di Vincenzo Di Marco
Di Franco Fortini ricorrono i trent’anni dalla scomparsa, avvenuta nel mese di novembre 1994. Critico e poeta, traduttore e saggista, Fortini ha percorso tutto il Novecento letterario e politico italiano, dalla sua nativa Firenze, dove si forma nel clima della cultura ermetica (da cui prende presto le distanze militando a fianco del “riformatore” Noventa), in pieno regime fascista. Durante il secondo conflitto mondiale matura i nuovi convincimenti antifascisti e socialisti. Riparato in Svizzera dopo l’8 settembre 1943, Franco Lattes, a causa delle leggi razziali del ’38, cominciò a firmarsi con il cognome materno (Fortini). Partecipa seppur brevemente alla resistenza in Valdossola (Guerra a Milano. Estate 1943, Pacini 2017, a cura di Alessandro La Monica). Tornato in Italia si stabilisce a Milano, dove comincia la collaborazione con il Politecnico di Elio Vittorini.
I suoi rapporti con la cultura del fronte progressista sono difficili e a tratti burrascosi. Pur iscritto al Partito Socialista (la tessera gli fu consegnata da Ignazio Silone durante l’esilio a Zurigo e restituita polemicamente a Pietro Nenni nel 1957), il suo marxismo intransigente lo portò spesso ad avere divergenze ideologiche e politiche con i suoi interlocutori. Dieci inverni 1947-1957. Contributi ad un discorso socialista, ristampato nel 2018 da Quodlibet, segna questo periodo di travaglio personale e politico. Spente le speranze di una svolta rivoluzionaria in Italia, con l’avvicinamento dei socialisti al campo centrista democristiano, nonostante l’attenzione guardinga al mondo comunista ancora condizionato dalla ipoteca staliniana, è determinato a scelte difficili e solitarie. Memorabili i suoi saggi critici che lo segnalano come uno tra i maggiori studiosi di letteratura italiana dagli anni Sessanta in poi: Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, 1965; L’ospite ingrato. Testi e note per versi ironici, 1966; I cani del Sinai, 1967; Questioni di frontiera. Scritti di politica e di letteratura 1965-1977, 1977; Insistenze. Cinquanta scritti 1976-1984, 1985; Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine,1990; accanto alle maggiori raccolte poetiche: Foglio di via e altri versi, 1946; Poesia e errore, 1959; Una volta per sempre, 1963; Questo muro,1973; Paesaggio con serpente, 1984; Composita solvantur, 1994.
Quando Fortini era in vita, su di lui pesava l’immagine alquanto abusata dell’“ospite ingrato”, dell’intellettuale in perenne polemica con le istituzioni politiche e culturali di cui era parte attiva, costretto a difendersi dall’accusa di essere un marxista fuori tempo massimo, ben oltre gli esiti recenti della storia che non gli avevano dato ragione. Il piglio perentorio e deciso dei suoi pubblici interventi fu causa di incomprensioni e rotture dolorose. Raffigurato di frequente con il ditino alzato, nell’atto di impartire sermoni e di cedere ad un rigido moralismo, Fortini ha dovuto guardarsi da queste critiche molto più che per il contenuto dei suoi interventi. Una immagine che gli ha nuociuto per lungo tempo.
A trent’anni dalla morte possiamo segnalare un significativo mutamento della ricezione che fino al ’94 aveva avuto la sua opera in versi e in prosa. Questo nuovo corso è per certi aspetti inatteso (e che si deve in gran parte ad una nuova generazione di studiosi che ha lavorato in questi anni sulle carte di Fortini, conservate presso l’Università di Siena), in quanto ci permette di capovolgere l’immagine per molto tempo negativa, insistita, e per questo stoltamente unilaterale, che pesava sul poeta fiorentino. Questo nuovo inizio non si conclude però con la classica “riabilitazione” dell’intellettuale incompreso, ripulito di tutte le incomprensioni del passato, ma mira al riconoscimento dell’altezza del suo magistero culturale, che ne fa uno dei massimi poeti, critici, traduttori che il nostro Paese abbia mai avuto.
Un pubblico riconoscimento che arriva da una serie di ristampe, pubblicazioni, convegni e traduzioni tributate a Franco Fortini, e che ci consente di ricostruire con maggiore precisione l’itinerario culturale di un critico-poeta che ha attraversato gli anni del fascismo, della guerra e della resistenza, partecipando alle grandi battaglie politiche, italiane e internazionali, del secondo Novecento.
Un primo confronto va posto con gli anniversari di Pasolini e Calvino celebrati di recente. Fortini era legato da profonda amicizia con i due scrittori, ma ne è stato anche un critico severo. Pensiamo al grande risalto avuto dalla mostra romana “Tutto è santo” del 2022 per il centenario della nascita di Pasolini e, sempre a Roma, nel 2023, il “Favoloso Calvino”, un altro centenario salutato con tutti gli onori di gloria e di plauso. Sarebbe impensabile ancora oggi un tributo di queste proporzioni per il pensiero di un intellettuale come Fortini, per via della non facile assimilabilità delle sue idee all’ideologia corrente che accetta e perpetua il modello capitalistico e che non fa sentire la propria critica contro le sue derive pericolose.
Pensiamo altresì al confronto di Fortini con i giovani degli anni della contestazione e con le posizioni assunte dai vari intellettuali “corsari”, dallo stesso Pasolini a Giovanni Testori, fra gli altri. Quest’ultimo, che fu interlocutore polemico di Fortini, viene annoverato – da una critica troppo frettolosa – come scrittore “corsaro”, mosso da un cattolicesimo aspro e corrosivo (con i suoi celebri corsivi apparsi sul Corriere della Sera e sul Sabato dal 1977 al 1981, oggi raccolti nel volume La maestà della vita), e che, per ironia della sorte, viene presto riassorbito nei ranghi di una cultura alquanto cedevole al potere vigente. Fortini non ha nulla di assimilabile a questi tre intellettuali italiani del secondo dopoguerra.
Sulla figura dell’intellettuale corsaro Fortini reagisce con il tipico sarcasmo dell’epigrammista che egli era, in quanto a suo avviso gli osanna rivolti allo scrittore in controtendenza, che suscita scandalo nei salotti buoni e movimenta la cronaca con trovate originali, servono a poco per operare un decisivo salto di qualità. La rivolta solitaria dell’autore di genio, deriso e “incompreso”, oggetto della bestemmia sociale, è figlia del sovversivismo piccolo-borghese di cui abbiamo avuto pessimi esempi nella cultura italiana del primo Novecento, sa di bluff, e non nasconde la forte impronta decadente e reazionaria da cui trae origine; e, come si usa dire, solletica i pruriti superficiali delle coscienze, che nella sostanza rafforzano il Potere combattuto solo a parole.
Fortini ha discusso con Pasolini ininterrottamente dai tempi di “Officina” fino alla rottura del ’68, quando a dividerli fu la polemica sui “giovani e la polizia” (come si può leggere nella recente la ristampa di Attraverso Pasolini, Einaudi 2022), senza risparmiargli l’accusa di essere un “piccolo borghese” al servizio della reazione politica. Così dichiara con sofferta amarezza: «Posso aver fatto lo sforzo di indagare le motivazioni di chi per tanto tempo ha recitato la parte di D’Annunzio, sono troppo stanco per cercarle in chi ormai si contenta di imitare Malaparte»; con Calvino è stato altrettanto critico fino alla polemica velenosa, dal momento che la “svolta” dello scrittore sanremese, alla fine degli anni Settanta, che lo portò sulle rive della Senna, nelle vesti di scrittore “alla moda”, non poteva rappresentare per Fortini alcunché di significativo per le nuove generazioni, se non il modello dell’autore di grido, disgustato dalla vita politica, e riparato in una mansarda parigina in attesa di dar vita ad una “letteratura di tutto riposo” (si legga “I giovani secondo Calvino”, uno di questi articoli polemici del 1975, in Insistenze, Garzanti 1985).
Fortini è stato un collaboratore di grandi case editrici, in qualità di traduttore e di esperto editoriale. Nel secondo dopoguerra ha lavorato a Ivrea per Adriano Olivetti, come copyright e designer, traducendo Kierkegaard e Simone Weil per le Edizioni di Comunità; per Einaudi è stato traduttore e consulente (Quodlibet ha pubblicato nel 2023 Pareri editoriali per Einaudi, a cura di Riccardo Deiana e Federico Masci), tanto “competente”, colto, quanto “irriverente” nei confronti sia di alcuni degli autori presi sotto esame, sia del datore di lavoro che ne utilizza le schede allo scopo della promozione commerciale dei libri; pezzi di bravura che esulano dal recinto del tecnicismo e dello specialismo settoriale, peraltro rifiutati da Fortini in nome dell’universalità della funzione intellettuale, che deve potersi esercitare da tutti per tutti, anche da chi negli assetti lavorativi è annoverato nei ranghi più bassi, che maliziosamente sono indicati come semplici “esecutivi” di decisioni assunte da altri.
Scrive a proposito Gabriele Fichera (Il Manifesto dell’11 febbraio 2024): «Ma qui è necessaria una notazione di carattere più generale. A partire dalla piena coscienza del fatto che l’intellettuale lavora nell’industria della cultura sempre più in posizione subalterna, senza poterne controllare cioè le dinamiche profonde e gli indirizzi fondamentali, Fortini sceglie di stare dentro la contraddizione fra valori “poetici” e mercato, piuttosto che semplicemente subirla. Preferisce vivere e osservare in prima persona i cambiamenti socio-economici che si riflettono sulla produzione letteraria, o su ciò che altrove chiamerà “le forme presenti di produzione-consumo”. E dunque, mentre impronta il suo lavoro di consulenza a criteri selettivi abbastanza chiari e fermi, spesso esprime giudizi non assoluti, ma duttili».
Ma l’aspetto più sorprendente di questa inesausta carriera intellettuale riguarda il lavoro di traduttore e di educatore. Fortini ha iniziato a tradurre nel 1942, come racconta Luca Lenzini nella introduzione a Traduzioni disperse e inedite, Lo Specchio Mondadori 2024. Un lavoro ininterrotto che è durato tutta la vita, fino al Lycidas di Milton, passando per Éluard, Brecht, Proust, Goethe, Kafka, e molti altri. Le traduzioni rappresentano, come sappiamo, un tratto significativo per conoscere meglio il poeta e le sue scelte tematiche e stilistiche. Per Quodlibet era uscito nel 2011, e ristampato nei Saggi, Lezioni sulla traduzione, che Fortini tenne a Napoli nel 1988.
Sempre Quodlibet ha proposto, nel 2023, il volume di Lorenzo Tommasini, Educazione e utopia. Franco Fortini docente a scuola e all’università. Il libro raccoglie le esperienze scolastiche di Fortini negli istituti tecnici milanesi e dintorni sul finire degli anni Sessanta, per proseguire con l’attività di docente universitario a Siena fino al pensionamento. Questi documenti segnano un tratto essenziale della personalità di Fortini, ci informano sui metodi di insegnamento adottati, l’uso dei libri, la pratica dello studio, le implicazioni sociali ed economiche dei diplomi conseguiti dai neolaureati, i giudizi sulla critica letteraria e l’analisi dei testi, le notizie sui corsi universitari. Altre considerazioni generali si ricavano da questa lettura, come quella sul rapporto tra studio, conoscenza e industria culturale, o tra cultura generale e specialismo. Leggiamo questa considerazione di Fortini: «L’antologia vorrebbe avere “quel medio uomo europeo e italiano cresciuto nella media civiltà capitalistica e mediamente informato; quella parte di ciascuno di noi che è sotto l’intimidazione culturalista e che è stata accuratamente addestrata a vergognarsi di avere delle “idee generali” e di voler comportarsi secondo quelle».
Di recente, tra le ultime novità, abbiamo a disposizione il libro-ricordo degli studenti degli istituti superiori, dal titolo Allora comincerò… Franco Fortini nel ricordo dei suoi studenti, a cura di Lauretta D’Angelo, Paolo Massari, Lorenzo Pallini, Edizioni Bordeaux 2024, con postfazione di Donatello Santarone. Lo studente Franco Romanò racconta l’esordio a scuola di Fortini nel 1965, che fu diretto e dirompente: «Mi chiamo Franco Lattes, sono di origine ebraica, durante la guerra fui costretto a riparare in Svizzera, tornai a Firenze con la Liberazione. Poiché io voglio che ci si conosca bene senza sotterfugi vi dirò che sono marxista, sono stato iscritto al Partito Socialista ma oggi non lo sono più, sono un poeta e uno scrittore, mi occupo di letteratura ma conosco anche l’industria. Ho stimato molto un grande industriale italiano, Adriano Olivetti, ho lavorato in quell’azienda, fui io a dare il nome alla prima macchina da scrivere, la lettera elle: il nome Lexicon lo suggerii io». Mai discorso d’approccio poteva essere più chiaro e netto. Altri studenti ricordano il metodo di insegnamento inusuale di Fortini, la sua dedizione assoluta al lavoro, i commenti scherzosi e puntuali in calce ai compiti in classe, la dirittura morale e la franchezza d’animo: «L’impatto dell’ingresso di Franco Lattes, in arte Fortini, nelle giovani menti in parte già sessantottesche di una seconda superiore, è stato, a furor di popolo, pari a quello di una meteora…», dichiara un altro studente, Lelio Calvi. Lezioni attoriali, insegnamento non istituzionale, multidisciplinarietà ante litteram.
Una parola emerge su tutte, dopo aver riflettuto sul metodo di lavoro di Fortini: la parola “mediazione”. Lo mette bene in evidenza Donatello Santarone nella postfazione al libro: «Non va dimenticato, infatti, che per Gramsci i mediatori intellettuali non erano soltanto i “colti” della tradizione umanistica, ma pure i parroci delle campagne, i maestri elementari, i giornalisti di provincia, così come i diplomatici, i militari, i giudici, i burocrati che operano all’interno della società politica e dello Stato o gli scienziati e i tecnici che operano all’interno della moderna industria capitalistica». Da cui l’indicazione utilissima che l’insegnante e l’intellettuale non devono disprezzare la comunicazione di consumo, non per utilizzarla acriticamente, come il mercato la propone ai consumatori, ma comprenderla nel suo processo di formazione, per non arrendersi al “dominio ideologico” dei liberisti che vorrebbero eliminare la mediazione culturale.
Sempre per l’editore Bordeaux, è uscito Le rose dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani, a cura di Donatello Santarone. Si tratta della trascrizione delle registrazioni radiofoniche (Radio3) del giugno del 1991 sui classici italiani, da Dante a Pascoli, in un fitto dialogo con il curatore, con letture dei testi e analisi in diretta. Di pari importanza la rivalutazione dei carteggi messi a disposizione del Centro Interdisciplinare di Ricerca Franco Fortini, e pubblicati dalla Firenze University Press/Usiena Press: nel 2023 sono usciti quelli con Carlo Cassola e Luigi Baldacci. Sono in corso di preparazione i carteggi con Rossana Rossanda, Vittorio Sereni, Andrea Zanzotto e Giambattista Vicari. Per una puntuale ricostruzione di queste vicende intellettuali e personali, si veda anche la corrispondenza con Giovanni Giudici, Carteggio 1959-1993, pubblicato da Olschki nel 2018.
Inoltre, tra le varie attività convegnistiche segnialiamo le due giornate di studio svoltesi presso la Scuola Normale di Pisa, giovedì e venerdì 10-11 ottobre 2024, dal titolo Proteggete le nostre verità, Convegno internazionale di studi su Franco Fortini, con studiosi di ieri e di oggi, Stefano Carrai, Francesco Diaco, Niccolò Scaffai, Bernardo De Luca, Gabriele Fichera e altri. Un convegno che ha spaziato su aspetti inediti dell’opera di Fortini, con nuovi documenti portati alla luce e commentati dai giovani ricercatori intervenuti.
«Quando Fortini era in vita, su di lui pesava l’immagine alquanto abusata dell’“ospite ingrato”, dell’intellettuale in perenne polemica con le istituzioni politiche e culturali di cui era parte attiva, costretto a difendersi dall’accusa di essere un marxista fuori tempo massimo […] Sarebbe impensabile ancora oggi un tributo di queste proporzioni per il pensiero di un intellettuale come Fortini, per via della non facile assimilabilità delle sue idee all’ideologia corrente che accetta e perpetua il modello capitalistico e che non fa sentire la propria critica contro le sue derive pericolose». (Di Marco)
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Quante perifrasi – accorte o ingenue? – per non dire che Fortini era un marxista e un comunista (“speciale”) e che sono stati soprattutto i suoi nemici (presenti anche nella sinistra) a fargliela pagare. Rileggete Rossanda che lo conobbe bene e da vicino:
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«Fortini giace insepolto fuori delle mura. E si spiega: ha voluto essere una voce poetica di quella parte del secolo che aveva tentato l’assalto al cielo d’un cambiamento del mondo, ha perduto ed è ricaduta fra le maledizioni del Novecento e l’inizio di un millennio che non ne sopporta il ricordo».
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(R. Rossanda , Uno sperato tutto di ragione in «F. Fortini, Saggi ed epigrammi», pp. XI-XII, Mondadori, Milano 2003.)
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E studiatevi meglio le sue “disobbedienze”: https://www.poliscritture.it/2014/11/07/le-disobbedienze-dimenticate-di-franco-fortini/
Mi dispiace che Ennio Abate abbia visto nelle mie parole una reticenza (ingenua o accorta) per non dire quello che Fortini era. Lo era per lui (Abate) e lo era, lo è, per me e per molti altri: un marxista e un comunista speciale. Il mio articolo è una breve comunicazione sulle molteplici iniziative editoriali e convegnistiche di quest’anno in occasione del trentennale della morte. Non volevo, e non ho voluto/potuto, discutere a fondo del marxismo di Fortini, che considero di grande rilevanza. Poi perché devo leggere le “disobbedienze” che ho letto, e rileggo, assieme a tutta la sua opera (di Fortini), da almeno un quarantennio? Chi lo ha tradito, vilipeso, offeso, ha ancora i suoi continuatori fra noi. Fortini le chiamava “carogne”. Possiamo metterci d’accordo (fra noi) su come chiamarli.
@ Vincenzo Di Marco
Grazie della spiegazione e buon lavoro,