a cura di Laura Pugno
In questa rubrica, un autore o un’autrice ci consegna le sue quattro parole chiave: un nome (comune o proprio), un verbo, un aggettivo e un avverbio, dal primo o dall’ultimo libro o dall’intero della sua opera.
Oggi risponde Evelina Santangelo.
Nome: L’Impensabile
Ho cominciato ad amare la lettura, non solo letteraria ma anche scientifica, quando ho capito che era un modo per misurarsi con l’impensabile, cioè con tutto quel che metteva in discussione esperienze e verità cristallizzate, ritenute vere perché ordinarie e condivise dai più per abitudine.
Scrivere, per me, è sempre stato un modo di slanciarsi oltre un limite, oltre quella siepe evocata nella poesia «L’infinito» di Giacomo Leopardi, quella siepe appunto che confinerebbe lo sguardo, se non intervenisse la contemplazione capace di stimolare l’immaginazione, nuovi modi di sentire che amplificano l’esperienza, alimentano intuizioni, generano pensieri mai pensati prima.
L’impensabile esige ogni volta un ripensamento delle parole, perché anche le parole hanno confini di senso abitudinario da forzare.
Se la letteratura ha una forza rivoluzionaria ce l’ha proprio per questa sua capacità di scardinare sentimenti della vita e pensieri.
Verbo: Ricominciare
Come sottolinea una delle maggiori poetesse e pensatrici del Novecento, Ingeborg Bachmann, la sfida cui è chiamato uno scrittore o una scrittrice non sta nello scrivere un singolo libro più o meno riuscito, ma nel «progetto», cioè nella capacità di portare avanti un discorso letterario attraverso una serie di libri anche molto diversi tra loro.
Il difficile è insomma ogni volta ricominciare, tornare a inaugurare un nuovo mondo di invenzione in dialogo con ciò che si è già concepito, immaginato, espresso. Per fare questo, ci vuole tenacia, ostinazione, coraggio, una visione complessiva del fare letterario e del senso del proprio gesto.
Aggettivo: Impellente
Ho sempre pensato la scrittura letteraria come espressione di una urgenza, di una necessità interiore.
Se io a un certo punto mi metto a scrivere è perché sento che quello è l’unico modo per dare una qualche forma a una serie di intuizioni, sentimenti, intravisioni, ossessioni e anche rivolte interiori che si sono aggrovigliate dentro e premono per trovare la strada delle parole.
Una tale necessità espressiva, nell’opera compiuta, si sente sottoforma di una sorta di energia, di corrente che attraversa il testo, e lo rende vitale. Perché i libri belli sono come organismi vivi che esigono di venire al mondo.
Avverbio: Verosimilmente
Verosimilmente è il modo in cui accadono le cose in un libro di invenzione.
Puoi raccontare la più incredibile, la più aliena, la più impensabile delle storie ma la sua forza persuasiva starà nel presentarsi a chi legge (e prima ancora a chi la scrive) come verosimile, cioè come dotata della concretezza e sostanza delle cose vere, a prescindere dalla sua corrispondenza con una specifica realtà.
Dire: «tratto da una storia vera» con l’intento di dare un più di valore a un film o a un libro significa, di fatto, tradire la vera natura di quell’opera che è sempre e comunque finzione: una finzione che cerca la verità di relazioni, affetti, dialoghi, pensieri, gesti a partire spesso da realtà anonime e appiattite nel flusso stesso della vita.
Pensate alla vita come un flusso ininterrotto, il corso di un fiume, ecco, la scrittura di invenzione isola un momento di quel flusso e lo mette sotto una lente di ingrandimento che ne ridefinisce in modo più o meno radicale la visione, e dunque la stessa realtà, oppure la scrittura fa ancora di più: immagina del tutto un istante (magari sottoponendolo a un nuovo ordine di leggi inventate) e su quell’immaginazione edifica un mondo talmente concreto che ci si crede, e prima di tutto ci crede chi, quel mondo, lo inventa ovviamente.