a cura di Anna Ruchat

Traduzione di Annalisa Nelson, Anna Ruchat, Maria Chiara Susini

Il carteggio Paul Celan-Gustav Chomed inaugura una piccola collana (un libro l’anno) legata alle “Meteore” e dedicata a Paul Celan. La collana, diretta da Domenico Brancale e Anna Ruchat ed edita da FT–FinisTerrae di Pavia, porta il titolo “Rive dell’altro” perché si propone di esplorare il vasto territorio dei carteggi ancora non tradotti, delle memorie di amici e conoscenti, delle collaborazioni e traduzioni dello stesso Celan. Desideriamo in questo modo mettere a disposizione del pubblico italiano almeno qualcosa della miriade di materiali usciti in questi anni in Germania e in Francia che tanto hanno contribuito a trasformare la lettura e l’interpretazione dell’opera di Celan facendone qualcosa di molto più vivo e inestricabilmente legato alla biografia.
L’immagine di copertina è realizzata da Sophie Ko e accompagnerà tutte le pubblicazioni della collana.

 

 

1 Paul Celan a Gustav Chomed, Tours, 7.12.1938

Tours, 7 dicembre 1938

Mio caro, caro Gusti,

 

è una colpa gigantesca non averti scritto fino a oggi. La mia unica consolazione è che so che mi perdoneresti, se fossi qui, qui a Tours[1] e potessi vedermi, se potessi vedere la mia situazione qui, la mia situazione insopportabile. Vedi, io so che Tu mi potresti perdonare. Lo so – Da oggi in poi ti scriverò spesso, molto molto spesso, vedrai. A proposito, ti avevo già scritto due lettere, quand’ero a Parigi, ma non sono riuscito a spedirtele perché sapevo quanto fosse incerta la mia permanenza a Parigi e perché ti volevo dare un indirizzo così che anche Tu mi scrivessi. Adesso lo posso fare…

 

Ti avevo scritto del viaggio, del lungo viaggio, che è stato un momento di grande tensione, a volte una tensione allegra. E di tutti i paesi che ho visto ti avevo scritto, di tutti e della Germania. Della Germania… ti racconterò tutto questo di nuovo, ma questa volta non lo posso fare, credimi, non posso. Sarebbe una fatica per me insopportabile. Perché vedi, sono stato a Parigi per più di due settimane, quasi tre settimane. Sarei rimasto lì se non fosse stato così costoso, sì per me da solo era troppo caro, il ragazzo che avrebbe dovuto vivere con me ha dovuto proseguire per Tours. (In fondo non è colpa sua.) Quando si è così lontani e soli si sente doppiamente il carico che deve portare chi rimane a casa affinché noi si possa stare qui. Mio padre non è un uomo ricco e per di più è fragile. Tours è solo meno cara di Parigi. – Vedi, Parigi è così, c’è vita dappertutto, nelle strade, nelle case, dappertutto. C’è Notre-Dame e il Louvre e il Musée Rodin, chiese e giardini, concerti, teatro. Tours è il deserto, solitudine, angoscia. E per questo quando arriva la sera, – ed è proprio sera adesso – la mia solitudine si fa più tangibile e la tristezza più grande.

 

Ti avrei voluto scrivere già ieri sera ma non sono riuscito a farlo perché non smettevo di piangere, piangere, piangere. Ah, Tu davvero non sai, non puoi sapere, cosa significhi essere soli, così terribilmente soli. Cosa devo dirti in proposito? E però non riesco a trovare consolazione, proprio nessuna consolazione. O forse ce l’ho una consolazione se le lacrime sono una consolazione. Ho tante lacrime. Non so se riesco davvero a farmi capire; a farmi capire come forse potrei se noi camminassimo insieme. Uno accanto all’altro, e fosse buio, e io direi una semplice parola in proposito, una parola normale… e Tu capiresti tutto, di colpo capiresti tutto perché una parola così è come una lacrima. Vedi, sarebbe una consolazione se soltanto avessi qui la tua mano e quella mano fosse aperta e tenesse dentro una lacrima che mi appartiene. Sarebbe una consolazione.

 

Non so se sia un vantaggio o una perdita, il fatto che io diventi più umile, umile in senso ampio e[2] incline ad amare molte cose che prima respingevo, mi senti? ad amarle. E che di colpo io senta di poterlo davvero fare – mentre scrivo questo mi viene in mente che già una volta ho pensato cose simili, per poi “superare” quei pensieri.

 

Quando ho cominciato a scriverti questa lettera ho pensato che la carta non sarebbe bastata se avessi voluto scriverci sopra tutta la mia pena. Tanto è grande. Di mattina: Travaux pratiques, lavori pratici, on détermine la densité d’un corps solide, d’un liquide[3], si apre il ventre di una sanguisuga, si contano le viscere e poi le si disegna; nel pomeriggio lezioni…: non è desolante?

 

Vedi, devono essere più di una lettera queste righe che ti scrivo, devono essere – l’ho già detto – come una conversazione al buio. Quando le conversazioni possono essere tutto…

     A Parigi, dove pure sono stato spesso triste, triste e afflitto, andavo in una chiesa. Era quasi sempre Notre-Dame. Ed ecco che in chiesa uno non viene sollevato dalla propria angoscia, no, al contrario, anzi capita che si provi un’angoscia ancora più grande, una paura purificata portata da qualcuno di più grande di noi. E allora è come se dovessimo togliere a Lui un peso dalle spalle o dalle mani, o un po’ di tristezza dallo sguardo o la pesantezza del suo respiro alato. E Lui siamo noi tutti. È quasi per testardaggine che lo aiutiamo.

 

E vedi, noi cresciamo sempre sul dolore altrui /o sul nostro? / Una volta al Louvre ho visto un cieco. Un cieco davanti ai colori. Devo aggiungere altro? Capisci?

     Perché vivere qui, ci penso ora, è questo: il fiato corto della miseria e i morsi della fame e il suo odio e mille e mille volti uguali, volti confusi e semplici, e la polvere nelle pieghe dei cappotti e il grigio della strada e un’amicizia lontana (poche) e tanta avidità e una morte ridicola…. E l’amore? L’amore forse….

 

Non posso più continuare a scrivere. Ma ti prometto, d’ora in poi, di scriverti spesso, spesso, spesso. Scrivimi spesso anche Tu. Scrivimi subito, scrivimi..

     Tuo Paul

 

     /Scrivimi anche l’indirizzo di Onius[4].

     Ha ricevuto la mia cartolina?

     L’indirizzo era giusto?/

 

*

 

2 Gustav Chomed a Paul Celan, Czernowitz, 28.1.1962

 

                                                                                                                      28 – I – 1962

 

Caro Paul!

 

Grazie alla Tua lettera a Tania Sternberg[5] sono venuto a conoscenza del tuo indirizzo. Dopo più di due decenni di separazione, mi ha reso profondamente felice vedere un Tuo segno di vita che arriva direttamente da Te.

 

Siccome però non sono del tutto certo che Tu possa reagire allo stesso modo, questa volta non ti scriverò una lunga lettera. Mi piacerebbe tanto però sapere come te la passi, come vivi e cosa fai e pensi. Un po’ troppo in una volta sola, no?

 

Se vuoi quindi scrivimi. Solo allora anch’io ti scriverò di tutto e risponderò a tutto ciò che ti interessa.

Nell’attesa, comunque, un forte abbraccio dal Tuo vecchio amico

                                                                                                                      Gustav Chomed

 

*

Dalla postfazione di Barbara Wiedemann e Jürgen Köchel, «Rispondi al più presto», elementi di un’inconsueta amicizia.

 

Il carteggio tra Paul Celan e Gustav Chomed è, tra le corrispondenze del poeta, quella che copre il più ampio arco temporale ed è commovente già solo per le due date limite: la prima è il 1938, una lunga lettera di Celan da Tours, uno dei primi documenti epistolari in assoluto, in cui racconta cose molto personali sulla sua situazione di studente alle prime armi. Le ultime sette lettere risalgono invece agli ultimi quattro mesi di vita di Celan, tre di queste sono sue e vi formula anche importanti prese di posizione sulla propria poetica. Un altro momento importante riguarda il 1962, anno in cui i due amici riprendono i contatti e si raccontano le strade così diverse che il destino ha imposto loro. I ripetuti ricoveri di Celan, dovuti in gran parte all’Affaire-Goll e delle accuse di plagio causano una profonda crisi psichica contribuiscono alle prolungate interruzioni di queto dialogo epistolare che termina a inizio aprile del 1970.

 

Di Paul Celan, nato Paul Antschel a Czernowitz, poeta ebreo di lingua tedesca, oggi sappiamo molte cose, dalla scolarizzazione in diversi licei, il suo anno di studi a Tours, l’università a Czernowitz prima e dopo la sua reclusione nei campi di lavoro rumeni, l’uccisione dei genitori in un campo di concentramento tedesco in Ucraina, il suo percorso da Bucarest a Vienna fino a Parigi. Chi era invece Gustav Chomed, chiamato Gustl o Gusti dagli amici, una delle ultime persone con cui Celan si è confidato?

 

Gustav, figlio del sarto da uomo Leon Chomed, ebreo di Czernowitz, è stato compagno di classe di Celan a partire dal 1930. Lo ammirava per la sua bellezza e il suo interesse per la letteratura e per l’arte come raccontò in seguito al biografo di Celan Israel Chalfen. Intorno al 1932 si sviluppò tra i due una stretta amicizia. Si incontravano spesso a casa dei Chomed, alla fine della Töpfergasse, una via in forte pendenza, che in inverno era una perfetta pista per lo slittino. Nel cortile di casa c’era ancora uno dei rari pozzi per l’acqua, che esercitava un fascino particolare sui ragazzi. Mentre Paul Celan dopo aver cambiato liceo, aveva dato l’esame di maturità nel 1938, Gustav Chomed per desiderio del padre aveva lasciato la scuola prima della maturità ed era andato a lavorare in una impresa commerciale. Ma l’amicizia continua anche durante gli anni degli studi di Celan a Tours e a Czernowitz.

 

Note

 

    [1] Dalla fine di novembre PC studiava Medicina a Tours; in precedenza aveva abitato a Parigi presso lo zio Bruno Schrager (1905- 1942?). Era partito per Parigi con il treno (via Cracovia e Berlino) probabilmente nella Notte dei Cristalli (9-10 novembre 1938). Al riguardo si veda la poesia La Contrescarpe (1962, KG 160). Non è chiaro come la lettera, quasi certamente spedita, sia arrivata nel lascito di PC. Parlando con Chalfen GCh ha ricordato una serie di lettere consecutive di PC riguardo alla Francia, che avrebbe chiamato «Ein Wintermärchen» [Una fiaba invernale], ma che non sono state ritrovate.

[2] È di un certo interesse la cancellazione di alcuni passi nell’originale, che mettiamo tra [ ]: “e [il mio cuore] incline ad amare molte cose che prima respingevo, hai capito?: ad amare. E che a un tratto io mi senta [come se dovessi distinguere, ad esempio, l’arte di maneggiare le parole] di poterlo davvero fare, mentre scrivo questo, mi viene in mente che una volta, in realtà, avevo pensato cose simili, per poi “vincere” quei pensieri. [E so anche che le parole che uso qui sono comuni, semplici, in precedenza mi sarei forse vergognato di tale semplicità. Adesso, e soprattutto oggi, non posso fare altro che scrivere in modo semplice] (Fig. 9).

[3] Si determina la densità di un corpo solido, di un liquido.

[4] Soprannome del poeta e traduttore James Immanuel Weißglas (1920-1979), che fu per un periodo compagno di scuola di PC. Il rapporto tra i due è stato variamente descritto come molto stretto e molto difficile; lo stesso Chomed ha parlato a Chalfen di «amore-odio».

[5] Tanja Sternberg (nata Adler, 1920-1994) era una delle persone più vicine a PC a Czernowitz. Originaria della Bessarabia, durante la guerra andò in Russia, lì si sposò e poi tornò a Czernowitz con un figlio. Negli anni Settanta emigrò in Israele, dove è morta. La lettera di PC in francese (!) è del 13.1.1962. Dall’abbozzo della lettera, anch’esso in francese, del 7.1.1962 che si trova nel lascito di Celan, risulta evidente che la sollecitazione a prendere contatto con Tanja Sternberg era arrivata da una parente di PC che viveva a Czernowitz.

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