di Luigi Trucillo
[Esce oggi per Cronopio Antigone nella città dei pazzi, un poema di Luigi Trucillo, una riscrittura in versi dell’Antigone di Sofocle, ambientata tra le rovine di un antico manicomio di Napoli, il Leonardo Bianchi. Ne presentiamo qui un estratto]
La città dei pazzi
CORO DEI QUATTRO SENZA QUATTRO: Noi siamo i quattro elementi
persi e sprecati dalle accelerazioni della storia,
l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco
cacciati senza più forma altrove,
e ora vaganti per le sfere ctonie
dove il nostro soffio anima i detriti
e dà linfa al mondo.
La tecnica vorace ci dilania a sangue
con gli artigli del vuoto,
scomponendo lo spazio in un altro spazio
dove tutto è irreale,
e il segreto delle vite
vaga per sempre gravido e insepolto,
finendo in pasto ai cani selvaggi
e ai corvi senza corpo.
Il più innocente tra gli uomini
non sa sottrarsi
dall’obbedire a questa legge astratta
che piega il cuore e gli alberi
a un ritmo fulmineo,
mentre espelle il sentire
come un congegno arcaico.
Così noi quattro siamo confinati
aspettando di essere rinchiusi
in una cella invasata e deserta,
dove la sola colpa sarà di sopravvivere
senza abusi e divieti.
ANTIGONE: Chi sono? Dove sono?
E perché semino questo mio barbaglio
tra gli arbusti?
Vago a mezz’aria,
e le mie palpebre
a poco a poco accendono un paesaggio.
CORO: Bentornata Antigone,
ancora risvegliata
dal tonfo della giustizia
che come una meteora sfiora la terra.
Nel sonno, donne e poesie
sono la stessa cosa,
e finalmente Hypnos ti ha allontanato
dalla pelle
il ramo intinto nell’acqua del Lete che deterge.
Anche noi ci risvegliamo nei siti
troppo infestati dal tempestare dei ricordi
o dal lampeggiare dei tramonti,
dove l’intensità permane
come un debito inevaso.
E la festa segreta dei luoghi
sono proprio i fantasmi,
l’implicita marea delle molecole
che abitano i buchi negli spazi
come silenzi aperti
e migrazioni erranti.
ANTIGONE: Mi chiamate Antigone
nel raggio dissolvente della luna…
CORO: Ascoltaci: coloro che dormono
costruiscono l’universo in mille pezzi,
la sorte sfugge,
e noi ti abbiamo vista passare
in tante forme.
Laggiù,
dove le tue gote divenivano farfalle,
la fronte miele,
gli sguardi libellule sospese,
le labbra ibiscus,
e i capelli foglie umide dei fichi
quando il vento notturno le scompiglia.
E ora sei qui,
In questo luogo che non è il tuo luogo
ma un riflesso impigliato dentro un prisma,
con le fugaci fattezze di una lucciola.
ANTIGONE: Sono una lucciola?
Non ho salvato le spalle tornite
e i miei capelli neri
dal rogo infinito della polis?
Tutto mi sfugge.
Per troppa mancanza
nulla mi manca, …
…
Cartella n.40.00
Carmela
Devo lavarmi le mani
ancora e ancora,
come una donna fantasma
scomparsa sotto la sporcizia della pelle,
o una ragazza schiacciata
dal cozzare dei femori.
Quando lui vortica
col suo muso di cavallo
nella doccia
gli strizzo l’acqua dai capelli
ancora e ancora,
come una suora
che sa che nulla cambierà.
Ancora e ancora,
con la mano amputata dalla sigaretta
e un buco scuro dove tuonano
i miei segreti sull’abito da sposa,
il prete che mi tocca,
e i bambini che strillano
davanti a una figura di madonna
odiando un’altra.
…