di Antonio Francesco Perozzi

 

[Esce in questi giorni per Prufrock spa on land, il nuovo libro di Antonio Francesco Perozzi. Ne pubblichiamo alcuni testi].

 

41.967444, 12.797194

 

Accedendo, al margine della città, allo scheletro della cartiera, si può camminare in uno spazio diverso. Azioni che si danno per scontate, come procedere in piano, afferrare oggetti, scivolare tra due stanze contigue, sono qui compromesse. D’altra parte, eventi quali recidersi il palmo con un fondo di bottiglia o seguire un corridoio mozzarsi e dispiegare, nel quadrato, l’area boschiva, favoriscono relazioni nuove tra l’individuo e il suo rifugio. Logica che, se accolta, fa generare in ogni corridoio finestre vegetali, reinquadramenti del percorso, modalità avverse. Ecco perché sforzarsi di ricordare e il tentativo ripetuto di raggiungere un secondo livello sono la stessa esperienza. L’abbandono ha prodotto questo risultato. Lo stabile un tempo era una fabbrica e ora si viene abbandonati, entrando.

 

 

41.952694, 12.818194

 

Per una strada che dai treni entra nel bosco, nella ghiaia, si arriva alla centrale idroelettrica. In quel punto il fiume si allarga e il primo segnale di abitazioni si nota oltre la scarpata. L’edificio è giallo e intatto, e sulla parte alta i vetri circolari lasciano intuire un interno, lo spazio per qualcosa, a cui non si può assistere. Questo divieto, più l’isolamento del luogo, danno all’edificio un’aura. Di conseguenza l’aspettativa è che un lavorio ne riempia le sale, e che matasse di energia si condensino al centro della stanza prendendo la forma di una nuvola, un globo, una scarica centripeta. Che il passaggio da acqua a corrente, da materia a velocità, brilli nel vuoto dell’impianto, trovi giuste fibre nell’aria, poi tramite i cavi raggiunga le residenze. Imbattendosi nella centrale idroelettrica, si possono proseguire ragionamenti sull’innocenza di ciò che si trasforma, sulla natura della quiete.

 

42.015638, 12.908539

 

L’oggetto che viene dimenticato – questo si apprende visitando la vecchia mola – si uniforma gradualmente al contesto. Dal profilo attuale non traspare nulla, o quasi, dell’uso precedente. A questa liposuzione contribuisce del resto l’allestimento circostante, specie il cavalcavia che incombe molti metri al di sopra del livello. Parallelamente alla disgregazione, quindi, della civiltà rurale, dell’aver bisogno, da parte delle comunità, di una macina a ridosso del fiume, ha agito il principio fisico di decomposizione. Ora arbusti e rovi riempiono le sale dell’immobile, mettono in crisi, sfruttando le fenditure e i comparti murari crollati, l’individuazione di un interno. Con il rarefarsi degli eventi nel sito, l’oggetto si spropria.

 

 

[Immagine: Gerhard Richter, Paesaggio astratto, 1969, Collezione privata, Monaco di Baviera (particolare)].

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *