di Alberto Casadei

 

In un suo recente intervento sull’”Indice dei libri” (2025, 1), Davide Orecchio ha suggerito la categoria dei “sistemi narrativi aperti” per indicare quei testi che assorbono materiale documentario esterno, spesso autentiche fonti di archivio o foto ecc., e lo integrano o lo commentano, sino a metabolizzarlo: l’esempio prioritario è quello delle opere di Sebald, ma si possono citare molti altri casi (p.e., in Italia, quello di Filippo Tuena), per arrivare a varie opere dello stesso Orecchio, a cominciare dalle biografie con tanto di accertamenti e note critiche proposte in Città distrutte (Gaffi 2012, poi il Saggiatore 2018). Scrive Orecchio:

 

Le autrici e gli autori che praticano questa letteratura documentale si misurano spesso con la storia ma frequentano poco il romanzo storico tradizionale perché più portati (o costretti) a sperimentare architetture complesse che assumono, a volte, connotati barocchi. Domina il pastiche, la collazione, il coro. E l’autore, primus inter pares, governa il tutto.

 

Ora, il problema della rappresentazione ‘realistica’ di vicende storiche, o presentate come tali, è diventato sempre più evidente già nella fase del modernismo primonovecentesco, e poi di quelle che si sono succedute, definibili con varie sfumature (tardo-/post-/iper-moderniste ecc.), segnate o da un primum legato alla costruzione di una macchina narrativa coerente e chiusa, o da un bisogno di ‘ritorno alla realtà’, che è sembrato forte p.e. dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, oppure dopo vari tipi di esperienze belliche, rivoluzionarie, economico-sociali (Occupy Wall Street…), ecologiste (Fridays for future…), ecc. La soluzione del romanzo medio del XXI secolo è stata quella di inserire questi temi o altri, in particolare i diritti delle minoranze, in compagini esemplari, ossia all’interno di vicende che rappresentassero con uno sviluppo plausibile e in genere di non vasta portata qualche aspetto di questo spirito del tempo: si espongono così convinzioni che possono rassicurare il lettore o la lettrice che cerca nei romanzi non evasione (come pure si continua a fare in abbondanza) bensì stimoli alla riflessione e, semmai, conferme delle proprie idee pregiudiziali[1]. Ciò, evidentemente, non conduce a un effettivo ‘realismo’ ma a un’esternazione di ideologie più o meno meditate.

 

Ma quali possono essere invece i mezzi per superare la patina di questo pseudo-realismo, e più in generale ha ancora senso mantenere una categoria così sfuggente e variabile nel tempo?[2]. Se prendiamo, come campione significativo, alcune opere italiane ‘realistiche’ edite nel Duemila e considerate di notevole qualità, si nota in effetti una ricerca di espedienti vari per evitare il ricorso a una trama lineare e ‘ben costruita’, come la si ritrova in opere medie inseribili in specifici generi. Si va dai tratti di non-fiction uniti a quelli di una storia familiare tragicomica in L’abusivo di Antonio Franchini (2001), all’apoteosi dell’autofiction in Troppi paradisi di Walter Siti (2006), al montaggio di mail per ottenere una temporalità irregolare in Piove all’insù di Luca Rastello (2006), alle già citate biografie ricostruite con metodi ‘filologici’ in Città distrutte di Davide Orecchio (2012), al romanzo familiare con focalizzazioni e voci continuamente variate in La gemella H di Giorgio Falco (2014), al racconto di un narratore-protagonista intra/omodiegetico, che è anche saggista e studioso e quindi alterna pagine di narrazione ad altre di saggio, nello Stradone di Francesco Pecoraro (2019)[3]. Queste opere mostrano in genere un rapporto chiaro con modelli narrativi della grande tradizione, ma quasi sempre sono poi molto libere nel ‘rincaro’ di determinati tratti, per esempio quello dell’iper-precisione nella ricostruzione di dettagli, destinati magari a rivelarsi fittizi. Può aver agito trasversalmente il magistero di Don DeLillo, mentre in contemporanea hanno cominciato a imporsi, sul mercato internazionale autori consonanti con quelli citati, ma spesso dotati di un sostegno editorial-pubblicitario molto più ampio: si possono citare, ancora a titolo esemplificativo, Cercas, Houellebecq, Carrère, Vollmann e molti altri[4].

 

Si tratta di constatazioni piuttosto evidenti. Se però adesso ci ponessimo la domanda ”in che senso queste opere, nell’attuale contesto socio-culturale, sono da considerare ‘più realistiche’ rispetto a Il tempo materiale di Giorgio Vasta (2008), o La mischia di Valentina Maini (2020), o Le ripetizioni di Giulio Mozzi (2021), ecc.?”, ossia opere che introducono nella loro compagine aspetti onirico-ossessivi o squisitamente weird[5], avremmo parecchie difficoltà a rispondere. Non si tratta solo dell’allargamento progressivo degli aspetti della mimesis dopo la svolta tra XVIII e XIX secolo, evidenziata già da Auerbach nel finale del suo capolavoro, quando intuisce già l’atomizzazione della temporalità in Virginia Woolf. Ancor più è importante rilevare una nuova e diffusa modalità di percezione del reale che ha ormai introiettato la convivenza dello standard (la vita quotidiana definita da parametri decisi dai vari centri di potere ed economici) e del fuori-standard, che comprende le nuove categorie dell’‘irregolare’ (con componenti buffe, comiche, grottesche, aggressive, orrende…), e anche la nuova condizione determinata dall’enorme allargamento delle ‘possibilità di esperienza’ grazie al Web e al Cloud[6].

 

Su questo, occorre un piccolo approfondimento. Quando si è parlato di fine dell’esperienza, di mancanza di traumi o di altri aspetti che, specie a fine Novecento, sono sembrati prevalere in molti ambiti narrativi, non si è tenuto conto del fatto che la componente biologico-cognitiva è stata intersecata, nell’antropologia, dalla capacità di apprendere attraverso mediazioni, sia di strumenti esterni, sia di procedure interiori, a volte combinate (come nella letto-scrittura), ma in ogni caso queste mediazioni non diminuivano bensì aumentavano la capacità di interazione con il mondo esterno, esperibile anche tramite la mediazione in particolare delle opere scritte. La svolta di Internet ha creato una possibilità enorme di conoscenza e connessione di dati mediati, di auto-finzioni da social, di immagini in presa diretta, includendo peraltro nel ‘vero’ anche il ‘falso’, o meglio, per evitare termini che creano varie ambiguità, nel ‘non rielaborato’ il ‘manipolato’, con vari intenti (abbellimento o implementazione, però pure stravolgimento e mistificazione). In questo contesto, del tutto antifilologico e però ricchissimo di ‘esperienze’, si forma ormai gran parte della cultura dei giovani Millennials, che non sanno meno ma più dei loro genitori o predecessori, tuttavia in modi irregolari e a volte casuali, spesso accettando, come forme di meta-racconto, le narrazioni fantasy anziché quelle ‘realistiche’ consuete, che semmai trovano ancora grande successo nelle fasce dei lettori e delle lettrici over-40. Il problema è quello di proporre opere che si inseriscano in questo campo di forze accettando che un attrattore stilistico che possa far leggere il reale contemporaneo in una forma adeguata dipende adesso non solo dall’elaborazione della pagina scritta, bensì dalla sua capacità di evocare-includere-tradurre le icone che la Rete ci presenta come ‘pezzi di vite effettive’, ma intrinsecamente mediate e senza alcun ordine precostituito, ovvero in un Cloud onnicomprensivo e di continuo modificato[7].

 

Opere narrative come quelle che abbiamo sopra indicato rispondono all’esigenza posta in rilievo da Orecchio, quella appunto dell’apertura-riappropriazione, ma non di una realtà stabile e delimitata, bensì di una meta-realtà in incessante metamorfosi, in cui l’accaduto e l’immaginato si confondono, autentico e fittizio si scambiano i posti, eppure le esigenze profonde della biologia umana restano invariate, così come si possono riproporre in nuovi modi le finalità ultime delle narrazioni dalla nascita del novel in poi. In questa prospettiva, potremmo anche evidenziare elaborazioni che tendono a una chiusura compositivo-stilistica, e quindi controllano, con strumenti spesso ancora riconoscibili sulla base di una trafila ‘tradizionale’, l’esito previsto (è il caso dei testi citati qui nella prima serie), ed elaborazioni weird che non solo stravolgono i cardini del racconto lineare del ‘quotidiano’, ma lasciano poi forti dubbi sul loro corretto codice interpretativo, facendo quindi supporre che resti molto di ignoto e di non compiuto nel nostro rapporto con il mondo interiore ed esterno, come nella seconda serie sopra indicata: e gli esempi si potrebbero moltiplicare. Si tratta però in entrambi i casi di elaborazioni su idee di realtà, secondo prospettive ristrette o allargate ma comunque dissonanti. In altri termini, è proprio la componente di estraneità rispetto ai vari standard a essere distintiva rispetto, per esempio, a operazioni di ideologia a bassa tensione (le medie pseudo-realistiche sopra indicate) o ad alta tensione (le opere fantasy che impongono un pieno inserimento nel loro mondo possibile, chiuso e interpretabile solo dall’interno).

 

Secondo uno dei procedimenti più efficaci a livello ‘attenzionale’, quello delle variazioni finalizzate rispetto a un pattern noto, è insomma possibile lavorare su nuove narrazioni ibride sin dal loro costituirsi, al di là del quantitativo di materiali eterocliti che esibiscono. Si potrebbe sostenere che il realismo non è più legato al rispetto della verosimiglianza, bensì alla capacità di indagare aspetti non-standard del vivere umano. L’incongruenza che si crea nell’accostamento di frammenti eterogenei nella non-fiction di Franchini produce un effetto di scompenso tanto quanto gli eccessi gnostici di Siti o le elucubrazioni da saggio sconclusionato e puntiglioso di Pecoraro. E tuttavia, questi sono solo aspetti dell’attuale stilizzazione in senso ampio[8] per rendere scrivibile tutta la realtà di cui siamo a conoscenza, così come lo sono la favola su parole e violenza indotta di Vasta o il resoconto di stati ossessivi quasi da Nouveau nouveau roman di Mozzi o la costruzione di eventi indefinibili quanto a statuto di realtà, alla Lynch, come nel testo di Maini. L’insieme di queste gradazioni di realismo si oppone, nel campo attuale, alle perpetuazioni degli schemi narrativi medi, come in gran parte della letteratura di genere, o alle imposizioni di quelli autoreferenziali e ideologicamente netti della grande costellazione del fantasy[9].

 

Si può da tutto questo ricavare un giudizio di valore assoluto? No di certo, ma è però più evidente perché una riflessione politica sul nostro presente debba adesso individuare forme stilistiche ibride e anti-standard per risultare significativa. Non sono più sufficienti né le tendenze ironico-parodiche (magari, un po’ riduttivamente, associate al postmodernismo), né quelle che hanno portato a proclami di tipo epico-retorico, molto sentiti soprattutto dopo i grandi eventi del 2001-2008-2011. Si apre cioè la necessità di una ricognizione allargata, e non solo settoriale, delle effettive potenzialità della narrazione prioritariamente scritta (ma, come si è detto, bisogna considerare anche quella mista dei vari tipi di graphic texts e tutte quelle in qualche misura ‘ibride’), per comprenderne le potenzialità e i limiti in rapporto alle propensioni biologico-cognitive costanti e le condizioni attuali del capitalismo artistico multimediale e in-Cloud[10].

 

Note

 

[1] Esamina direttamente questo processo Walter Siti, Contro l’impegno, Milano, Rizzoli, 2021. Sulla condizione media della narrativa italiana contemporanea, si deve partire da Gianluigi Simonetti, La letteratura circostante, Bologna, il Mulino, 2018.

[2] Per un ampio riepilogo, si veda Federico Bertoni, Realismo e letteratura: una storia possibile, Torino, Einaudi, 2007, da integrare con ID., Il problema del realismo, in Teoria della letteratura, a cura di Laura Neri e Giuseppe Carrara, Roma, Carocci, 2022, pp. 255-275. Sono tornato più volte sul problema, a partire da Romanzi di Finisterre. Narrazione della guerra e problemi del realismo, Roma, Carocci, 2000, e più specificamente in Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo, Bologna, il Mulino, 2007, e in Letteratura e controvalori, Roma, Donzelli, 2014.

[3] Per un’analisi complessiva si rinvia a Carlo Tirinanzi De Medici, Il romanzo italiano contemporaneo, Roma, Carocci, 2018. Su Lo stradone di Pecoraro, molto importanti le recensioni di Guido Mazzoni e Gianluigi Simonetti, riprodotte il “Le parole e le cose” (21 maggio 2019: https://www.leparoleelecose.it/?p=35680).

[4] Per molti spunti in questa prospettiva, di vedano gli Atti del Convegno della MOD 2022 Fatti e finzioni, a cura di S. Acocella et al., Pisa, Ets, 2024.

[5] Sulla prospettiva weird nell’analisi del mondo contemporaneo da vedere in primis Mark Fischer, The weird and the eerie (2017), trad. it. Roma, Minimum Fax, 2018. Per un’analisi specifica, con ampia bibliografia, rinvio al mio La realtà instabile nella narrativa contemporanea: il caso di “La mischia” di Valentina Maini, in c.s.

[6] Per le implicazioni di questi nuovi ambiti di creazione e circolazione delle opere narrative in genere, rinvio al capitolo conclusivo del mio Biologia della letteratura. Corpo, stile, storia, Milano, il Saggiatore, 2018. Si veda, nello specifico, Spazio mediale e morfologia della narrazione, a cura di Sara Martin e Isotta Piazza, Firenze, Franco Cesati, 2019, specie pp. 39-62. In generale, da vedere le analisi contenute in La letteratura oggi. Romanzo, editoria, transmedialità, a cura di Giuliana Benvenuti, Torino, Einaudi, 2023.

[7] Sui temi qui toccati rapidamente, oltre che al già citato Biologia della letteratura, rinvio alle analisi contenute in Vittorio Gallese-Ugo Morelli, Cosa significa essere umani?, Milano, Cortina, 2024, e in Walter Siti, C’era una volta il corpo, Milano, Feltrinelli, 2024, anche per altra bibliografia.

[8] Ho trattato a lungo il problema di come intendere lo stile in una prospettiva non solo linguistico-descrittiva: cfr. Biologia della letteratura, cit., specie pp. 71-96.

[9] Sulla condivisione di pattern narrativi facilmente adottabili dalle varie IA, si veda Marco La Rosa, Neuroscienze della narrazione, Milano, Hoepli, 2024, ottima sintesi con ampia bibliografia. Sulla costellazione del fantasy e sui motivi del suo attuale successo, rinvio almeno a Brian Attebery, Stories about stories. Fantasy and the remaking of myth, Oxford, Oxford University Press, 2014, nonché, per un’analisi sul presente, al mio I booktoker e il nuovo canone letterario, uscito in “Le parole e le cose2” del 17 febbraio 2023 (https://www.leparoleelecose.it/?p=46137).

[10] Tornerò su questi aspetti in vari contributi in corso di elaborazione. Si veda intanto, per una prospettiva anche teorica, Stefano Calabrese, Neuro-narratology, Berlin, Peter Lang, 2023

 

[Immagine: Specchio deformante Modo].

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