di Tommaso Soldini
Sputerò sulle vostre tombe è il primo romanzo che Claudia Tarolo mi abbia mai regalato. Ricordo bene il giorno in cui per la prima volta dovetti varcare la soglia di via Piranesi, un contratto in tasca, firmato sul tavolo di sasso in un grotto al confine tra canton Ticino e Grigioni italiano. Lei che mi guardava a fondo, con quei suoi occhi color natura, vestita come una copertina della Marcos, sgargiante e classica, prima che un temporale quasi estivo ci costringesse a tirarci sotto un tendone, a finire il vino. Credo che fumai due sigarette, camminando avanti e indietro, tra la casa editrice e i Frigoriferi milanesi, incurante del ritardo che si accumulava. Tutto mi pareva grande, grigio. Infine suonai, come avevo sempre saputo, ed entrai, subito avvolto in un calore che abbracciava ogni stanza, che rimpallava da un muro a un altro, da Marco a Roberta, a Silvia, e che mi piace pensare provenisse dallo studio più alto, quello in cui Claudia ti metteva seduto, apriva la sua cartella, ti faceva sentire in cima al mondo e ai piedi della scala. Io credo sia per questo che lei abbia scelto il romanzo di Boris Vian. Scrivo questo e subito mi vengono almeno tre ragioni: lo amava molto, amava lo scrittore, il paroliere, il trombettista. Mentre me ne parlava, con quella gioia diritta che solo lei, organizzava le parole in modo da confondermi, perché Claudia conosceva personalmente Boris Vian, aveva assistito ai suoi concerti, era stata da lui inseguita per le strade di Parigi, gli aveva fornito l’idea di scombinare tutto, inventarsi Vernon Sullivan, fingersi un negro americano che fa fuori tutti, dentro e fuori il romanzo, per vendetta e perché la letteratura deve tenersi stretta la possibilità di sputare su tutto ciò che è acquisito, istituzionalizzato, giusto come un politicamente corretto qualsiasi. La seconda ragione che mi viene in mente è che per lei il rapporto con la letteratura era e sapeva essere in crescita. Un buon libro ne chiama un altro, allarga i confini della curiosità; è questo uno dei segreti più intimi della cultura, che è, come lo sconforto quando se ne va una persona importante, infinito in vertigine. Sputerò sulle vostre tombe ha davvero dilatato il mio modo di pensare la scrittura, di viverla. E da allora, accanto ai rimproveri perché non scrivo abbastanza, in Claudia ho sempre scoperto una persona che sapeva ritagliarsi il tempo per leggere anche ciò che non pubblicava, o che scartava. È questo il significato, credo, del superlativo che molti accostano a lei, lettrice voracissima, proprio perché il gusto che la muoveva era in continua ebollizione, in perenne incontro-scontro con ciò che era, è, sarà. I discorsi con lei su valore di questo o quel romanzo, sull’evoluzione di un autore, non saranno le cose che mi mancheranno di più, eppure, già da sole, quelle discussioni durante le quali ti guardava con gli occhi di tasso barbasso, basterebbero a spiegare quanto ti inondava di luce. La terza ragione era che Boris Vian, e forse qui pecco di sognatoria, ci univa. Timido e spericolato. Perché lei gestiva mi pare le scelte editoriali come quella volta che, tornando da una passeggiata in montagna, in quelli che dovevano essere posti miei, presi tutto d’un tratto a sinistra, lasciando il sentiero per farle vedere non so più che cosa. E finimmo in mezzo ai faggi, alle betulle, scambiando le piste per sentieri, posando i piedi con cautela sui mucchi di foglie, tra i rami caduti. Tutto quel camminare, andare a valle, tornare sulle vie cementate, lo ricordo però come un viaggio in un libro di Tibor Fischer, altro autore che Claudia amava molto. E allora me la voglio ricordare così, in questi giorni caratterizzati dalla fatica del distacco, dal senso dell’ingiustizia che solo la morte e la povertà sanno trasmettere, sgambettante tra i boschi, come a casa, incurante del destino, anzi, forse un po’ annoiata all’idea di ritrovare le vie maestre. E intanto tutta dentro un libro, aggrovigliata tra le piante, le vicende, la storia di un autore di cui raccontava le stranezze più vicine a te. Gettava luce su ciò che univa, Claudia, Spaccacuori, piena di grazia.
[Immagine: Opera di Luca Mengoni].