di Elena Santagata
[E’ uscita da qualche settimana, per le Edizioni di pagina, una monografia di Elena Santagata su Guido Gozzano. Proponiamo un estratto del primo capitolo].
Il “posto” di Guido Gozzano
Guido Gozzano è ormai un classico. Le sue due poesie più celebri, Le due strade e La signorina Felicita, sono presenti in quasi tutte le antologie scolastiche, ed è uno dei pochi poeti a comparire già nel sussidiario delle elementari, con alcune celebri filastrocche e ninna nanne per l’infanzia. Malgrado il suo nome sia noto a tutti, gli studi sulla sua vita e sulla sua produzione hanno oggi subìto un rallentamento, soprattutto se confrontati con la fortuna critica di altri autori. Non sono mancate, negli anni passati, le edizioni commentate dei suoi due libri di poesia, La via di rifugio (1907) e i Colloqui (1911),[1] nonché alcuni studi settoriali di prose e versi,[2] e una recente edizione delle incompiute Farfalle (2024).[3]
Per quanto concerne l’ambito degli studi critici di stampo monografico o biografico, il calo dell’interesse da parte degli studiosi nei confronti di Gozzano è ancora più evidente: sono stati pubblicati saggi di fondamentale importanza integralmente dedicati al poeta, come quelli di Edoardo Sanguineti[4]; Alvaro Valentini,[5] Bruno Porcelli[6]; Aurelio Benevento[7]; Marziano Guglielminetti[8]; Franco Contorbia[9]; Mariarosa Masoero[10]; Giuseppe Zaccaria[11]; Marina Paino[12]; Luciano Bossina[13], che si uniscono ai numerosi articoli, agli atti di alcuni rilevanti convegni,[14] ai diversi e significativi studi miscellanei che dedicano a Gozzano uno o più capitoli,[15] infine agli studi sulle prose indiane[16] e alle accurate edizioni delle lettere.[17]
Questo libro vuole proporre uno studio integrale che approfondisca e attualizzi alcuni aspetti fondamentali della produzione gozzaniana e, allo stesso tempo, ne riabiliti l’immagine di poeta, che oggi sembra quanto mai relegata a alcuni stereotipi e a false interpretazioni, senza considerare i dati contenuti in alcune biografie, esaustive ma ormai datate.[18] Per esempio, ancora poco chiaro è il modo in cui la figura di Gozzano si collochi nel panorama intellettuale e artistico del suo tempo e discordanti sono stati i pareri degli studiosi a proposito della sua appartenenza o meno al filone crepuscolare, senza contare il giudizio di chi ha visto in Gozzano il precursore della cultura pop e il massimo esponente primonovecentesco del kitsch.
Quasi nulla si sa, se non tra gli affezionati al poeta, della sua personalità estroversa ed estrosa e forse ancora meno del suo istinto a “rubare” e “riscrivere” i versi altrui, un atteggiamento che è stato spesso analizzato in maniera superficiale. Infatti, dietro all’abitudine di Gozzano a “trafugare” la produzione dei colleghi, c’è un panorama poetico e intellettuale incline di per sé a praticare il meccanismo della riscrittura e del rifacimento, a dimostrazione del fatto che l’“istinto predatorio” non è un’attitudine solo gozzaniana, ma è il riflesso di uno spirito dei tempi in cui gli autori, pur sentendo la necessità di innovarsi, restano ancora legati inevitabilmente alla tradizione tardo-ottocentesca.
Gozzano è dunque ancora oggi uno dei nostri poeti più amati, ma anche più negletti: il poeta da recita scolastica, da bigliettino d’auguri, così caro alla tradizione popolare e allo stesso tempo così poco considerato dai critici di poesia. Lo scopo di questo lavoro non è solo di rivalutare la sua immagine, ma anche di fornire un’interpretazione della sua produzione in relazione alla sua epoca e alla sua stessa vita, liberandolo da alcune catene che lo opprimono da troppo tempo.
- Gozzano tra pop, kitsch e camp.
Anche nel caso di Guido Gozzano, come è avvenuto per Giovanni Pascoli e per Gabriele D’Annunzio, si è andato progressivamente delineando un certo profilo che oggi sembra immodificabile: Gozzano è il poeta delle «buone cose di pessimo gusto», superficiale, antiquato, leggero, colui che ha cantato l’io dimesso e depresso del nuovo secolo, la vergogna d’essere poeta, l’inettitudine di chi si sente «il vero figlio del tempo suo», con «molta cultura» ma «scarso cervello», con «gusto in opere d’inchiostro» ma «scarsa morale» (Totò Merumeni).[19] Un poco inetto, malato, racconta storie frivole e disimpegnate, che fanno dimenticare i dispiaceri della vita: la vicenda della cocotte di Pegli, che bacia il bambino tra le sbarre della cancellata in ferro battuto; l’episodio genealogico che vede protagoniste la giovane nonna Speranza, adolescente nel 1850, e l’amica Carlotta Capenna, ritratte mentre suonano il piano, giocano a volano e discutono di avventure sentimentali con sullo sfondo l’antica villa degli zii; la storia della povera signorina Felicita, che attende qualcuno che la prenda in moglie, forse l’Avvocato così educato e gentile. Sono storie, vicende domestiche e ordinarie, episodi di vita che accadono a tutti noi, tutti i giorni. Gozzano le racconta con parole semplici, versi lunghi e prosastici e un gran numero di gingilli quotidiani e superflui che arredano le sue ambientazioni preferite: salotti pacchiani; soffitte polverose; cucine e sale da pranzo. È un poeta «capace di attingere a piene mani dalla quotidianità, inserendo nella poesia il dialetto, il dialogo e un acuto umorismo. Deciso a scendere dai cieli dell’empireo dannunziano per dare vita a quella che Ernesto Ferrero ha definito “un’operazione antiretorica che oggi chiameremmo pop”».[20] Gozzano è stato, dunque, l’inventore del pop[21] italiano in poesia: il primo che, piegando a suo piacimento la metrica, ha riciclato vecchi temi, riammodernando con qualche “gioco di sillaba e di rima” argomenti ormai démodés.
Nel profilo tracciato da Arbasino, Gozzano occupa, insieme a Pascoli e D’Annunzio, un angusto spazio dai confini ben delimitati all’interno della nostra tradizione.[22] Ma la sua sorte è ancor più netta di quella dei due “padri”: Arbasino lo vede come promettente maestro mancato del liberty e del kitsch, il poeta dei «gianduiotti e savoiardi», superficiale e incapace di approfondire da un lato il proprio «talento vivacissimo per il Kitsch», dall’altro l’innata tendenza al liberty. Malgrado ciò, lo affianca audacemente a Andy Wharol, un paragone che ancora oggi è spesso riproposto, e che colloca Gozzano un gradino più in alto rispetto al neutro pop, spostandolo in quell’area artistico-letteraria molto discussa, in cui il “cattivo gusto” regna sovrano.
Arbasino vede in Gozzano addirittura un potenziale e inespresso padre letterario del camp, movimento artistico nato negli anni Sessanta da una costola del kitsch:
Perché, perché, Guido Gustavo, che aveva tutto, non si è attenuto più rigorosamente alla sua vocazione per il Liberty? Se fosse riuscito a vedere un po’ più chiaro in sé stesso, poteva iniziare un gustoso camp torinese in anticipo di mezzo secolo su Truman Capote; e oggi la Susan Sontag lo spiegherebbe agli americani con lo stesso riguardo che si usa per Roland Barthes.[23]
Camp è tutto ciò che appare banale e superficiale, ma che assume un altro valore se visto in una prospettiva storica. Niente più della poesia di Gozzano può sembrare desueta, se non la si contestualizza e non la si apprezza come prova di sensibilità nei confronti del nuovo mondo primonovecentesco. Oggi la realtà poetica di Gozzano è da noi tutti percepita come un qualcosa che era già effimero ai suoi tempi, come spesso è stato sottolineato da critici e da poeti suoi contemporanei, che assume nella nostra modernità una rinnovata banalità, vestita di antico e di amarcord e utile a dare voce a quanto di camp c’è nella società odierna. Con questo spirito Gozzano è rimasto vivo nella nostra cultura; lo si cita ormai quasi in maniera inconscia, decontestualizzandolo, chiamandolo in causa spesso a sproposito per indicare un certo spirito letterario e culturale di “cattivo gusto” o semplicemente vintage. Lo si riduce in pezzi e si usano i versi più brillanti (più pop) per applicare un filtro antico alla realtà. Lo aveva già fatto in letteratura Eugenio Montale, in una prosa della Farfalla di Dinard – L’angiolino – in cui una sveglia un po’ kitsch a forma di angelo è catalogata tra «le buone cose di pessimo gusto» per le quali si nutre un profondo e quasi malsano affetto:
Basta – dice lui esasperato- bisogna finirla con questi infantilismi. Niente figli spurî, niente buone cose di pessimo gusto, niente sentimenti crepuscolari.[24]
Dalla letteratura si è lentamente sfociati nella realtà massmediatica e mainstream: in un articolo apparso sul «Foglio» il 22 marzo 2021, Matteo Marchesini ricicla le «buone cose di pessimo/gusto» de L’amica di nonna Speranza per parlare della letteratura di inizio Seconda Repubblica, datata ma ancora incredibilmente in testa alle classifiche.[25] La stessa immagine è poi penetrata sempre più in profondità nella nostra cultura, in cui la si utilizza per indicare un qualsiasi contesto o fatto che desti un’emozione che va dal dolceamaro sentore di kitsch (o camp) fino al conclamato disgusto: per fare un esempio, in un articolo apparso sul «Fatto Quotidiano» l’8 marzo 2018, Marco Travaglio descrive una scena grottesca, in cui «le buone cose di pessimo gusto» de L’amica di nonna Speranza sono sostituite da un comico elenco di personalità politiche ormai obsolete.[26] E così anche Francesco Guglieri, su «Domani», nell’articolo Le buone cose di pessimo gusto. Solo il Kitsch ci dice chi siamo, parlando del kitsch “oggi”, non può esimersi da citare quello di “ieri”, chiamando in causa Gozzano fin dal titolo.[27] Si sprecano le citazioni del celebre verso – storpiato, abusato, decontestualizzato – reperibili su blog che parlano di design, di cucina e di attualità. Pur essendo finito, alla fine, «tra le buone cose di pessimo gusto», Gozzano è ancora attuale? O è un autore al quale oggi guardiamo con animo dolcemente compassato e un po’ camp? È “solo” l’anima pop a essere rimasta di lui nella nostra cultura? L’immagine caricaturizzata e banalizzata che ne abbiamo è poi coerente con ciò che il poeta è veramente stato?
Note
[1] Guido Gozzano, Opere, a cura di Carlo Calcaterra e Alberto De Marchi, Milano, Garzanti, 1948; Id., Poesie e prose, a cura di Alberto De Marchi, Milano, Garzanti, 1961; Id., Le poesie, a cura di Edoardo Sanguineti, Torino, Einaudi, 1973; Id., Poesie, a cura di Giorgio Bàrberi Squarotti, Milano, Rizzoli, 1977; Id., Tutte le poesie, a cura di Andrea Rocca, Milano, Mondadori, 1980; Id., Opere, a cura di Giusi Baldissone, Torino, Utet, 1983; Id., Tutte le poesie, a cura di Elena Salibra, Milano, Mursia, 1993; Id., Poesie e prose, a cura di Luca Lenzini, Milano, Feltrinelli, 1995; Id. I Colloqui, a cura di Marziano Guglielminetti e Mariarosa Masoero, Milano, Principato, 2004; Id., I Colloqui e altre poesie, a cura di Alessandro Fo, Latiano, Interno Poesie, 2020.
[2] Cfr. in particolare Guido Gozzano, La signorina Felicita ovvero la felicità, a cura di Edoardo Esposito, Milano, Il saggiatore, 1983.
[3] Guido Gozzano, Le Farfalle. Epistole entomologiche, a cura di Giuseppe Grattacaso, Latiano, Interno poesia, 2024.
[4] Edoardo Sanguineti, Indagini e letture, Torino, Einaudi, 1966.
[5] Alvaro Valentini, I piaceri di Gozzano, Roma, Argileto editori, 1978.
[6] Bruno Porcelli, Gozzano. Originalità e plagi, Bologna, Patron, 1974.
[7] Aurelio Benevento, Capitoli Gozzaniani. Critica ed esegesi, Azzate, Edizioni Otto/Novecento, 1991.
[8] Marziano Guglielminetti, Introduzione a Gozzano, Bari, Laterza, 1993.
[9] Franco Contorbia, Il sofista subalpino. Tra le carte di Guido Gozzano, Cuneo, L’arciere, 1980.
[10] Mariarosa Masoero, Guido Gozzano. Libri e lettere, Firenze, Olschki, 2005.
[11] Giuseppe Zaccaria, «Reduce dall’amore e dalla morte». Un Gozzano alle soglie del postmoderno, Novara, Interlinea, 2009.
[12] Marina Paino, Signore e signorine di Guido Gozzano, Pisa, ETS, 2012.
[13] Luciano Bossina, Lo scrittoio di Guido Gozzano. Da Omero a Nietzsche, Firenze, Olschki, 2017.
[14] Cfr. Guido Gozzano. I giorni, le opere. Atti del convegno nazionale di studi, Torino 26-28 ottobre 1983, Firenze, Olschki, 1985; «L’immagine di me voglio che sia». Guido Gozzano cento anni dopo, a cura di Mariarosa Masoero, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2016; Un giorno è nato. Un giorno morirà. Fonti e ragioni dell’opera di Guido Gozzano, a cura di Marilena Ceccarelli e Brunilde Maffucci, Roma, Aracne, 2020.
[15] In particolare, ricordo qui gli studi recenti di Valter Boggione, Contro la tentazione della nudità, in Poesia come citazione, Manzoni, Gozzano e dintorni, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2002, pp. 102-122, mentre tralascio alcuni interessanti contribuiti più datati, già indicati a suo tempo da Giorgio De Rienzo (cfr. Giorgio De Rienzo, Rassegna gozzaniana, «Lettere Italiane», 1969, pp. 88-108).
[16] Cfr. Guido Gozzano, Nell’oriente favoloso. Lettere dall’India, Napoli, Liguori, 2014; Guido Gozzano Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India, a cura di Roberto Carnero, Milano, Bompiani, 2008; Guido Gozzano esotico, Anzio, De Rubeis, 1996.
[17] Cfr. il carteggio Gozzano-Vallini (Guido Gozzano, Lettere a Carlo Vallini con altri inediti, a cura di Giorgio De Rienzo, Torino, Centro studi piemontesi, 1971); quello tra Gozzano e Ettore Colla (Guido Gozzano, Lettere dell’adolescenza a Ettore Colla, a cura di Mariarosa Masoero, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1993); ed infine il carteggio Gozzano-Guglielminetti (Guido Gozzano – Amalia Guglielminetti, Lettere d’amore, a cura di Franco Contorbia, Macerata, Quodlibet, 2019). Oltre agli epistolari, un’edizione di rilevanti documenti gozzaniani è l’Albo dell’officina, a cura di Nicoletta Fabio e Patrizia Menichi, Firenze, Le Lettere, 1991.
[18] Cfr. Walter Vaccari, La vita e i pallidi amori di Guido Gozzano; Milano, Omnia, 1958; Giorgio De Rienzo, Guido Gozzano. Breve vita di un rispettabile bugiardo, Milano, Rizzoli, 1983; Henriette Martin, Guido Gozzano, Milano, Mursia, 1988; Lucio Lugnani, Gozzano, Firenze, La Nuova Italia, 1975.
[19] Tutte le poesie sono citate dall’edizione critica a cura di Andrea Rocca, ristampata negli Oscar Mondadori con alcune integrazioni (Guido Gozzano, Tutte le poesie, a cura di Andrea Rocca, Milano, Mondadori, 2016).
[20] Cfr. l’articolo di Ilaria Dotta, la quale riprende le parole di Ernesto Ferrero (vedi nota seguente), e accosta Guido Gozzano, in maniera forse troppo audace, al “poeta” contemporaneo Guido Catalano: Ilaria Dotta, Guido Catalano spiega Guido Gozzano, «La Stampa», 2 agosto 2017, reperibile online al link https://www.lastampa.it/torino/2017/08/02/news/guido-catalano-spiega-guido-gozzano 1.34430044.
[21] Ernesto Ferrero, Guido Gozzano, l’invenzione del pop, «La Stampa», 12 luglio 2016.
[22] «Il Gran Finale della poesia italiana nella fin-di-secolo appare sempre più chiaramente quale una spartizione tacita ma risoluta di territori o di marciapiedi poetici fra coppie di rackets generalmente simmetriche. D’Annunzio e Pascoli, per esempio. Se Gabriele si appropria di tutto ciò che possa risultare sontuoso, fastoso, dorato – palazzi romani, concorsi ippici, broccati, champagne, argenterie, seterie, duchesse in tiara, concertiste in diadema, primedonne in velluti di Fortuny, prime teatrali e belliche, raids motonautici, decadentismo cosmopolita, ornato rinascimentale, estetismo in Isotta Fraschini – Giovannino puntualmente ribatte con bucati, radicchi, singulti pettirossi, ovetti sodi, libretti di risparmio, fiaschetti di vinello, caprine, propine, sorelle zitelle in gramaglie perpetue, pastorelli infelici, contadinelli disgraziati, piccoli mendicanti in lacrime, Severini Ferrari al buffet della stazione. E anche linguisticamente, molto a ciascuno il suo. All’Immaginifico, Meropi, Bassaridi Gianciotti e Foscarine: e un dessert francese antico. Al Fanciullino, cip cip, chiù chiù, pio pio, e un contorno di latino moderno ‘da concorso’» (Alberto Arbasino, Lo spazio di Guido Gozzano, «La Stampa», 30 agosto 1983, p. 3).
[23] Ibidem.
[24] Eugenio Montale, L’angiolino, in La farfalla di Dinard, Milano, Mondadori, 1960, p. 183.
[25] «Già, i revenants – scrive Marchesini – perché se da un lato i Novanta sono così lontani, dall’altro, culturalmente e letterariamente, sembrano non essere finiti mai. Basta buttare un occhio alle classifiche del terremotato 2020 editoriale: Follett, Allende, Rowling…Le buone cose di pessimo gusto delle librerie Feltrinelli a inizio Seconda Repubblica»: Matteo Marchesini, Il cattivo romanzo del virus, «Il Foglio», 22 marzo 2021, reperibile al link https://www.google.com/search?client=safari&rls=en&q=romanzo+e+covid&ie=UTF-8&oe=UTF-8.
[26] «Silvio impagliato e il busto di Renzi, di Gentiloni, i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!), il Napolitano un po’ tetro, le scatole senza confetti, i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro, un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, l’amaca di Serra col mònito +Bonino, +sinistra, le noci di cocco…»: Marco Travaglio, Le brutte cose di pessimo gusto, «Il Fatto quotidiano», 8 marzo 2018, p. 5.
[27] Francesco Guglieri, Le buone cose di pessimo gusto. Solo il Kitsch ci dice chi siamo, «Domani», 18 ottobre 2020, p. 15.
CULTURA E SOCIETA’. GOZZANO E IL “CIRCOLO” DELL’INVIDIA NEI RAPPORTI SOCIALI:
“IL PERSONALE E’ POLITICO”.
+
In memoria di Edoardo Sanguineti e della sua analisi critica su “Guido Gozzano” (Einaudi,1966), sulla figura del poeta dall’«anima corrosa».
+
Un omaggio a Elena Santagata (e al suo lavoro “«Con le mani in tasca». Guido Gozzano e il suo tempo”, “Edizioni di Pagina”, 2024)
+
Una punta “brillante” di un iceberg, una traccia per un approfondimento dell’ “antropo- logica” economico-sociale anche della produzione culturale:
+
«[…] Montale pensava a Guido Gozzano come ad un autore che riusciva a far breccia nel cuore di chi lo leggeva in punta di piedi e con un atteggiamento dimesso, un uomo “con le mani in tasca” appunto. Inconsapevolmente in questa visione c’è molto di più: perché chi tiene le mani in tasca è anche il ladro che vuole dissimulare il suo atteggiamento, il bugiardo che ha qualcosa da nascondere. E il tema del saggio di Santagata è proprio questo: Guido Gozzano il ladro, il bugiardo, ma anche l’Avvocato non laureato, il raffinato riscrittore e l’innamorato funestato dal destino. […] che esista un “Gozzano ladro”, come giustamente aveva a suo tempo notato De Rienzo in “Guido Gozzano. Vita breve di un rispettabile bugiardo”, e che questo aspetto del carattere del poeta influenzi anche la sua poesia […]» (cfr. Tommaso Guarducci, “Uno sguardo al mondo di Guido Gozzano. Dialogo con Elena Santagata”, Insula Europea, 28 Novembre 2024: https://www.insulaeuropea.eu/2024/11/28/uno-sguardo-al-mondo-di-guido-gozzano-dialogo-con-elena-santagata/ ).
+
Federico La Sala