiziaria), e della DGSI (Direzione centrale dell’intelligence interna), persone tenute 96 ore di detenzione nelle cellule dei seminterrati dei servizi speciali per poi essere bendate e abbandonate in strada. Il sospetto è che abbiano partecipato all’“affaire Lafarge”, un’azione di “disarmo” di uno dei cementifici dell’azienda. Il 10 dicembre 2022, circa 200 persone si sono intrufolate, per sabotarlo, nel cementificio di Bouc-Bel-Air nei pressi di Marsiglia. Gli attivisti e le attiviste rimproverano all’azienda di essere responsabile di più di 444.464 tonnellate di CO₂ all’anno e di alimentare i suoi forni con migliaia di vecchi pneumatici e ogni genere di rifiuti tossici. Ma è più ampiamente il settore delle costruzioni a essere preso di mira, per essere uno dei principali attori delle emissioni di CO₂, per il saccheggio delle risorse, per l’attività di lobbying sulle grandi opere inutili… La degradazione dei macchinari di un’azienda responsabile della catastrofe ecologica in corso viene equiparata a un atto terroristico. «Chi entra in una moschea con l’intenzione di uccidere il massimo numero di fedeli sta per compiere un atto terroristico; chi buca un oleodotto o incendia un deposito compie “un atto categorialmente distinto”», scrive Andreas Malm riprendendo un’espressione di Steve Vanderheiden. L’equiparazione non è nuova: nel 2014 erano stati definiti “jihadisti verdi” da Xavier Beulin, il direttore della Federazione nazionale dei sindacati degli imprenditori agricoli (FNSEA), gli attivisti contro la costruzione di una diga nella foresta di Sivens, a Lisle-sur-Tarn. Tra di essi, Rémi Fraisse, 21 anni, morto in seguito all’esplosione di una granata della polizia durante le proteste. La difesa dell’acqua è antica quanto la violenza della repressione. Laddove gli attivisti dei Soulèvements de la Terre parlano di “disarmo” di un’infrastruttura mortifera che si vuole far cessare di nuocere, il governo li mette sullo stesso piano e li tratta, nei fatti, come coloro che commettono crimini contro l’umanità. Triste rovesciamento. Nel settembre 2021 la Corte suprema francese ha accusato Lafarge-Holcim di favoreggiamento di crimini contro l’umanità per aver collaborato con lo Stato Islamico. Lafarge ha stretto accordi con Daesh e altri gruppi armati al fine di mantenere aperto e funzionante il suo cementificio di Jalabiya tra il 2012 e il 2014, in piena guerra civile in Siria. L’inchiesta giudiziaria ha poi stabilito che il valore finanziario di questi accordi ammontava ad almeno 13 milioni di euro. L’ondata di arresti contro il movimento ecologista, condotta sotto il segno della lotta al terrorismo, si svolge il 5 e il 20 giugno 2023. Il giorno dopo, il 21 giugno, lo scioglimento dei Soulèvements de la Terre è effettivo. Chiunque continui a dichiarare di farne parte può essere perseguito.
Bastano, tuttavia, pochi mesi affinché la società civile francese e internazionale si stringa con appelli, comunicati e manifestazioni intorno ai Soulèvements de la Terre mostrando tutto il proprio sostegno. Viene preparata una difesa collettiva che conduce al ricorso della decisione presa dal governo. Nonostante le uscite di Darmanin, il 10 novembre 2023 il Consiglio di Stato annulla il decreto di dissoluzione. Tutti gli altri gruppi attaccati dal decreto vengono sciolti. Il Consiglio di Stato “ha ritenuto che lo scioglimento dei Soulèvements de la Terre non costituisse una misura adeguata, necessaria e proporzionata alla gravità dei disordini che potevano essere causati all’ordine pubblico, in considerazione degli effetti reali che il loro incitamento alla violenza contro la proprietà poteva avere alla data di adozione del decreto impugnato”, constatando inoltre che “nessun incitamento alla violenza contro le persone può essere imputato loro”. Il decreto di dissoluzione è sciolto ma la minaccia continua a gravare sui Soulèvements de la Terre. Senza essere riuscito a convincere l’opinione pubblica nazionale e internazionale, il governo Macron ha tuttavia preparato il terreno giuridico per la repressione, consegnando ai governi che verranno un testo che mette a dura prova le regole del gioco democratico, che permette di proteggere un sistema che sta asfissiando noi e le altre specie, ciò che è vivo su questa Terra. I Soulèvements de la Terre, forse abbiamo già potuti farci un’idea in queste righe, intendono far valere la legge, reinventarla laddove questa si fa violenza istituzionale e copertura delle aziende che conducono noi e le altre specie alla morte. Consci e consce di questo, reagiscono e resistono nella gioia. Li guidano obiettivi chiari, più dettagliatamente esposti nel “manifesto” pubblicato circa un anno dopo l’Abbecedario: agire contro l’artificializzazione dei suoli, contro l’accaparramento delle terre e delle acque. Portare avanti azioni che non si limitano alle manifestazioni ma prevedono l’azione diretta (Manif’Action) attraverso il blocco, l’occupazione di terre minacciate, il disarmo, vale a dire il mettere fuori uso un cantiere o un’infrastruttura nociva. La parola “disarmo”, preferita a “sabotaggio” permette di esplicitare la portata etica dell’azione e il suo fine, così come permette di mettere l’accento sulla scelta dell’obiettivo: non un’infrastruttura vitale per il paese bensì un’infrastruttura tossica, distruttiva, che foraggia progetti inutili. Permette, infine, di anticipare la critica: è riprovevole non il degrado materiale prodotto dall’azione dei militanti, ma la distruzione delle condizioni della vita sulla Terra da parte di industriali ecocidi e dall’inazione climatica. Al cuore di questa ecologia intrinsecamente politica e di questa politica intrinsecamente ecologica sta la volontà di far riscendere l’ecologia a Terra, sulle terre, laddove i vari Elon Musk e i tecnocrati del clima vorrebbero continuare a guardare la Terra dall’alto. «La terra ci dà una presa sul mondo» scrivono i Soulèvements de la Terre. Nel suo «ampio petto», la Terra intreccia la questione ecologica, quella sociale e quella coloniale. Le terre devono essere difese dalle colate di cemento, dalla macchina del capitalismo fossile, dal complesso agro-industriale e da quello turistico, dall’ampliamento delle metropoli. Riprendere la terra contro il land-grabbing significa portare avanti una “lotta di classe” che passa per la composizione di voci diverse, che in altri tempi, quando la storia aveva una direzione e un fine si sarebbero dette incompatibili, eppure ora convergenti verso la rimessa al centro delle nostre condizioni di esistenza e sussistenza. Una “lotta di classe” che ci fa tornare indigeni laddove il capitalismo ha forgiato e continua a forgiare il mito di una falsa abbondanza. Che cos’è un “terricidio”? Per l’attivista mapuche Moira Millán e per le altre donne del Movimiento de Mujeres Indigenas por el Buen Vivir è la presa violenta della Terra indigena da parte della macchina estrattivista e produttivista, è un ecocidio, un femminicidio e un genocidio, un epistemicidio, la distruzione di una cultura e di un sapere. All’origine del sistema attuale (fabbrica di bisogni e di rifiuti) vi è un’appropriazione di terra di tipo coloniale ed estrattivo: all’origine dell’attuale floridità di pochi capitalisti vi è la razzia delle risorse dei suoli coloniali. Che continua oggi sulle “ex-colonie”, le prime a subire e a toccare con mano gli effetti drammatici degli sconvolgimenti climatici. A pagare l’alto prezzo che costa lo stile di vita occidentale. Pochi mesi fa, il governo francese è tornato all’attacco dei canachi in Nuova Caledonia-Kanaky, uno dei Territori d’Oltremare francesi. La riforma di allargamento del corpo elettorale, presentata sotto i colori maestosi della salvaguardia dei principi democratici, lede l’equilibrio che permette alla voce del popolo canaco di resistere. Di fronte a cosa? Alla minaccia estrattivista e coloniale, coloniale ed estrattivista: dietro la riforma si allunga l’ombra delle multinazionali del nichel. In risposta alle proteste, alcuni attivisti indipendentisti della cellula di coordinamento delle azioni di terra (CCAT) in Kanaky sono stati trasferiti in Francia metropolitana ad opera della SDAT: ancora lei, la delegazione antiterroristica. Colpisce chi minaccia le multinazionali del disastro. L’estate 2024 è ancora segnata dal braccio del SDAT, che si stringe intorno ai disarmatori di Lafarge e agli attivisti canachi. Due voci di uno stesso accordo, di una stessa resistenza…
Si è sufficientemente prestato attenzione al fatto che le forze armate, l’agroindustria, quella delle costruzioni, l’industria estrattiva si servono degli stessi strumenti? Ruspe, esplosivi, prodotti tossici? Che operano allo stesso modo, spianando, perforando, violando? Standardizzando la varietà del mondo mentre mettono a rischio le popolazioni? Pensate allora, in ordine sparso, alla Diga del Vajont, alla TAV, alle trivelle nei mari italiani, alla cementificazione della Pianura Padana, ai progetti del futuro come i bacini di laminazione nelle Grave di Ciano, al veleno dei pesticidi, ai cantieri dei Giochi olimpici invernali. Pensate alle specie già scacciate e a quelle a rischio, agli orsi dell’Abruzzo e del Trentino, ai lupi dell’appennino, al Fratino delle spiagge (Charadrius alexandrinus), alle tartarughe marine, all’Hippocampus guttulatus, a tutta la compagnia di cui siamo stati privati.
Pescara, 13 agosto 2024