di Attilio Scuderi
Consigli di classe. Scuola, democrazia e società,
rubrica a cura di Mimmo Cangiano
“L’individuo è oggi un nodo della rete, che trae un elemento essenziale della sua identità da questa collocazione. La retorica dei nuovi media gli attribuisce un ruolo da protagonista superiore a tutte le epoche precedenti: autore e non solo spettatore, prosumer ovvero produttore-consumatore, o «consumattore» secondo la traduzione italiana più spiritosa, e non solo fruitore. La pratica del marketing cerca di collocarlo in un profilo sicuro, personalizzato e insieme del tutto indipendente dalle sue scelte consapevoli, attraverso l’incrocio di dati; il sistema produttivo gli chiede la massima «flessibilità», a rischio di ridurre o annientare la sua identità lavorativa che dopo tutto è stata nelle fasi precedenti dell’economia industriale uno dei principali ancoraggi della coscienza individuale.”
Questa citazione tratta dal testo di Peppino Ortoleva, recentemente ripubblicato, dal titolo Il secolo dei media, ci mette in situazione. Oggi la studentessa e lo studente universitari che ambiscano alla docenza scolastica sono chiamati dalla retorica dei nuovi poteri a farsi consumattori di un processo infinito di formazione, costruito per tappe successive di acquisto di beni. Beni di poverissimo se non nullo valore d’uso sul piano scientifico e culturale ma che nel sistema del mercato dell’educazione hanno acquisito uno spropositato e devastante valore di scambio. Viene da pensare, come scontato, ai famigerati 24 cfu psico-pedagogici, oggi diventati corso abilitante da 60 CFU, di cui abbiamo e si è ampiamente detto[1] e che configurano già un profilo del futuro docente tutt’altro che sicuro, e piuttosto vincolato alle possibilità economiche dei singoli e delle famiglie, aldilà dei meriti e della fatica dimostrati e profusi nello studio universitario. Ma un processo che pone attrici e attori potenzialmente sullo stesso piano (come sarebbe dovuto costituzionalmente e ai sensi di una sana idea democratica di formazione della docenza) non collima con le esigenze di un mercato che ingaggia secondo bonus e benefici, premialità e scorciatoie commerciali. Ecco dunque che a partire dagli ultimi dieci anni (si veda la recente Ordinanza Ministeriale 88/24[2] per ricostruirne mattone dopo mattone la normativa bipartisan che ha concepito tali mostri), sin dalla celeberrima Buona scuola, si è sempre più ampliata la platea di corsi aggiuntivi e specializzanti a pagamento, forniti da soggetti privati ma con modalità omogenee, che “consentono di comprare” (ma sarebbe meglio dire obbligano, forzano, inducono ad acquistare) punti per le GPS, ovvero quelle graduatorie provinciali di supplenza dal cui agognato scorrimento consegue la vita (l’assunzione a tempo indeterminato) o la morte (il precariato, il limbo degli incarichi periodici, magari fino ad estinzione del reato di aspirata docenza) delle nostre studentesse e dei nostri studenti universitari. Questi beni aggiuntivi e potenzialmente dirimenti nel muovere le graduatorie hanno degli acronimi e dei nomi che sono già un programma: EIPASS, PEKIT, CLIL, LIM, TABLET, CODING, TEACHER e così via. Sciogliamoli, sia pur brevemente. Pekit, Lim, Coding, Teacher, Eipass danno irrinunciabili “competenze” e patenti informatiche anche nell’ambito della grafica computerizzata, elemento di primo piano nell’insegnamento di materie di base (ma vi immaginate un docente che insegni Dante, Hegel o le leggi della termodinamica sprovvisto della capacità “certificata” di programmare un ambiente 3D sul computer? O di utilizzare, pratica davvero complessa se non misterica, una lavagna interattiva multimediale? Non sia mai…). Il termine CLIL è l’acronimo di Content and Language Integrated Learning ed è una metodologia che prevede l’insegnamento di contenuti in lingua straniera; utile in astratto se ad essa non si legasse anche il commercio di certificazioni di lingua straniera a poco prezzo e pochissimo contenuto culturale e didattico, altra galassia parallela di certificazioni a prezzi più o meno modici. Basta digitare queste sigle su un motore di ricerca per entrare in un supermercato non virtuale ma ben troppo reale, che spiega, indirizza e illustra come scalare le graduatorie e superare, magari con meno merito, chi ti sta davanti, secondo la regola che vige, la più antica del mondo: mors tua, vita mea.
E così, con i tre punti del Clil, e poi quelli delle certificazioni linguistiche e informatiche, uno 0,50 dopo l’altro, e poi con le certificazioni linguistiche, ben più generose, ecco costruito in pochi giorni o settimane, come vedremo, l’equivalente o quasi di un anno di vero servizio e lavoro (12 punti per l’incarico annuale nelle GPS). Fermiamoci un attimo a riflettere: un anno o quasi in poche settimane; così come con i 24 CFU in pochi giorni si acquisiva l’equivalente di metà anno universitario, grazie a panieri, pacchetti e quant’altro le inchieste sulle private telematiche hanno ampiamente scoperchiato. Vuoi un futuro: compratelo! Sapere, conoscenza: ma no, basta un click, e vai felice!
È proprio così? Per verificarlo ho fatto un esperimento. Ho consegnato in forma anonima a gruppi di aspiranti docenti un semplice questionario con queste domande.
Quali certificazioni ha conseguito tra B2 lingue, EIPASS, PEKIT e CLIL, LIM, TABLET, CODING, TEACHER o altre?
Presso quale ateneo telematico?
Per quale costo e per quanti cfu complessivi?
Quali sono state le modalità di erogazione della didattica in remoto (lezioni universitarie, moduli brevi, etc…)? E che durata hanno avuto?
A che distanza dalla fine delle lezioni ha potuto fare l’esame finale?
Che considerazioni si sente di dare alla fine di questa esperienza?
Che confronto pensa di poter fare con la sua esperienza in una università statale e pubblica?
Conosce colleghe o colleghi che grazie a questi punteggi aggiuntivi hanno avuto avanzamenti e benefici in graduatoria GPS e altro?
Un breve giro sulle risposte.
F. dichiara di avere “comprato tutte le certificazioni possibili, anche indebitandomi, dato che è l’unico modo per avere una possibilità concreta di collocazione nelle graduatorie.”
C. scrive: “I costi non sono mai un problema; spesso li puoi contrattare se prendi più certificazioni. Io ho avuto dei buoni sconti. Bisogna fare come con i gestori telefonici; basta che dici che senza una “carezza” passi ad altro ente erogatore. Tra l’altro sono efficientissimi, ti chiamano o scrivono quasi subito appena compili il form. Sono stai molto gentili e disponibili; invece se cerchi di chiamare una segreteria universitaria aspetti giorni e alla fine sono tutti scortesi.”
C. aggiunge: “Le lezioni erano ben strutturate. Una volta effettuato il pagamento venivano fornite delle credenziali che davano subito accesso alla piattaforma PEKIT: il tutto era suddiviso in moduli con vari argomenti, una decina all’incirca, con questionari finali e diversi manuali digitali da poter consultare per approfondire quanto spiegato nei moduli. Personalmente ho svolto la parte preparatoria all’esame in poche ore, 5 al massimo, in un solo pomeriggio: la piattaforma permette di guadagnare molto tempo. L’esame finale l’ho svolto due/tre giorni dopo la fine delle lezioni, su mia richiesta: poteva svolgersi in presenza oppure comodamente online. È stata aperta una sessione d’esame appositamente per me.”
T., è ancora più esplicita: “Tra insegnamento universitario classico e queste robe non c’è rapporto. Ma queste ti danno lavoro, il resto no. Anche se l’esperienza è mortificante alla fine mi ha consentito di essere in buona posizione. Sì, un sacco di colleghe e colleghi ricorrono a questi mezzi. Ci costringono e poi lo facciamo. Che altro possiamo fare?”
È stato educativo, almeno per me. Ne esci con le ossa rotte, ma un giro di opinioni così ti dà il senso del misto di mortificazione, rassegnazione, cinismo e disincanto che questo sistema “psico-pedagogico” sta producendo da anni nelle nuove leve della docenza scolastica della nostra Repubblica (tale almeno fin quando Eland Trusk – Musk+Trump, alle porte – non proverà a sfondare gli ultimi fondamentali democratici; pessima la vicenda, a proposito, della sospensione dal servizio per tre mesi con decurtazione stipendiale del collega Raimo, per pubbliche critiche al ministro; e pessimo il Codice di Comportamento della Pubblica amministrazione, di recente approvazione. Segnali chiari, anche per chi si gira per sport dall’altro lato, giorno per giorno).
E dire che questo è appunto il sistema pensato e “implementato” (si dice così, non chiedetemi perché) da parte del pensiero pedagogico e ministeriale italiano ai massimi livelli, mentre l’università pubblica arranca e si vede tagliare i fondi minimi e necessari alla sua sopravvivenza e mentre le private telematiche continuano a ricevere proroghe e via libera, per molti incostituzionali oltre che devastanti. Per completare il quadro, questo sistema di “acquisto crediti” nel processo di formazione all’ingresso della docenza, è duplicato – come è stato più volte denunciato – anche nella formazione in itinere o aggiornamento degli insegnanti della scuola, appaltati spesso agli stessi enti e con modalità simili che consentono di scalare certo meno esiziali ma non meno deprimenti graduatorie interne: e dire che basterebbe, anche qui, dare il compito alle università, con poche risorse e limitato dispendio del denaro pubblico, per gestire ed erogare in forma seria e qualificata corsi di vario genere, per l’ingresso e l’aggiornamento della docenza (ho un sogno: che ogni insegnante di scuola possa, come accade in altri paesi, ogni due-tre anni, scegliere un corso universitario per aggiornarsi, studiare e crescere proficuamente e liberamente e così interagire e collaborare con i colleghi dell’università e aiutarci ad avvicinare l’università stessa alle esigenze della scuola. Bello, no? Anche facile; e anche economico; quindi non verrà fatto, perché non ci guadagna nessuno. Una ragione in più per continuare a chiederlo e chiederlo e chiederlo, fino alla fine).
Si diceva, dunque, della pedagogia e dei suoi usi ed abusi. Suggellano questa riflessione le parole che Hannah Arendt dedicava al tema in un saggio dal titolo “La crisi dell’istruzione” nei primi anni sessanta del secolo passato eppure presente:
“Influenzata dalla psicologia moderna e dai dogmi del pragmatismo, la pedagogia si è trasformata in una scienza dell’insegnamento in genere, fino a rendersi del tutto indipendente dalla materia che di fatto s’insegna. Secondo questo concetto un insegnante è una persona capace di insegnare non importa che cosa; una persona abilitata, dal proprio tirocinio, all’insegnamento: non alla padronanza di qualche specifica materia. Si tratta di un modo di pensare strettamente correlato con un assunto di fondo che concerne l’apprendimento, e che, negli ultimi anni, ha provocato gravissime trascuratezze nel tirocinio specifico di ciascun insegnante nella propria materia, specie per gli insegnanti delle scuole pubbliche di secondo grado. Dal momento che il professore non ha bisogno di conoscere la propria materia, non è raro che egli sia di appena un’ora «più avanti» della sua classe. Di conseguenza, gli studenti sono in realtà abbandonati a se stessi, e anzi, la fonte più legittima dell’autorità del professore (l’essere questi, comunque si metta la questione, uno che sa e sa fare «di più» dello studente) perde ogni efficacia.”
Note
[1] Cfr. anche questo articolo: https://www.leparoleelecose.it/?p=49634
[2] https://www.orizzontescuola.it/wp-content/uploads/2024/05/Ordinanza-ministeriale-88-del-16-maggio-2024-Procedure-aggiornamento-graduatorie-provinciali-e-di-istituto-personale-docente-ed-educativo.pdf
Una realtà che non conoscevo
Grazie. D’altronde gli stessi politici nominati ministri, da tempo ormai non vengono scelti per le loro conoscenze in materia. Chi prende decisioni poi sono loro. Cosa ci possiamo aspettare… Santa anchè, salvaci tu!