Idillio, «l’immagine della vita stessa»

di Mariangela Guatteri

 

[Le citazioni da Idillio (Arcipelago Itaca, 2024) sono riportate in una forma spazialmente contratta che potrebbe somigliare a una forma poetica in versi. Si tratta invece di vere e proprie ricostruzioni ai fini dell’analisi: sono rispettate le interruzioni di riga e le interruzioni di pagina sono segnalate con un salto di paragrafo.]

 

Il fragile palpitare degli

insetti

 

che danno nella scena del giorno

 

in intimità con uno schema

di foglie

 

come una nuova formula dell’esperienza,

 

gli ortaggi da

cespo,

 

le orticole da frutto,

 

le piante da radice

 

come cospetti e

asili insospettati.

 

Sono grata a Renata Morresi, che dirige la collana Lacustrine per le edizioni Arcipelago itaca, di aver reso pubblico questo libro, che ha un formato ampio e molte pagine di cui la metà sono completamente bianche. Nessuna è numerata.

In Idillio mi pare che ci sia l’impronta di un lavoro dell’Autore su di sé, ed è un lavoro anche per il lettore. Non si tratta di una pratica d’introspezione ma di trasformazione del proprio sguardo al fine di liberarsi da ogni gabbia di pregiudizio per essere «tutto ciò che / accade in ogni cosa…». Questa ricerca informa la scrittura del libro, ed è una sorta di meditazione sulla «sensazione dell’accadere», una ricerca di rinascita, fondata sulla dissidenza da sé stessi giocata all’interno di una continua ipotesi:

 

al raggio dei fuochi

 

o sotto il plenilunio alla ventata

 

della notte,

 

estenderebbe irresistibilmente la sua ronda

 

di là dalle

serre esterne

 

– al passare degli anni non saprebbe se per sempre,

 

e

senza assuefazioni –,

 

fuori da questa scatola dioramica,

 

[…]

 

Si domanderebbe quanto

 

quell’esistenza sarebbe vivace,

 

quale ampiezza di contenuto avrebbero lì

 

la direzione dello sguardo,

 

la vicenda di ogni istante,

 

il viaggio nella specie futura?

 

Sarebbe

in condizione di non ingannarsi

 

e rendere perspicua

 

la propria

presenza nel mondo,

 

di vedere il proprio rapporto con le persone

 

diventare più ricco di significato,

 

prima di accomodarsi a un lieto

fine?

 

Alessandro Broggi visualizza una possibilità di realizzare ciò; si è portati a credere che la stato idilliaco è vissuto in prima persona in quanto questo continuo domandarsi dell’Autore non è auto-riflessivo ma rivolto alle possibilità di una lei, di un tu/voi; a meno che non si stia rivolgendo alla propria anima, all’effimera farfalla che dimora nell’essere umano, nell’intento di farla posare.

 

Riuscirebbe

 

a crederci fino in fondo?

 

Chissa…

 

Dov’è andata?…

 

Dove va?

 

Che senso hanno queste parole?…

 

Il libro termina così: un punto interrogativo e i puntini di sospensione. Vago, antitetico rispetto al linguaggio delle parole; è una tensione che si distende. La sensazione è che tutto il testo prenda la sua forza propulsiva da un’iniziale espressione di volontà, una tensione necessaria affinché, dopo, possa realizzarsi una distensione:

 

Nei limiti dell’economia linguistica

 

col piglio della parità con il

mondo,

 

di transito,

 

fra assolate traverse espressive,

 

lungo le vasche

degli orti

 

e dentro l’orizzonte degli eventi…

 

Riempire le designa-

zioni di dati intuitivi,

 

scoprire connessioni

 

e rubricarne i concorsi,

 

condividere aria e tempo

 

e avere la sensazione dell’accadere:

 

di che

cosa vorrà parlarmi

 

in questo caso?

 

Ciò che si affacciava solamente nei due libri precedenti, in Noi e poi in (usciti per le edizioni Tic), ora è emerso del tutto: Broggi si sta seriamente predisponendo allo sguardo inintenzionato, all’epochè, nel senso della sospensione del giudizio o di ciò che si crede a riguardo delle cose del mondo, degli oggetti di cui si fa esperienza sempre nello stesso modo. La sua postura è riflessiva, tendente alla riduzione fenomenologica o al superamento fenomenologico della dialettica dualista per sottrazione: «Nei limiti dell’economia linguistica», come si legge nella prima pagina, per trovare una convergenza nel«l’immagine della vita stessa». Non potrebbe essere altrimenti, visto che tale posizione riflessiva è assolutamente necessaria per osservare la propria esperienza cosciente. È la posizione e la ricerca della meditazione e della filosofia. Non c’è alcuna separazione tra ciò che si ricerca e chi ricerca, tra l’Autore e l’essere umano che scrive. In tale condizione si tende a realizzare la propria rinascita, un’apertura totale, una radicale liberazione. La ricerca ha migliaia di anni e c’è chi ha toccato realmente un diverso stato di coscienza, una libertà interiore. Non si tratta di casi fortuiti.

 

Senza spingersi oltre, in territori filosofici specifici, Idillio mi appare, rispetto ai due precedenti libri, meno manualistico; esprime meno preoccupazione di chiarire ciò a cui tende. Aprendolo, nel suo formato ampio e con lo spazio bianco assai maggiore del nero tipografico, dà alla mente la possibilità di aprirsi anch’essa, diventare ricettiva. Le parole si articolano su un massimo di due righe ma non galleggiano, sono ferme e molto precise; ogni pagina non è una pagina, è uno spazio meditativo.

Si può leggere il libro in vari modi, e questo fatto mi sembra molto importante perché offre al lettore la possibilità di fare delle scoperte. Ho pensato di suddividere i modi di lettura secondo parametri temporali; infine è il Tempo («e dentro l’orizzonte degli eventi…», là dove Spazio e Tempo non sono tali) il protagonista di Idillio:

 

I. In pochi secondi: sfogliandolo velocemente tra il polpastrello del pollice, dall’inizio alla fine e dalla fine all’inizio, come per vederne l’animazione; il testo appare infatti solo nelle pagine a destra. Si scopre facilmente che la disposizione del testo nelle pagine crea un movimento a onda, dall’alto verso il basso, verso l’alto, verso il basso… Concettualmente non ha soluzione di continuità. Questo movimento crea onde di probabilità, come onde marine, e sono impensabili in sé stesse in quanto oggetto: pensiamo all’onda, quando esiste, non è separata dal mare.

 

II. In alcuni minuti: possiamo leggere giusto il tempo di scorrere il rigo o le due righe e voltare subito pagina, dimenticandoci dello spazio bianco, focalizzandoci sul segno nero in modalità prima-dopo, parola dopo parola, frase dopo frase, sulla linea del tempo e nello spazio ridotto all’unica dimensione della linea, dove è necessario trovare un modo per non impazzire e non patire questa riduzione dimensionale: forse è quello di andare avanti, nel desiderio-certezza di un’apertura risolutiva? Ecco, ne nascerebbe una narrazione e siamo nel Tempo.

 

III. In un tempo lungo: si può leggere Idillio soffermandosi su ogni pagina, come lo si può fare su ogni verso di una lirica. Qui non c’è però un suono, un tempo legato a una voce, l’eco di un verso precedente. Saremmo ancora nel Tempo, nell’attesa di una risonanza. Il testo di Broggi pare riuscire a emanciparsi da ciò creando una spazialità meditativa in cui la risonanza è nel bianco della pagina, nel non-scritto.

 

IV. In un istante: così il libro raggiunge la sua massima tensione e il suo massimo scioglimento: «Che senso hanno queste parole?…», è l’ultima frase del libro, è una domanda con i puntini di sospensione. Ci sono forse altre domande? Nel contesto di un libro, posta alla fine, mi pare una domanda già molto estrema; non è ironica, non è provocatoria. Forse i puntini dicono che c’è dell’altro, un altro stato di coscienza in cui questa domanda è del tutto irrilevante. Leggere il libro in un istante è una condizione in cui:

 

Non una diver-

sione,

 

l’immagine della vita stessa,

 

dacché si sarebbe tutto ciò che

accade in ogni cosa…

 

e allora anche tutto ciò che accade nel bianco delle pagine del libro. Qui non si tratta tanto di accostare le parole a un’esperienza corporea ma di accenderle in una dimensione amorosa che fa piazza pulita del noto, dell’atteso, del significato proiettato sul senso ampio e integrale dell’esistenza.

 

Riuscirebbe

 

a crederci fino in fondo?

 

Chissà?…

 

Dov’è andata?…

 

Dove va?

 

In una lettura istantanea, la forma interrogativa e al condizionale si annullerebbe nell’istante stesso: nessuna ipotesi, nessun prima da ricordare, nessun dopo da attendere, ma ogni istante da vivere.

 

senonché le cose vanno sfumando

 

e si scompongono nella

realtà,

 

se c’è ancora un destino.

 

Ogni istante da vivere, senza distrazione, di transito.

 

 

[Immagine: Richard Misrach, Hydrofoil Surfer #2, Hawaii2022].

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *