di Maurizio Binaghi

 

[È uscito da qualche giorno per Laterza, nella collana Fact Checking, La Svizzera è un paese neutrale (e felice), di Maurizio Binaghi. Ne pubblichiamo le prime pagine.]

 

In Italia sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù.

Orson Welles, Il Terzo Uomo (1949)

 

La Svizzera è un paese neutrale, prospero, preciso, affidabile, generalmente felice e di per sé un po’ noioso. È una rappresentazione consolidata, anche se piuttosto stantia, quella che emerge da un sondaggio condotto nel 2022 nei media e nell’opinione pubblica internazionale.

La ricerca ha messo in evidenza la persistenza di un immaginario che persevera inalterato nel tempo, a prescindere dalle contingenze politiche, sociali o economiche. Nei tredici Stati in cui l’indagine è stata svolta, le idee spontanee associate alla Confederazione non riservano particolari sorprese. Dalla Cina agli Stati Uniti, dal Brasile all’Italia in testa alla classifica ci sono le «Alpi», il «cioccolato», la «bellezza del paese», gli «orologi» e le «banche». Seguono altri accostamenti più specifici quali la «prosperità economica», l’«alta qualità di vita» e, in forte crescita, la «neutralità»[1].

 

All’estero la Svizzera – questa vera e propria sconosciuta – pare in fondo diventare un’astrazione collettiva che rappresenta valori (neutralità, precisione, prosperità) o immagini (montagne innevate, orologi, mucche, cioccolata e banche) più che un territorio concreto e variegato, con le sue peculiarità culturali, storiche e sociali. Simili clichés, come scrive il diplomatico Paul Seger, «ormai appiccicati come gomma da masticare alle scarpe», sono coltivati con cura all’estero, quantomeno da alcuni media[2]. Per lungo tempo, insomma, la Svizzera ha subito un’immagine stereotipata, dove i luoghi comuni concorrono a renderla persino «un non luogo, o ancora più propriamente un metaluogo»[3].

Al di là dei clichés, la Svizzera sembra godere di un’immagine eccellente tra la popolazione straniera in generale. In un confronto tra diversi Stati occidentali, la Svizzera occupa il gradino più alto del podio. La Confederazione è anche il paese con procedure democratiche che incuriosiscono e sono considerate uniche al mondo. Insomma, la prima impressione della Svizzera è estremamente positiva, tanto che il paese viene spesso utilizzato come metro di paragone in fatto di bontà delle infrastrutture, di stabilità politica o di livello di democrazia. «Si faccia come la Svizzera», scrivono per esempio al governo italiano i sindaci liguri di fronte all’odissea degli infiniti cantieri autostradali che causano ingorghi e colonne chilometriche4[4]. Per l’Istituto per gli Studi di politica internazionale (ISPI), d’altro canto, lo Stato del Botswana ha recentemente meritato, grazie alla costante crescita economica, ai progressi sociali, all’efficiente burocrazia e alla stabilità democratica, il titolo meritorio di «Svizzera dell’Africa»[5].

La Svizzera è dunque un modello di successo a cui ambire? Dai dati economici pare proprio di sì. La Confederazione è al secondo posto nel mondo per prodotto interno lordo (PIL) pro capite secondo la statistica del Fondo monetario internazionale: vale due volte quello tedesco e tre volte quello italiano. All’inizio del 2023 il debito pubblico lordo rappresenta circa il 27,6% del PIL (circa 120 miliardi di franchi), una cifra irrisoria in rapporto al 143,5% del debito italiano. Secondo i dati della Segreteria di Stato svizzera dell’economia (SECO), nel giugno del 2023 il tasso di disoccupazione è pari all’1,9%.

A fine 2019 il settore bancario elvetico era, con una quota di mercato del 25%, al primo posto per quanto riguarda la gestione patrimoniale transnazionale: ciò vuol dire che circa un quarto del patrimonio estero mondiale è gestito in Svizzera. La Confederazione è uno degli attori più importanti al mondo nel commercio delle materie prime. Ha la quinta flotta mercantile in Europa e l’undicesima nel mondo per tonnellaggio. Il tunnel ferroviario del San Gottardo, inaugurato nel 2016 e finanziato esclusivamente da capitali locali, è il più lungo al mondo.

 

In termini di capitalizzazione di borsa, in Svizzera si trovano 14 dei 500 maggiori gruppi mondiali. Il franco è laquinta moneta al mondo in quanto a volumi di transazioni.

La Svizzera destina annualmente a ricerca e sviluppo oltre 22,5 miliardi di franchi, una cifra che corrisponde a circa il 3% del suo PIL. La Confederazione è inoltre uno dei paesi con la maggiore quantità di brevetti e di premi Nobel pro capite. L’80% degli studenti è iscritto a università che figurano fra le prime cento al mondo[6].

 

L’etichetta «Svizzera» è uno dei tre primi label nazionali globali. Il successo del Made in Switzerland, grazie anche allo sfruttamento dei suoi clichés, ha permesso all’economia di vendere la Swissness (la svizzeritudine o svizzerità). Il bonus generato dalla provenienza elvetica raggiunge fino al 20% del prezzo di vendita per certi prodotti – e addirittura fino al 50% per gli articoli di lusso – rispetto a beni comparabili di altra provenienza7[7]. Niente è più svizzero di un orologio svizzero, un coltello svizzero, del cioccolato svizzero o del formaggio svizzero. Gli stereotipi permettono di commerciare prodotti incarnazione della qualità superiore, della tradizione, dell’elitarismo, del lusso e dell’affidabilità.

Mica male per un paese che dispone di un minuscolo territorio (che equivale allo 0,028% della superficie terrestre, pari a Lombardia e Veneto messi insieme), è poco popoloso (vi abita lo 0,11% della popolazione mondiale), non ha sbocchi sul mare ed è privo di particolari materie prime nel sottosuolo. Per dirla con Kofi Annan, l’ex segretario generale dell’ONU, «Switzerland is punching above its weight», cioè “la Svizzera combatte in una categoria superiore al suo peso”[8], con tutti i suoi vantaggi ma, come vedremo, con tutti i rischi connessi.

Le statistiche ci dicono che la gran parte degli abitanti della Confederazione si considera «felice e soddisfatto» della sua vita[9]. Gli svizzeri corrono certamente il rischio di cadere nell’autocompiacimento soprattutto perché nel paese persiste la fortuna del concetto di Sonderfall (“caso particolare”), che si riferisce alla posizione unica ed esemplare che spetterebbe alla Svizzera nella comunità internazionale sulla base della sua storia e della sua cultura. Secondo lo scrittore Peter Bichsel gli elvetici sono convinti «che gli altri sprizzino di gioia quando arriva uno svizzero, perché siamo i migliori e i più amati al mondo». Considerarsi “un caso particolare” sottintende la convinzione di non dover sottostare alle stesse regole degli altri Stati: «noi non siamo neutrali, siamo eccezionali. Ed essere un caso eccezionale non significa altro che ritenersi speciali, diversi dagli altri»[10].

Diventa irresistibile la tentazione di «trovare la macchia di sugo sul grembiule del primo della classe». All’ammirazione si mescola infatti una sottile «elvetofobia». Per Guido De Franceschi l’elvetofobia si nutre della diffidenza «per quelli che stanno sempre ai margini del campo da gioco: in un popolo che si fa tanto i fatti suoi – pensa l’elvetofobo – ci deve essere per forza qualcosa di sospetto». Come in un gioco di specchi, i clichés si trasformano nel loro alter ego. La neutralità è vista come la massima forma di ipocrisia, viltà, opportunismo o sete di profitto.

 

È dunque una finzione, un imbroglio, e come tale va smascherata. La democrazia diretta è percepita come l’incubatrice del populismo più abbietto, perché incoraggia la critica alla politica, vista come casta, riduce le garanzie costituzionali e fomenta l’idea che le decisioni nelle mani di un onnipotente “popolo” siano verità assolute scolpite nella pietra. Al sistema bancario, invece, si associano immagini correlate a segreti e misteri: conti cifrati, potere, frodi, denaro sporco. Le banche appaiono formidabili fortezze, piantate nel cuore dell’Europa, che stendono i loro tentacoli su scala globale grazie alla rete oscura dei paradisi fiscali. In breve, tutti gli attributi di un potere onnipotente, oscuro e nascosto. La ricchezza elvetica sarebbe dunque immorale: il paese, per prosperare, avrebbe tratto profitto nel tempo dalle catastrofi e dalle tragedie altrui. Da qui il disprezzo che si nutre per i subdoli, i complici e gli infidi: coloro che «non hanno neppure la nera grandezza del Male vero», che si nutrono «delle briciole cadute di tasca dal demonio, accontentandosi di fare un male minuscolo e parassitario»[11].

 

Incapaci di ogni grandezza, dunque, gli svizzeri. Figli di un dio minore, sono destinati a restare piccoli, una specie di francesi, tedeschi e italiani di seconda mano, confinati in una provincia borghese perfettina, certamente, ma asfissiante, benpensante, senz’anima e soprattutto senza originalità: insomma, una «spaventosa mediocrità in tutto», come ebbe a dire Dostoevskij nella sua corrispondenza.

Quest’immagine critica trova eco all’interno del paese, anche perché – come scrive lo storico Georg Kreis – parte dell’immagine che gli svizzeri hanno di sé è fondata su opinioni provenienti dall’estero[12]. Soprattutto nella riflessione emersa sulla cosiddetta Schweizer Enge, la “ristrettezza culturale svizzera”, che – come vedremo – ha avuto un ruolo nella recente messa in discussione di una certa raffigurazione del paese. Ne sono un esempio le metafore sia della «campana di piombo» impiegata dallo scrittore Paul Nizon, sia della «prigione» usata da Friedrich Dürrenmatt: gli svizzeri «si sentono liberi, più liberi di qualsiasi altro popolo», ma sono «liberi come prigionieri nel carcere della loro neutralità»[13].

Gli svizzeri soffrono di un inconscio senso di colpa: «quella colpa irrazionale dell’uomo in buona salute di fronte al malato, del ricco di fronte al povero, di colui che sfugge alla Storia di fronte a colui che la subisce»[14]. Come scrisse il premio Nobel della letteratura Carl Spitteler nel 1914, gli svizzeri con modestia devono scusarsi con l’Europa «per averci dispensato dall’immischiarsi nelle loro sanguinose controversie»: di fronte all’orgogliosa domanda «Scusarsi di che?», Spitteler risponde che «un uomo di cuore ha bisogno che gli sia perdonato di godere del proprio benessere mentre altri soffrono»[15].

Posti tra l’incudine e il martello, tra l’autocompiacimento e il tormento interiore, gli svizzeri sembrano essere continuamente alla ricerca di sé stessi: mai contenti, sempre angosciati, si scoprono a ritmi regolari vittime di un “malessere elvetico” che li rode dal di dentro e che provoca smarrimento o insofferenza di fronte a problemi e situazioni che il paese deve affrontare.

 

Note

 

[1] La Suisse vue de l’étranger en 2022, sondaggio realizzato da Presenza Svizzera, organizzazione pubblica creata dal governo elvetico per promuovere l’immagine della Confederazione all’estero, in https://www.eda.admin.ch/content/dam/eda/it/documents/das-eda/landeskommunikation/prs-jahresanalyse-2022_IT.pdf (consultato il 12 maggio 2023).

[2] P. Seger, Svizzera e Germania vicini e lontani, in «Limes», 12, 2023, p.133.

[3] W. Marotti, Tre chiavi per smontare i luoghi comuni, in «Meridiani», 282, 2024, p. 2.

[4] F. Rullo, Autostrade A26 e A6, l’odissea dei cantieri sulle strade per la Liguria. I sindaci: «Si faccia come New York e la Svizzera», in «Corriere della Sera», 4 giugno 2023.

[5] Botswana: qualcosa si muove nella “Svizzera d’Africa”, ISPI, 29 ottobre 2019, in https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/botswana-qualco sa-si-muove-nella-svizzera-dafrica-24271 (consultato il 12 maggio 2023).

[6] Panoramica dell’economia svizzera, a cura del Dipartimento federale degli Affari esteri, in https://www.eda.admin.ch/aboutswitzerland/it/home/

wirtschaft/uebersicht.html.

[7] https://www.kmu.admin.ch/kmu/it/home/consigli-pratici/gestire-unapmi/etichette/swissness.html (consultato il 3 agosto 2023).

[8] Il metodo svizzero per contare di più, in L’importanza di essere Svizzera, «Limes», Quaderno speciale, 3, 2011, p. 16.

[9] La Svizzera è veramente così felice?, 31 agosto 2023, in https://www.swissinfo.ch/ita/societa/la-svizzera-è-veramente-così-felice/48773550 (consultato il 24 settembre 2023).

[10] S. Geisel, Abbiamo sempre puntato sulle catastrofi. Intervista allo scrittore Peter Bichsel, in Svizzera (The Passenger. Per esploratori del mondo), Iperborea, Milano 2021, p. 14.

[11] G. De Franceschi, Elvetofobia, in Svizzera cit., pp. 6-7.

[12] G. Kreis, La non-identità come normalità. Riflessioni critiche sulla questione dell’identità, in O. Mazzoleni, R. Ratti (a cura di), Identità nella globalità. Le sfide della Svizzera italiana, Casagrande, Lugano 2009, p. 112.

[13] P. Nizon, Dans les années 70, la Suisse c’était la non-vie, in «Le Temps», 21 settembre 2012; F. Dürrenmatt, La Svizzera, teatro del mondo, Dadò, Locarno 2013.

[14] D. de Rougemont, La Svizzera. Storia di un popolo felice, Dadò, Locarno 1998, p. 270.

[15] Ibid.

3 thoughts on “La Svizzera è un paese neutrale e felice

  1. Leggere – di nuovo – la citazione di Welles in un articolo, testo, libro che abbia che fare con la Svizzera inizia a farmi venire l’orticaria: soprattutto se posta in esergo a un articolo che vorrebbe sfatare i cliché rimarcandoli. Non so nemmeno più quante volte l’avrò detto peraltro l’orologio a cucù lo ha inventato un tedesco, basta fare un giro su https://it.wikipedia.org/wiki/Orologio_a_cuc%C3%B9
    Il resto dell’articolo? M’imbarazza, decisamente: sembra descrivere la Svizzera (solo interna) e gli svizzeri tedeschi degli anni Settanta. I cliché son quelli, come dice bene, ma il resto… ma quale rischio di compiacimento (!) e da dove arriva questa: «che gli altri sprizzino di gioia quando arriva uno svizzero, perché siamo i migliori e i più amati al mondo»! Ma stiamo scherzando? Peraltro, Bichsel è morto 20 anni or sono; Dürrenmatt, 35 anni or sono; Nizon ha 95 anni ed è scappato dalla Svizzera per Parigi 48 anni or sono! Mentre le fonti delle citazioni sembrano tutte degli ultimi anni, come a confermare l’attualità delle loro affermazioni. E avrei da ridire anche su certe statistiche… parlare di tasso di disoccupazione senza citare il rigonfiamento delle assistenze sociali (dove si finisce, dopo la disoccupazione, e dove non ci finiscono molti elvetici senza lavoro e senza introiti sociale perché se un giorno dovessero ereditare una casa lo Stato gliela mangerebbe in due secondi) è ingannevole in patria figuriamoci all’estero che non possono immaginare come funzionino le cose da noi. Eppure la quarta di copertina mi pare decisamente più interessante e corrispondente. Non capisco se è un articolo “estratto” o una sintesi di un giornalista/recensore. In entrambi i casi, le fonti sono fuorvianti. Un conto è descrivere storicamente la Svizzera di un tempo, un conto è parlare della Svizzera di oggi (dopo il 1995, momento in cui sono iniziati i più grandi cambiamenti…). Questo genere di testi sono esattamente quelli che alimentano i cliché fingendo di portare nuovi punti di vista, ma confermando in verità quelli preesistenti.

  2. “Gli svizzeri rubano gli spiccioli dal piattino delle toilettes in autostrada”… Raccolta sul campo, nel giugno 2022:-))

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