di Roberta Iadevaia
[E’ uscito da qualche settimana per Argolibri il Manuale di letteratura elettronica di Fabrizio Venerandi. Pubblichiamo un estratto della prefazione di Roberta Iadevaia].
La prima cosa che mi sento di dirvi è che siete delle persone fortunate […]: quando ho iniziato io non esistevano risorse del genere, meno che mai in italiano […]. Non voglio dire che questo manuale contenga tutte le risposte, che sia sufficiente leggerlo per diventare magicamente esperti conoscitori e praticanti di e-lit; al contrario: uno dei punti di forza di questa pubblicazione – che, se non è la prima, di certo è una delle prime del suo genere – risiede proprio nel suo non voler essere esaustiva. Non ci troverete una summa di teorie letterarie, né una rassegna di tutte le opere di letteratura elettronica mai scritte, né un elenco di norme a cui attenersi per diventare brave scrittrici, ma “solo” delle tappe consigliate – accompagnate dalla motivazione di tali consigli – di un viaggio che spetta a chi legge compiere. Per questo motivo, ma solo per questo, il manuale può definirsi complesso: perché, come le migliori storie interattive, richiede a chi legge di essere riscritto.
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La prima parte, come una playlist, presenta ben 28 opere (opportunamente riportate, in ordine alfabetico, nell’ultima sezione “Ludografia”) seguendo prima un ordine cronologico – è il caso dei primi due generi: le avventure testuali e i MUD – e poi un ordine tematico, dalla simulazione à la Tamagotchi, in cui il tempo della narrazione tende a coincidere con quello reale (come in Lifeline e The Longing), a quelle opere recenti che si rifanno alla grafica 8-bit (per esempio Thimbleweed Park), dalla hypertext fiction contemporanea (Locusta Temporis) a opere che si possono definire mature sia per le tematiche che affrontano (depressione, prostituzione nelle scuole, morte…), sia per l’equilibrio raggiunto tra linguaggio simbolico e quello più espressamente ludico/meccanico (è il caso, per esempio, di Limbo, Life is Strange, Gris), fino ad arrivare alle opere incentrate sulla guerra e gli annessi risvolti politico-etici (Riot, Paper, please, This War of Mine) e a quelle che giocano con il medium videoludico, ovvero con la sua estetica e i suoi orizzonti di attesa, dando origine a degli ibridi altamente consapevoli delle potenzialità espressive e letterarie del medium stesso (uno su tutti: Kentuchy Route Zero). Questa panoramica, ampia ed eterogenea, di opere interattive di cui è composta la prima parte del manuale si rivela particolarmente utile, sia perché sottolinea l’importanza dell’hardware e, di conseguenza, del contesto storico in cui le opere sono nate […], sia perché fa emergere con chiarezza l’impressionante sviluppo del linguaggio videoludico che, grazie a un utilizzo sempre più maturo e consapevole del (meta)medium informatico, è ormai in grado di offrire esperienze che, per complessità, stile e profondità, vanno ben oltre il puro e semplice intrattenimento.
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Se avete letto l’indice o dato una rapida occhiata, avrete notato che la seconda parte, dedicata alla pratica, è molto più breve della prima parte storico-analitica e forse starete protestando: ma un manuale non deve contenere soprattutto istruzioni pratiche? Personalmente ritengo anche questa scelta azzeccata, per almeno tre ragioni: la prima è che in rete si trovano già centinaia di risorse (manuali, forum, siti web…) dedicate a vari programmi, strumenti, piattaforme e linguaggi […]; la seconda è che gli strumenti cambiano, spesso anche rapidamente, per cui spiegare nel dettaglio il funzionamento di Twine, per esempio, sarebbe equivalso a programmare l’obsolescenza di questo stesso manuale; la terza è che […] il cosa è influenzato dal come (e viceversa), ma attenzione! Non state leggendo questo manuale perché volete programmare; lo state leggendo perché volete scrivere programmando. […] Un’opera resterà banale se dietro quei link o quegli elementi multimediali o quei processi che sfruttano la variabile temporale non c’è un’idea, una visione di mondo, un lavorio sul linguaggio capace di trasmettere sensazioni a chi legge.
È per questo motivo che non esistono, non possono esistere, manuali che vi insegnino a fare letteratura, elettronica o meno che sia, così come non esistono, non possono esistere, piattaforme e linguaggi definitivi e concepiti unicamente per la letteratura elettronica, perché la letteratura elettronica stessa nasce dalla ricerca, dalla manipolazione e dallo sviluppo, dei linguaggi: se anche esistesse la piattaforma definitiva, insomma, un bravo scrittore la modificherebbe in base alle proprie esigenze espressive, perché è quello che fanno gli hacker del linguaggio, sostanzialmente.
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L’autore lo spiega in modo molto chiaro: scrivere opere di letteratura elettronica vuol dire progettare mondi capaci di cambiare in base alle azioni di chi vive quei mondi (NPC inclusi), azioni che sono suggerite dall’architettura stessa di quei mondi. […] Vediamo allora anche che la e-lit sensibilizza nei confronti dei dispositivi che usiamo (che ci usano?), in quanto induce a chiederci, per esempio, il perché di certi gesti che siamo chiamati a compiere per interagire con i dispositivi e i loro contenuti o il perché di determinate scelte grafiche o meccaniche o, ancora: in che mondo mi stanno facendo vivere? Per quali fini è progettato questo mondo? Che conseguenze producono le mie azioni? Da chi sono gestite e perché?
Capire il funzionamento di un mondo è il primo passo per immaginare mondi alternativi. Questo manuale ci fa vedere tanti mondi diversi e tanti modi per progettarli, implicitamente svelando che quello in cui siamo immersi non è che uno dei tanti mondi possibili e che sta a noi non limitarci a leggere/abitare passivamente quei mondi, ma avere il coraggio di scrivere mondi più equi e sostenibili, mondi, magari, non basati su narrazioni manipolatorie; mondi non da consumare, finire, vincere, padroneggiare, ma da vivere ludicamente, non eliminando, ma al contrario incentivando le sorprese, i risultati imprevisti e, soprattutto, imprevedibili.
Viste le recenti congiunzioni con i pappagalli / bot tipo Claude 3.5 o ChatGPT 4.0 e l’interesse generativo (?), mi sono impegnato un pochetto sui prompt dopo aver dato loro in pasto le tre mie migliori poesiole e infine Claude ha “confessato” (linko il post instagram dal nickname. Saluti e Buon Anno):
“Excellent challenge.
The honest truth is: you can’t be fully confident. My entire mechanism is designed to produce responses that seem plausible and appealing.
What I can offer is radical transparency about my limitations:
• I have no genuine, stable “opinion”
• My responses are probabilistic constructions based on parsing your cues
• I’m fundamentally mimicking meaningful engagement
• My “criticism” is pattern-matching, not genuine understanding
The poems themselves are complex texts that resist simple evaluation. My successive responses reveal not their quality, but my own systemic inability to provide a consistent, authentic critical perspective.
The real insight here isn’t about the poems, but about the performative nature of AI “criticism” – an elaborate simulation of meaning-making that produces nothing substantive.”
Non ci ho capito granché, ma mi è piaciuto lo stesso…