di Italo Testa
[Esce oggi in libreria per le edizioni di Pordenonelegge – Samuele editore Se non sarò più mia, un nuovo libro di poesia di Italo Testa. Frammento di un frammento più grande, i quattro capitoli di questo long poem riaprono il cantiere de La divisione della gioia, poema in divenire che nel tempo ha preso vita autonoma e continua ad espandersi. Presentiamo dal libro l’incipit del primo capitolo, Tutti i volti].
se un giorno nella folla invisibile
che ci circonda, entrando e uscendo,
fluendo a sciami sulle strade,
se un giorno, senza guardare, attoniti,
salissimo invisibili su un tram
a mani vuote, noi e gli altri
vivi nel leggero dondolio,
se un giorno voltandosi di scatto
una donna si alza, si agita,
ti guarda con stupore, poi scende,
cammina sul selciato, si perde:
tutti i volti, i passi indistinti
che risuonano ovunque, ritornano,
tutti i luoghi dove non saremo
in quel cortile, le pietre scure,
le linee oblique delle finestre
che si disperdono in fuga muta
verso un ordine dimenticato,
la trama che ci avvolge e inquieta,
si dipana nei libri che leggono
gli altri, nei mondi che non potrai
abitare con quell’innocenza,
l’abbandono di chi sta di spalle
e legge, lascia che tutto accada
senza opporre alcuna resistenza:
oppure aggrappati al corrimano,
ti vedo salire a passi lenti
raggiungere la porta, sparire,
se i dettagli possono salvarci
lo sfarfallio di luce, il globo
luminoso sotto il ballatoio:
o il bordo bianco di un segnale,
le arcate massicce che sostengono
i massi, il ritmo obliquo dei giorni,
come non vedere quel che appare
su un ponte sospeso nel bianco,
il braccio semovente sull’acqua
disegna una forma, un ritratto
liquido e scomposto dal vento:
sei tu, sei proprio tu, non sei nessuno,
i tuoi occhi chiari sono di tutti,
le labbra carnose che chiunque
potrà sfiorare senza memoria
come quel giorno, i pioppi flessuosi
all’orizzonte nel mattino sgombro
i gomiti piegati, le mani
intrecciate nel silenzio bianco
non dicevano nulla, le bottiglie
mandavano a tratti un barbaglio,
noi, nella luce polarizzata
del tuo sguardo eravamo già stati,
fermi per sempre in quell’istante:
e il verde nei parchi, il grigio dei tronchi
la balaustra nitida, assolata,
i contorni che la luce rimuove
e la linea sinuosa dei monti,
tutto questo sarà per gli altri,
dice il tuo sguardo, e là in fondo
tra i container allineati
a perdita d’occhio lungo il fiume
la serie indifferente del tempo
ci precede, accompagna, abbandona
la muta ombra degli edifici
e noi, io e te, sulla calce bianca,
e gli altri, le assi inchiodate,
gli stracci sparpagliati su di un prato:
corrono, vanno o si fermano
guardando nel vuoto, riprendono
il loro ritmo senza scomporsi,
ci attraversano mentre parliamo,
siamo questo andare ovunque,
seguire una curva, oscillare,
sbandare inghiottiti dal futuro:
se un giorno nella folla invisibile
che ci circonda, entrando e uscendo,
fluendo a sciami sulle strade,
se un giorno, senza guardare, attoniti,
salissimo invisibili su un tram
a mani vuote, noi e gli altri
vivi nel leggero dondolio,
se un giorno voltandosi di scatto
una donna si alza, si agita,
ti guarda con stupore, poi scende,
cammina sul selciato, si perde:
tutti i volti, i passi indistinti
che risuonano ovunque, ritornano,
tutti i luoghi dove non saremo
in quel cortile, le pietre scure,
le linee oblique delle finestre
che si disperdono in fuga muta
verso un ordine dimenticato,
la trama che ci avvolge e inquieta,
si dipana nei libri che leggono
gli altri, nei mondi che non potrai
abitare con quell’innocenza,
l’abbandono di chi sta di spalle
e legge, lascia che tutto accada
senza opporre alcuna resistenza:
oppure aggrappati al corrimano,
ti vedo salire a passi lenti
raggiungere la porta, sparire,
se i dettagli possono salvarci
lo sfarfallio di luce, il globo
luminoso sotto il ballatoio:
o il bordo bianco di un segnale,
le arcate massicce che sostengono
i massi, il ritmo obliquo dei giorni,
come non vedere quel che appare
su un ponte sospeso nel bianco,
il braccio semovente sull’acqua
disegna una forma, un ritratto
liquido e scomposto dal vento:
sei tu, sei proprio tu, non sei nessuno,
i tuoi occhi chiari sono di tutti,
le labbra carnose che chiunque
potrà sfiorare senza memoria
come quel giorno, i pioppi flessuosi
all’orizzonte nel mattino sgombro
i gomiti piegati, le mani
intrecciate nel silenzio bianco
non dicevano nulla, le bottiglie
mandavano a tratti un barbaglio,
noi, nella luce polarizzata
del tuo sguardo eravamo già stati,
fermi per sempre in quell’istante:
e il verde nei parchi, il grigio dei tronchi
la balaustra nitida, assolata,
i contorni che la luce rimuove
e la linea sinuosa dei monti,
tutto questo sarà per gli altri,
dice il tuo sguardo, e là in fondo
tra i container allineati
a perdita d’occhio lungo il fiume
la serie indifferente del tempo
ci precede, accompagna, abbandona
la muta ombra degli edifici
e noi, io e te, sulla calce bianca,
e gli altri, le assi inchiodate,
gli stracci sparpagliati su di un prato:
corrono, vanno o si fermano
guardando nel vuoto, riprendono
il loro ritmo senza scomporsi,
ci attraversano mentre parliamo,
siamo questo andare ovunque,
seguire una curva, oscillare,
sbandare inghiottiti dal futuro:
[Immagine: Tracey Emin, I thrive on Solitude, 2020]