di Leonardo Ceppa
L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia. Così diceva Marx nella Introduzione ai Grundrisse. Sul piano della genesi la scimmia precede l’uomo, sul piano della teoria l’uomo precede la scimmia. Habermas, nello studiare la genesi del pensiero postmetafisico, fa derivare l’autocomprensione dell’uomo geneticamente dalla fede e teoricamente dalla ragione. Così egli si contrappone drammaticamente a tutta la filosofia positivistica, empiristica e scientistica, che liquida la religione come un sogno del passato. Habermas interpreta in due maniere l’uscita della modernità dalla metafisica. Nel modello kantiano, il filosofo ricostruisce dall’interno la trascendenza della fede in una rinnovata visione onnicomprensiva del Sé e del mondo. Nel modello humeano, il filosofo decostruisce la metafisica rimanendo fermo al “rasoio di Ockham”, dunque riducendo i concetti a meri “flatus vocis”. Così, solo a partire dalla fine dell’illuminismo tra sette e ottocento, diventa possibile che, nella filosofia occidentale, l’anatomia dell’uomo illumini l’anatomia della scimmia. Per un verso Habermas ricostruisce a posteriori l’evoluzione della fede, per l’altro verso si chiede quanto la fede sia oggi ragionevole.
L’età assiale
Il disegno complessivo dell’0pus magnum possiamo già leggerlo nella splendida traduzione italiana di Walter Privitera (e collaboratori) uscita da Feltrinelli nell’ottobre 2022 (J. Habermas, Una storia della filosofia, p.126-145). Negli antichi imperi l’inaudito grado della diseguaglianza e della repressione sociale per un verso acuisce la coscienza dell’ingiustizia, per l’altro verso crea “dissonanze cognitive” nel potenziale giustificativo delle mitologie. Nel primo millennio avanti Cristo, in quattro o cinque delle prime grandi civiltà, si sviluppano metafisiche e religioni mondiali che superano il pensiero magico delle società tribali con la nascita di una prospettiva trascendente, universalistica e singolarizzante. Il complesso sacro si trasforma: l’abolizione della pratica del sacrificio sublima le forme della prassi rituale. Il potenziale normativo dei grandi imperi, insito nelle loro immagini-di-mondo, per un verso s’infiamma nella resistenza contro povertà e sfruttamento, per l’altro verso soggiace al deterrente sanzionatorio di un potere esercitato “per grazia di Dio”.
La teologia cristiana nell’impero romano
Nell’impero romano la fede cristiana, entrata in concorrenza con la filosofia greca, finisce per diventare trionfalmente la religione dello Stato. Habermas sottolinea come i contenuti della fede cristiana finiscano per appropriarsi dell’idealismo platonico trasformandolo in profondità. Lo sforzo di concettualizzare filosoficamente il “figlio dell’uomo” nella teologia trinitaria apre nuovi spazi di esperienza alla rivoluzione paolina. Nella filosofia di Agostino, i dogmi religiosi del peccato originale, della grazia salvifica, della relazione tra Dio e credente, trasforma l’anamnesi di Platone in un percorso di salvezza totalmente estraneo al cosmo greco. La verbalizzazione del sacro e la nascita della Chiesa cattolica romana, che diventa una istituzione capace di operare politicamente, differenzia la storia dell’Occidente europeo da tutte le altre religioni mondiali. La Chiesa diventa il catalizzatore del feudalesimo, acquistando un ruolo per un verso di stabilizzazione sociale per l’altro verso di canalizzazione della protesta. La riscoperta del Corpus iuris civile, da parte di Giustiniano, rende possibile sia l’evoluzione del diritto privato in diritto pubblico sia – col diritto canonico della “rivoluzione papalina” – un nuovo collegamento tra etica evangelica e diritto astratto.
Le premesse della modernità nell’alto medioevo
Con Tommaso d’Aquino l’influenza di Aristotele si sostituisce a quella di Platone. Nelle università del XIII secolo la separazione tra scienza filosofica e fede cristiana assume forma istituzionale. La gerarchia delle leggi divine e umane consente ancora di collegare il Decalogo alla ragione naturale, dando fondamento legittimante sia all’ordine divino della natura sia al fondamento ontologico della ragione. Solo con Lutero questo vincolo di razionalità della fede verrà meno, aprendo le porte alla ragione postmetafisica. La soluzione nominalistica della controversia sugli universali condurrà la “via moderna” fino alla soglia del cambio-di-paradigma dalla metafisica aristotelica alla filosofia del soggetto. Con Duns Scoto e Ockham (che muoiono rispettivamente nel 1308 e nel 1350) gli uomini partecipano del volontarismo senza origine della libertà divina. Dio avrebbe potuto creare un mondo totalmente diverso da questo. La morale viene ontologicamente sradicata, prendendo la via di un “dover essere” totalmente indipendente dalle immagini-di-mondo dell’età assiale. Un primo percorso porta al protestantesimo e alla autonomia dell’individuo. Un secondo percorso porta al nominalismo della scienza moderna, espellendo dalla natura le idee divine e aprendo la strada alle scienze sperimentali. Intanto il diritto naturale cristiano viene eroso dall’interno, scuotendo la legittimazione religiosa della autorità e preparando, nell’universalismo della eguaglianza, i fondamenti secolari della legittimazione politica.
La cesura profonda della teologia luterana
La dottrina luterana della giustificazione cancella l’ordine metafisico della natura, interiorizzando l’atto di fede in una verbalizzazione del sacro che mira a un nuovo “superamento riflessivo” del complesso sacrale. L’interpretazione della eucarestia fornita da Zwingli non soltanto pone fine all’epoca delle immagini-di-mondo, ma volta addirittura le spalle al pensiero filosofico in quanto tale. D’ora in avanti la teologia riformata – allontanando radicalmente la fede da una ragione che sembra ironicamente esautorare sé stessa – dovrà farsi imprestare dalle filosofie a lei contemporanee i termini con cui raccontare la propria privata esperienza di peccato e salvezza. In tal modo, la teologia di Lutero apre la via al pensiero postmetafisico e alla morale deontologica di Kant. La fede colloca infatti l’agire morale nella comunicazione tra Dio e il peccatore, dunque nell’atteggiamento performativo di un rapporto esclusivo tra la prima e la seconda persona. Il colpo di genio del luteranesimo kantiano consisterà nel trasformare questo atto di fede nell’imperativo categorico, cioè nella libertà – trascendentale e legislativa – della ragion pratica. I grandi sistemi metafisici del Seicento non fanno altro, secondo Habermas, che erigere cupole grandiose alla filosofia del soggetto. Solo Hume e Kant conducono a compimento la filosofia dell’autoriflessione soggettiva facendola sfociare in due modelli opposti di pensiero postmetafisico. Mentre Hume decostruisce empiristicamente la corrispondenza metafisica di fede e sapere, Kant ricostruisce in forma secolare l’eredità di questa tortuosa e secolare corrispondenza. A partire da Kant, i filosofi dell’idealismo e del materialismo continueranno a lavorare con assiduità sull’arduo tema della finitezza dell’uomo e della sua libertà razionale.
Il Poscritto della prima edizione (2019)
Nel luglio 2022 Suhrkamp fa uscire in edizione tascabile i due volumi del 2019 aggiungendovi una postfazione dell’autore. Ma non di questa Nachwort vogliamo parlare, bensì del Poscritto ancora presente nella prima edizione del 2019 (vol.secondo, pp.767-807). Qui Habermas comincia col sottolineare che, nella visione kantiana della postmetafisica, le quattro domande sulla natura dell’uomo continuano a valere come prima. Anzi più di prima. Infatti, anche dopo la fine delle immagini-di-mondo – cioè anche dopo aver integrato al mondo della vita il sapere scientifico della natura – l’uomo allarga decisamente l’orizzonte della sua autoconoscenza. Il sapere oggettivante della scienza non può non ampliare il rischiaramento soggettivo. L’illuminismo filosofico europeo dà fondamento politico e istituzionale alla morale e fondamento scientifico e sperimentale alle forze produttive. Questo illuminismo diventa per Habermas la luce che l’anatomia dell’uomo proietta sull’anatomia della scimmia. Questa luce è il segreto del “razionalismo occidentale” studiato da Max Weber. A questo punto, lungi dal cancellare la fede, la ragione umana si accorge con sorpresa di derivare da essa. Nei tre capitoli conclusivi del libro, dedicati a Feuerbach, Marx, Kierkegaard e Peirce – vediamo come il carattere non aggirabile e non oggettivabile della soggettività trascendentale dell’uomo, nonché la indisgiungibilità interna di teoria e prassi dimostrata da Peirce, non siano altro che lo sviluppo della filosofia postmetafisica di Kant. L’homo sapiens, ultimo discendente dei mammiferi e delle grandi scimmie, si scopre legato all’imperativo categorico di Kant. Ossìa alla possibilità di riorientare l’evoluzione a partire dal pragmatismo di una ragione finita e di una libertà ragionevole.
Dalla prospettiva dell’osservatore a quella del partecipante
Nello schierarsi a priori con Kant contro Hume, anche Habermas ammette finalmente la sua prevenzione di partecipante. Che lo induce a non approfondire, per esempio, le conquiste dell’empirismo logico di autori come Carnap, Wittgenstein o Davidson. Accade così che, nell’ultima parte del Poscritto, Habermas dichiari di voler “prendersi la libertà” di rivelare al lettore gli interessi personali che lo hanno spinto a ricostruire la genesi del pensiero postmetafisico. Per prima cosa egli intendeva approfondire, contro il diffuso positivismo della professione accademica, le inaggirabili prospettive della prima e della seconda persona. Questo potenziale cognitivo, su cui poggia il concetto allargato della ragione postkantiana, non è ancora stato, agli occhi di Habermas, sufficientemente approfondito. In secondo luogo, la fondazione universalistica di una validità morale cui si affianca quella scientifica, consente ad Habermas di individuare quei progressi morali e quegli istituti-di-libertà che accompagnano nella storia i progressi scientifici e la crescita delle forze produttive. In terzo e ultimo luogo, Habermas riconosce che la giustizia della libertà ragionevole, politicamente perseguita dal pensiero postmetafisico, non è mai garantita dalla onnipotenza divina. Perciò i processi di apprendimento restano sempre minacciati dal pericolo di drammatiche regressioni. Tanto da rendere oggi quasi illusoria la vecchia idea habermasiana di una “politica interna del mondo”.
Ciò che resta, conclude provvisoriamente Habermas, è la conoscenza che processi di apprendimento sono certamente avvenuti nel passato e attendono – perciò ancora – di guidarci nel futuro.
ANTROPOLOGIA E STORIA: HABERMAS, TRA HUME E KANT, IN GRAN DIFFICOLTA’ A VENIR FUORI DALL’ORIZZONTE COSMOTEANDRICO DEL PLATONISMO E A TROVARE L’USCITA DALL0 STATO DI MINORITA’.
+
ACCOGLIENDO LA CONSIDERAZIONE CHE HABERMAS, nella sua proposta di “Una storia della filosofia”, a partire dal “Poscritto” della prima edizione del 2019. “comincia col sottolineare che, nella visione kantiana della postmetafisica, le quattro domande sulla natura dell’uomo continuano a valere come prima. Anzi più di prima”, “anche dopo la fine delle immagini-di-mondo – cioè anche dopo aver integrato al mondo della vita il sapere scientifico della natura – l’uomo allarga decisamente l’orizzonte della sua autoconoscenza”,
+
SI PUO’ BEN CONDIVIDERE CHE ciò che ne segue e consegue non è solo e tanto il fatto che “Il sapere oggettivante della scienza non può non ampliare il rischiaramento soggettivo”, ma ancor di più, e proprio le ragioni proprio nel “rischiaramento soggettivo” sollecitato dallo stesso Kant, con il suo “sàpere aude” del 1784 che, forse, come ha intuito Michel Foucault nel 1984 e meglio compreso, forse, a suo tempo Theodor W. Adorno), significa e significava già ripartire dalla “quarta domanda” (“che cosa è l’uomo?”).
+
A PARTIRE DALLE INDICAZIONI della “Logica” (Kant, 1800), a mio parere, è da considerare che, storiograficamente, la domanda antropologica (e “cristologica”, cfr. “Ecce Homo” di Nietzsche, 1888), al di là delle pretese “monoteistiche” e androcentriche del cattolicesimo paolino (e delle illusioni swedengorghiane dominanti) ha già contribuito ad aprire il cantiere di una “seconda rivoluzione copernicana”, ma la cultura europea ha avuto paura di sé e ha preferito continuare sulla “tragica” visione (“monoculare”, “ciclopica”) dell’idealismo, del positivismo, e della tradizione religiosa paolina e costantiniana (atea e devota).
+
Federico La Sala
@ Federico La Sala
Gentile Federico La Sala, l’ultimo punto del suo commento mi interessa moltissimo, ma mi è anche piuttosto oscuro. Non potrebbe, per favore, esporlo un po’ più per esteso, a beneficio di una profana assetata di comprensione?
Grazie
ANTROPOLOGIA FILOSOFICA E ANDROCENTRISMO TEOLOGICO-POLITICO (ATEO E DEVOTO): “SAPERE AUDE!”. A RI-PARTIRE DA KANT, PER “RE-SHAKESPEARE” MEGLIO E RIPRENDERE LA “NAVIGAZIONE” NELL’OCEANO CELESTE (KEPLERO), CON L’OMERICO DANTE E IL “GALILEO” GALILEI…
+
GENTILISSIMA ELENA GRAMMAN, RINGRAZIANDO LA REDAZIONE DI “LE PAROLE E LE COSE” PER LA OSPITALITA’ E ACCOGLIENDO LA SUA RICHIESTA DI “ILLUMINAZIONE” SULL’ULTIMO PUNTO SULLE CONSIDERAZIONI FATTE,
+
MI AUGURO CHE POSSANO ESSERE UTILI ALCUNI APPUNTI SUL PAOLINISMO DI LUNGA DURATA, CHE HA EGEMONIZZATO (ALLA GRAMSCI) LA CULTURA EUROPEA (COME AVEVA BEN CAPITO DANTE ALIGHIERI, SULLA BASE DELLA RIATTIVAZIONE DELLA MEMORIA DEL MESSAGIO EVANGELICO DA PARTE DI GIOACCHINO DA FIORE E DIFRANCESCO E CHIARA DI ASSISI) PER DUEMILA E PIù ANNI (RICORDARE COSTANTINO E NICEA, 325-2025).
+
Alcune citazioni dai testi evangelici:
+
a) Dagli “Atti degli Apostoli” (19, 1-7): “Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, giunse a Efeso. Qui trovò alcuni discepoli e disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo». Ed egli disse: «Quale battesimo avete ricevuto?». «Il battesimo di Giovanni», risposero.
Disse allora Paolo: «Giovanni ha amministrato un battesimo di penitenza, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». Dopo aver udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano. Erano in tutto circa dodici uomini.” (“La Parola – C.E.I.”);
+
b) Dalla “Prima Lettera ai Corinzi” (1-13): “Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo [gr. ἀνήρ], e capo di Cristo è Dio” (1 Cor. 11, 1-3);
+
c) Dalla “Lettera agli Efesini” (4. 1/11-13): “Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto […] egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo [εἰς οἰκοδομὴν τοῦ σώματος τοῦ Χριστοῦ], finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo [ἄνδρα] perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.” ( “Efesini”, 4.1/11-13).
+
Federico La Sala
@ Federico La Sala
La ringrazio moltissimo.
Non posso dire di aver capito tutto, comunque, in estrema sintesi: un ebreo fanatico impegnato in un’operazione di pulizia religiosa cade (da cavallo), ha un’allucinazione – e l’Occidente, come si conferma anche in queste ore, è fottuto.
Come diceva mia nonna, siamo attaccati a poco.
Grazie ancora e buona giornata, nei limiti del possibile.
STORIA E LETTERATURA E ARCHEOLOGIA FILOSOFICA: “DISAGIO DELLA CIVILTA’ E NELLA CIVILTA’ (1929) E “COSTRUZIONI NELL’ANALISI” (S. FREUD, 1937).
+
CHIARISSIMA ELENA GRAMMANN … innanzitutto, mi sia lecito, un grade “grazie” alla sua saggia nonna: siamo attaccati al “poco”, ma quel “poco” porta al di là del “poco” mascherato da “grandissimo”, gonfiato fino alla massima potenza planetaria fino a diventare un regno cosmoteandrico!
+
A suo onore, credo che ha capito l’essenziale: le parole e le cose e le “persone” (“maschere”) non sono le stesse “cose”.
+
A mio parere, Gesù Cristo è “Gesù Cristo” e il “cittadino romano” Paolo di Tarso è “Paolo di Tarso”.
+
Si racconta che Paolo sia stato portato fino al terzo cielo: va bene! Da ricordare, però, che Dante Alighieri è andato ben oltre i cieli di Aristotele!
+
Antropologicamente (e cristologicamente), inoltre, c’è da chiedersi, se Paolo ha visto “Gesù Cristo”, come mai – come ha visto e insegnato meglio Francesco di Assisi con il suo “presepe” (Greccio, 1223) – non ha visto, accanto a “Cristo” che lo “sgridava”, “Giuseppe” insieme a ” “Maria”?!
+
QUALE PRESEPE SI VUOLE: “ECCE HOMO” (NIETZSCHE, 1888)? Quello di Paolo di Tarso o quello di Francesco di Assisi? Cosa aveva già capito Dante, ma anche Shakespeare, fino a Pirandello e ad Edoardo De Filippo?! Questa è la domanda fondamentale di teologia-politica, o no?!
+
Grazie, grazie ancora a Lei, e a sua “picola” grande nonna, chiarissima Elena Grammann, buona giornata.
+
Federico La Sala