di Giorgio Castriota Skanderbegh
Ci sono alcune verità che circolano sul discorso politico, sulla nostra società, e in generale sul nostro tempo. Verità sedicenti, autoaffermanti, luoghi comuni: difficilmente si trova qualcuno che non ripete almeno in parte o tangenzialmente uno dei discorsi così consolidati: la politica si è polarizzata, ci sono estremisti da “entrambe” le parti, ci sono interessi nascosti che non ci dicono, il politicamente corretto è una dittatura che vuole metterci il bavaglio, dietro al movimento ambientalista c’è qualcosa di poco chiaro, quella Greta Thunberg lì si è proprio sistemata, oggi i veri discriminati sono [inserisci nazionalità del parlante]. Espressioni che si possono trovare sulla bocca di qualunque passante durante un sondaggio, che si passano tra un caffè e una pacca sulla spalla.
Di certo la capillare diffusione di internet ha posto l’infinitamente sottolineato problema dell’appianamento delle fonti, ma quando si parla di confronto ideologico, anzi di Guerra delle Idee, si commette una leggerezza se si immagina una moda passeggera alimentata da qualche troll che sfoga frustrazioni attraverso un modem. Già a un’analisi superficiale si noterà che le supposte verità di cui sopra fanno capo a un sistema di valori preciso, ossia un sistema di destra, ancora più precisamente della destra americana, capitalista, ultrareligiosa, secessionista, liberista, misogina, omotransfobica. Una vera analisi sul complottismo e sulla circolazione delle idee, insomma, riporta circolarmente al punto di partenza, con nuova consapevolezza: i complottisti hanno ragione, c’è davvero qualcuno che muove i fili, ma non è nascosto nel sotterraneo di una pizzeria, né in una torre tempestosa; quei fili servono solo a far guardare dall’altra parte. Occorre una prospettiva diacronica sulla nascita delle organizzazioni della nuova destra statunitense, i think tank conservatori.
Il secondo dopoguerra segna profondi rivolgimenti nella società nordamericana. La sofferta desegregazione, l’attenzione alle classi media e bassa, il Social Security Act del 1965 che stabilisce Medicare e Medicaid, supporti sanitari per le persone meno abbienti, il movimento ambientalista, le marce per i diritti dei neri: per gli infinitamente facoltosi bianchi, carezzati dallo stato ma al contempo furiosi liberisti, si tratta dell’inferno sulla terra. In questi rivolgimenti, in questa lotta di classe alle porte, dal lato miliardari si possono identificare alcune figure chiave che preparano il contrattacco.
Fred Koch è un magnate statunitense del petrolio che negli anni Quaranta contribuisce alla costruzione di raffinerie utilissime al Terzo Reich per il mantenimento della propria macchina da guerra. Nel 1958 è inoltre tra gli undici membri fondatori della John Birch Society, organizzazione dichiaratamente razzista e fortemente complottista: in particolare lo spauracchio è l’avanzata del comunismo, che i birchers vedono incedere praticamente dappertutto. Secondo loro, per esempio, il presidente Eisenhower è una spia dei sovietici, e ovviamente la popolazione nera (a cui proprio in quegli anni cominciavano a essere garantiti alcuni diritti fondamentali, almeno ufficialmente) è una pedina per l’avanzata di Mosca nel cuore degli Stati Uniti. Fred Koch non lascia agli eredi solo un impero, ma anche un’ideologia fortemente liberista, anti-governativa, e che sostiene la sacra libertà del mercato e delle imprese. Alla sua morte nel 1967, tra i suoi figli, a prendere le redini delle aziende di famiglia sono in particolare Charles e David. I fratelli Koch, come il padre, non vedono di buon occhio la politica, diffidano in toto del sistema che cerca di tassarli, ma si rendono conto che non possono restare a lungo lontani dai palazzi del potere: gli Stati Uniti stanno cambiando; le regolazioni fiscali si stanno stringendo sugli altissimi profitti, l’opinione pubblica comincia a rivoltarsi contro le corporazioni viste come sfruttatrici senza cuore, il movimento ambientalista, che aveva già ricevuto enorme spinta dalla pubblicazione di Primavera Silenziosa di Rachel Carson nel 1962, è entrato a far parte del discorso pubblico e, di conseguenza, della legislazione. I Koch sono prevalentemente petrolieri, e le cause per disastro ambientale cominciano ad affollare le loro scrivanie, e le multe e i costi per la regolarizzazione delle loro aziende cominciano ad ammassarsi per tutti gli anni Settanta. Il loro profitto, insomma, è in pericolo. Nel 1978 Charles Koch, in un articolo sul giornale Libertarian Review intitolato The Business Community: Resisting Regulation[2], insiste sulla necessità di creare un “movimento” per la distruzione del paradigma statalista, per la quale serviranno dei “talenti”, ossia un gruppo di studiosi e comunicatori che possano efficacemente diffondere queste idee. Charles Koch prende queste idee da esperienze precedenti, tra cui proprio la John Birch Society di cui faceva parte suo padre, e anche da uno spregiudicato e giovane intellettuale da lui assoldato, Richard Fink. Quest’ultimo, nel 1996, sistematizzerà il suo piano per una conquista in tre fasi della politica negli Stati Uniti nel documento intitolato Structure of Social Change[3], ma non è certo il primo ad approdare a certe considerazioni. Altri miliardari, oltre ai Koch, erano altrettanto preoccupati.
Il sanguigno Richard Mellon Scaife — banchiere, petroliere, e industriale della metallurgia — racconta nel suo memoir A Richly Conservative Life che lui, come altri, avverte nel secondo dopoguerra una minaccia esistenziale alla civiltà americana, portata avanti dal progressismo. La deriva liberal del paese va fermata, e così Scaife comincia a incontrarsi con altri miliardari preoccupati durante gli anni della Guerra Fredda, prima in modo informale, e poi sempre più sistematizzato. Da questi incontri nasce la League to Save Carthage (la Lega per salvare Cartagine), che nel 1964 si trasforma nella Carthage Foundation: L’America non deve fare la fine di Cartagine, non deve cadere.
Scaife ereditava non soltanto uno dei patrimoni più ingenti della storia degli USA, ma anche un particolare sistema: già nel 1941, sua madre aveva creato la Sarah Scaife Foundation, un’associazione di beneficenza nata pochi giorni dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor. Uno strumento utile per proteggere la fortuna di famiglia dall’aumento della tassazione previsto per l’imminente sforzo bellico americano.
Il vantaggio delle fondazioni private nel sistema americano è la quasi totale mancanza di regolazioni; queste sono tenute a donare il 5% dei propri beni annualmente a forme di beneficenza pubblica e altre associazioni “non-profit”. Le donazioni fatte attraverso fondazioni private, tuttavia, sono deducibili dalle tasse; pertanto un facoltoso donatore può non solo vedere la pressione fiscale ridursi drammaticamente, ma far circolare grandi capitali vers0 le cause che ha più a cuore. Il trucco, in sostanza, non è solo donare, ma donare alle associazioni che hai fondato tu.
Un importante membro della League to Save Carthage è il sessantaquattrenne Lewis Powell. Questi, che oltre a essere un potente avvocato siede nei consigli di amministrazione di società come la Philip Morris, si scopre molto preoccupato dell’avversione dei cittadini statunitensi all’America corporativa, alla guerra, e alla produzione industriale[4]; a questo si aggiungono le manifestazioni dei giovani e degli studenti, soprattutto militanti del potere nero, oltre che l’élite intellettuale di sinistra. Nel 1971 Powell redige un memo destinato al suo amico Eugene Sydnor Jr., direttore della Camera di Commercio degli Stati Uniti; in questo testo confidenziale[5] Powell identifica la provenienza delle idee pericolose per il modello di impresa americano, ossia «dal campus del college, dal pulpito, dai media, dalle riviste intellettuali e letterarie, dalle arti e dalle scienze, e dai politici». Il tono del memo è apocalittico: «la questione definitiva è la sopravvivenza»; nei campus delle università, secondo Powell, ci sono poche personalità conservatrici, e perciò bisogna lavorare alla creazione di figure dotate di autorità, ammantate di imparzialità e potere accademico, e insistere (tra le altre cose con la pressione per l’adozione di certi testi) perché il sistema capitalista sia egualmente rappresentato e «trattato con la giusta obiettività». Una chiamata alle armi in piena regola, per la quale Powell avverte che servirà una mobilitazione praticamente senza precedenti:
la forza risiede nell’organizzazione, nell’attenta pianificazione e implementazione a lungo termine, nella coerenza dell’azione lungo un periodo indefinito di anni, in una scala di finanziamenti disponibile solo attraverso uno sforzo combinato, e nel potere politico accessibile solo attraverso un’azione unitaria e un’organizzazione nazionale.
È importante non soltanto riaffermare quello capitalista come il migliore dei mondi possibili, ma anche rappresentare il business americano come l’entità sotto attacco e ingiustamente discriminata. La minaccia al business, per Powell, è una minaccia alla libertà di tutti.
Il memo, intorno alle cinquemila parole, è destinato ad avere conseguenze enormi per la storia dell’organizzazione politica degli Stati Uniti e, in ultima analisi, del mondo. Ecco la spinta necessaria per un vero attacco; ecco che i miliardari rispondono volentieri alla chiamata, creando apparati impressionanti: per esempio, il sistema creato dai fratelli Koch si estende talmente tentacolare da essere stato battezzato Kochtopus.
L’obiettivo di conquista passa esattamente dalle associazioni private di cui sopra; la loro azione può contare su capitali virtualmente infiniti (e controlli vicini allo zero), e la loro straordinaria capacità di fare rete. Su strategia già collaudata dalla John Birch Society, queste organizzazioni adottano nomi innocui, che anzi proiettano un’aura positiva e accademicamente ineccepibile: Cato Insitute, Freedom School, American Civil Rights Union (!), Competitive Enterprise Institute. Con la produzione di intellettuali e letteratura queste associazioni sono in grado di fornire soluzioni mirate ai policy-maker del Congresso, e far passare in discussione disegni di legge che seguono gli interessi dei facoltosi finanziatori. La Heritage Foundation, finanziata generosamente da Richard Scaife, nel 1979 produce il Mandate For Leadership, contenente circa 1270 “suggerimenti”, tra cui programmi per fermare la affirmative action (la serie di azioni politico-sociali vòlte all’inclusione di persone appartenenti a minoranze etniche e di genere), e forti riduzioni della tassazione; secondo la stessa associazione, circa il 60% dei provvedimenti riportarti nel Mandate viene adottato dall’amministrazione Reagan[6]: la Heritage Foundation controlla le azioni del presidente degli Stati Uniti.
Espugnare le università si rivela più laborioso; secondo John K. Wilson[7], ancora a metà degli anni Ottanta i conservatori non riescono a convincere il pubblico della crisi dell’educazione superiore negli USA; bastano pochi anni, poche figure chiave, e pochi concetti fondamentali per ribaltare la situazione.
L’idea fondamentale per scardinare il potere liberal nelle università è convincere il grande pubblico che un’ondata di political correctness mette i bastoni fra le ruote a una libera istruzione, e tenta di mettere il bavaglio alla libertà di parola. Nel 1987 Midge Decter, una giornalista membro della Heritage Foundation, fonda la National Association of Scholars (ancora: nome neutrale), per osteggiare cose come il multiculturalismo (leggi l’integrazione delle minoranze nei campus) e l’adozione di codici di condotta per combattere le molestie sessuali ai danni delle studentesse, e ovviamente il politicamente corretto[8]. L’attacco procede su più fronti.
Nel 1987 Allan Bloom pubblica The Closing of American Mind; Bloom è un forte teorizzatore di un complotto portato avanti dalle minoranze etniche e di genere per dominare l’accademia, e nel libro lamenta la totale assenza di libertà di espressione nei college americani.
Nel 1990 Roger Kimball pubblica Tenured Radicals: How Politics Has Corrupted our Higher Education, in cui lamenta l’attacco al canone e ai classici, il vittimismo delle minoranze, e il complotto della sinistra per conquistare l’accademia; attacca inoltre i nuovi corsi sugli studi di genere e African studies.
Nel 1991 Dinesh D’Souza pubblica Illiberal Education: The Politics of Race and Sex on Campus, in cui descrive la desolante situazione della nuova vittima nella vita universitaria: il maschio bianco conservatore; questo è il vero oppresso. Secondo D’Souza, di recente tornato nel circuito dei dibattiti dopo la pausa seguita agli umilianti confronti con Christopher Hitchens nei primi anni Duemila, le politiche di ammissione delle minoranze stanno distruggendo il campus, e anzi creano segregazione, ed è tutta colpa della “polizia del pensiero” e del politicamente corretto. Dinesh D’Souza è di origini indiane: il veicolo ideale per un messaggio del genere.
Allan Bloom è finanziato dalla Olin Foundation, del miliardario John Olin, magnate della produzione di armi.
La stessa Olin Foundation, e in aggiunta L’American Enterprise Fellowship, garantiscono ingenti somme a Dinesh D’Souza.
Roger Kimball dirige un giornale conservatore (il New Criterion) su cui pubblica una prima versione del suo libro; il giornale riceve finanziamenti dalle fondazioni Olin, Scaife, e Bradley.
Ecco che ci si è occupati dei problemi sociali. E per i fastidiosi ambientalisti?
Accettare le evidenze scientifiche sulla crisi climatica antropica significa adozione di contromisure, regolamentazioni, significa dispendio. Ecco allora che Patrick Michaels, fino al 2019 membro anziano del Cato Institute nell’ambito degli studi sull’ambiente, nel suo libro del 2005 Meltdown: The Predictable Distortion of Global Warming by Scientists, Politicians, and the Media, mette in guardia contro la junk science, la scienza corrotta dalla politica (di sinistra) che vuole danneggiare il libero mercato.
L’amministrazione G. W. Bush impiega diversi elementi affiliati a think tank conservatori, in particolare Gale Norton, fellow del Property and Environmental Research Center, prima donna creata Segretario degli Interni in Usa. Sotto questa amministrazione, gli Stati Uniti non ratificano il Protocollo di Kyoto del 1997.
In anni molto più recenti, Tucker Carlson, noto alumnus del Cato Institute, popolare conduttore di programmi di approfondimento politico sulla rete Fox e gonfaloniere dell’ex presidente Trump, si fa spesso megafono di posizioni sul cambiamento climatico assimilabili a questi gruppi.
P.J. Jaques et al.[9] esaminano una bibliografia di 141 libri in lingua inglese identificati come portatori di tesi scettiche nei confronti del cambiamento climatico pubblicati tra il 1972 e il 2005; di questi, 130 (92%) sono direttamente collegabili a uno o più CTT. La ricerca si estende anche fuori dal territorio USA, e sembra suggerire che lo scetticismo in materia di ambiente sia aiutato grandemente da questo tipo di pubblicazioni. Gli autori passano poi a esaminare 50 Conservative Think Tank, sia attraverso i loro siti internet che le loro pubblicazioni. Trovano chiaro supporto a tesi anti-ambientaliste in 45 di questi, il 90%.
Il successo di una circolazione aggressiva di tali idee è chiaro se si osserva che anche fonti meno specializzate se ne fanno megafono: ancora il 25 gennaio 2022, durante un episodio del popolarissimo podcast del conduttore statunitense Joe Rogan, lo psicologo (ora radiato) Jordan Peterson può ripetere alcuni dei punti chiave dell’eco-scetticismo di matrice conservatrice: Peterson arriva a negare la validità del concetto di clima, sostenendo che dire “clima” e “ambiente” significa riferirsi a “tutto”, e quindi è come non dire niente[10].
La guerra delle idee ha operato con successo il salto oceanico, e dagli Stati Uniti si è diffusa con pochi ostacoli a tutto il mondo, e investe ambiti della cultura che attaccano da più fronti. Sul territorio italiano opera il think tank Centro Studi Politici Strategici Machiavelli, che ha rapporti con la Heritage Foundation e l’International Republican Insitute[11]. Il Centro pubblica articoli come Gay, ambientalista, pro-immigrazione: Superman è Zan coi superpoteri[12], e annovera fra i membri Roberto Vannacci.
Lo scrittore Daniele Rielli firma un contributo al volume Non si può più dire niente? (UTET, 2022), in cui dipinge uno scenario apocalittico in cui il “woke” sta distruggendo il nostro rapporto con la comicità, l’arte, e la letteratura; il politicamente corretto, secondo l’autore, sta disgregando la società fondata sulla ragione illuminista. Rielli cita proprio Jordan Peterson come intellettuale ingiustamente ostracizzato. Peterson è noto per le sue posizioni da determinismo biologico, che vogliono la donna dedita alla procreazione. Nello stesso testo, Rielli dichiara che è insensato combattere contro «un patriarcato ormai inesistente» (p.156).
Daniele Rielli è candidato nella dozzina del Premio Strega 2023; è un autore rispettato, e membro a pieno titolo dell’intellighenzia letteraria italiana. Daniele Rielli non è al soldo di nessuno, eppure ripete tesi messe nero su bianco da ideologi della destra estrema americana un cinquantennio fa. La penetrazione nel discorso culturale di queste tesi è completa, la guerra delle idee è vinta, i colonizzatori sono stabilmente nelle nostre istituzioni e nella nostra letteratura.
È impossibile qui fare una lista comprensiva di tutti gli infiniti rimandi e contro-rimandi tra un’associazione e l’altra, descrivere come la presenza di membri dei Conservative Think Tank infesta un numero preoccupante di istituzioni ed enti. Idee che si danno per scontate non nascono in natura, ma sono frutto di deliberata diffusione, e di una precisa volontà della destra internazionale di proteggere uno status quo che sente minacciato.
Oggi la macchina di propaganda è ancora in piena attività, se nei telefoni dei più giovani vengono spinti contenuti che hanno una netta direzione, se Andrew Tate è protagonista di montaggi cool e i podcast incel e alt-right fanno numeri importanti.
Riconoscere questa eterodirezione deve essere un passo fondamentale per decostruire la rappresentazione della realtà dipinta ogni giorno da media, libri, dispositivi, algoritmi, conferenze. Se è vero che queste persone non si nascondono, se è vero che firmano memoir, articoli, conferenze, dichiarazioni d’intenti, è anche vero che godono di un apparato di distrazione potentissimo, e la consapevolezza del suo funzionamento deve essere una priorità.
[Ove non indicato diversamente, la fonte è Jane Mayer, Dark Money, The Hidden History of the Billionaires Behind the Rise of the Radical Right, Doubleday, New York, 2016].
Bibliografia:
Jane Mayer, Dark Money, The Hidden History of the Billionaires Behind the Rise of the Radical Right, Doubleday, New York, 2016.
https://www.libertarianism.org/publications/essays/business-community-resisting-regulation
Kim Phillips-Fein, Invisible hands, The Businessmen’s Crusade Against The New Deal, W. W. Norton, 2010.
Lewis Powell, Attack on American Free enterprise system, archiviato sul sito https://scholarlycommons.law.wlu.edu/powellmemo/
Lee Edwards, The Power of Ideas, The Heritage Foundation at 25 Years, Jameson Books, Inc, Ottawa, IL, 1997.
John K. Wilson, The Myth of Political Correctness, The conservative attack on higher education, Duke University Press, Durham and London, 1995.
P.J. Jaques, R.E. Dunlap, M. Freeman, The organisation of denial: Con-servative think tanks and environmental scepticism, in Environmental Politics, vol. 17, issue 3, 2008.
Joe Rogan Experience Podcast Episode #1769, disponibile online all’indirizzo https://jrelibrary.com/1769-jordan-peterson/
La minaccia cinese e come affrontarla. La tavola rotonda con Dean Cheng, Centro Studi Machiavelli, https://www.centromachiavelli.com/en/2021/11/26/cina-minaccia-dean-cheng/#
https://www.centromachiavelli.com/2021/10/13/superman-gay-bisex/#
Note
[1] Ove non indicato diversamente, la fonte è Jane Mayer, Dark Money, The Hidden History of the Billionaires Behind the Rise of the Radical Right, Doubleday, New York, 2016.
[2] https://www.libertarianism.org/publications/essays/business-community-resisting-regulation
[3] https://kochdocs.org/2019/08/19/1996-structure-of-social-change-by-koch-industries-executive-vp-richard-fink/
[4] Cfr. Kim Phillips-Fein, Invisible hands, The Businessmen’s Crusade Against The New Deal, W. W. Norton, 2010.
[5] Lewis Powell, Attack on American Free enterprise system, archiviato sul sito https://scholarlycommons.law.wlu.edu/powellmemo/
[6] Lee Edwards, The Power of Ideas, The Heritage Foundation at 25 Years, Jameson Books, Inc, Ottawa, IL, 1997. Edwards è Fellow della Heritage Foundation e storico del movimento conservatore negli Stati Uniti.
[7] John K. Wilson, The Myth of Political Correctness, The conservative attack on higher education, Duke University Press, Durham and London, 1995.
[8] Ibid.
[9] P.J. Jaques, R.E. Dunlap, M. Freeman, The organisation of denial: Con-servative think tanks and environmental scepticism, in Environmental Politics, vol. 17, issue 3, 2008.
[10] Joe Rogan Experience Podcast Episode #1769, disponibile online all’indirizzo https://jrelibrary.com/1769-jordan-peterson/.
[11] La minaccia cinese e come affrontarla. La tavola rotonda con Dean Cheng, Centro Studi Machiavelli, https://www.centromachiavelli.com/en/2021/11/26/cina-minaccia-dean-cheng/#
[12] https://www.centromachiavelli.com/2021/10/13/superman-gay-bisex/#
Giorgio Castriota Skanderbegh è nato a Foggia nel 1991. È laureato in Lettere moderne e suoi racconti e articoli sono apparsi su la nuova carne, Sulla quarta corda, SuperTrampsClub, Birò, Poetarum Silva e Nazione Indiana.
Bel testo, davvero, ma limitare il colonialismo americano ai repubblicani brutti e cattivi è abbastanza riduttivo : il gas di scisto è stato lanciato sotto l’amm. Obama, la sostituzione del gas russo col più inquinate gpl americano sotto quella Biden – per non parlare dei centinaia di migliaia di morti qui vont avec.
Il Canada di Trudeau pratica in privato quanto condanna in pubblico.
Cina e India ritengono coloniale il nostro tentativo di impedirgli di uscire dalla povertà -e quindi di inquinare un po’ di più – usando i rapporti del GIEC.
Che poi i rapporti del GIEC siano contestati solo da scienziati corrotti (ce ne sono, per carità) è davvero piuttosto complottista
Eh si nel caso del colonialismo è dove ci sono meno distanze tra gli schieramenti in Usa, pur riconoscendo le differenze in civiltà nell’eguaglianza dei diritti, economia.
Alla Cina possiamo rimproverare tante cose, ok gli Usa sono indubbiamente più liberali nonostante tutto, perchè è molto repressiva però credo che si stiano impegnando nella transizione ecologica. Ancora stanno inquinando pet conto terzi. Inutile rimproverarla di inquinare di più on senso assoluto, perchè procapite il record credo lo abbiano gli Usa.