di Simon Levis Sullam
Al principio di gennaio 2025 è stata diffusa la notizia che il presidente Andrzej Duda ha chiesto al governo polacco di concedere l’immunità al premier israeliano Benjamin Netanyahu. Alla fine del mese questi avrebbe dovuto recarsi in Polonia per la commemorazione dell’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz, mentre pendeva su di lui un mandato di arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella guerra di Gaza. Il presidente di un paese come la Polonia, con una storia non benevola nei confronti degli ebrei, chiedeva di proteggere l’alto rappresentate dello Stato ebraico perché potesse recarsi nel più tristemente noto campo di sterminio, mentre Israele era sotto inchiesta per genocidio. Al di là degli sviluppi concreti della vicenda, essa ci mostra le torsioni storiche della memoria della Shoah ottant’anni dalla fine del conflitto e, soprattutto, dopo un anno e mezzo di sanguinoso conflitto a Gaza, seguito al massacro del 7 ottobre 2023.
Per il secondo anno è non solo legittimo, ma necessario chiedersi che cosa significhi e che trasformazioni possa subire il ricordo nel Giorno della memoria (27 gennaio), nel contesto internazionale della guerra di Gaza.
L’osservazione preliminare è che non esistono, evidentemente, rapporti diretti tra quanto si ricorda per legge il 27 gennaio – in sintesi, la Shoah – e le vicende del conflitto a Gaza. Si tratta di eventi storicamente remoti, che non presentano analogie sostanziali, al di là della (diversa) violenza implicata. Dopodiché il contesto politico nazionale e internazionale in cui le commemorazioni di gennaio avvengono, da 25 anni ad oggi, non possono non riflettersi – ed è giusto si riflettano – nelle sensibilità e nelle riflessioni di ciascuna commemorazione. Contano inoltre i simboli, e in particolare, anche quest’anno, quelli provocati quotidianamente dallo stillicidio di notizie sul ruolo militare e politico nefasto dello Stato ebraico nel corso del conflitto seguito all’aggressione di Hamas.
Uno degli inevitabili elementi simbolici implicati è l’evocazione frequente nel discorso pubblico – incluso quello giuridico e giudiziario delle istituzioni internazionali – del tema del genocidio. Se si possa parlarne o meno, a proposito delle vicende dal 7 ottobre in avanti. Benché sia in parte improprio in una riflessione sul 27 gennaio, dirò in sintesi per sgombrare il campo che, allo stato attuale delle conoscenze, non ritengo sia esistito da parte dello Stato di Israele un progetto genocida nei confronti dei palestinesi di Gaza. Tuttavia, accanto a un evidente uso politico da più parti dell’accusa di genocidio rivolta alla Stato ebraico, ritengo siano tragicamente in corso delle conseguenze genocidarie (cioè un risultato del tutto analogo) ai danni del popolo palestinese.
Cionondimeno se i giudizi dei Tribunali internazionali, o degli storici del futuro, stabiliranno che a Gaza vi è stato genocidio, non credo che quella fattispecie giuridica o categoria storica imponga automaticamente il ricordo della recente strage di palestinesi da parte dello Stato di Israele, nel giorno i cui si commemora lo sterminio di sei milioni di ebrei nella Seconda guerra mondiale. A parte l’implicazione maggioritaria negli eventi recenti anche di attori ebrei – più precisamente di soldati israeliani (non tutti ebrei) – un’analoga esigenza, di parallele evocazioni, potrebbe sorgere per altri genocidi: da quello degli Armeni a quello in Rwanda, ad esempio. Ma il 27 gennaio non è il giorno del ricordo dei genocidi.
Il punto è un altro, ed include in definitiva la possibilità di evocare anche – e riflettere su – la violenza a Gaza nel Giorno della memoria. Ho sempre sostenuto che il 27 gennaio ricorda un evento storico specifico – essenzialmente lo sterminio degli ebrei – ma dovrebbe valere per tutti e offrire lezioni più generali in termini di rifiuto del razzismo, dell’antisemitismo, dell’odio per l’altro, di una cultura dei diritti umani nata anche dalle ceneri della Shoah. Per la sua riuscita sul piano culturale ed etico il Giorno della memoria deve avere – cioè deve essergli attribuito – un significato universalistico. La Shoah colpì un gruppo specifico, ma riguarda tutti.
Personalmente ritengo quindi che al centro del Giorno della memoria debba stare stabilmente il ricordo della Shoah; ma che di lì possano e anzi debbano svilupparsi riflessioni e meditazioni sui fenomeni di intolleranza e violenza più generali, implicati nelle vicende dello sterminio degli ebrei. Segnalo un punto: gli insegnanti sempre più spesso riferiscono come nelle loro classi vi siano studenti di diversa provenienza che non condividono sul piano famigliare un passato e memorie legate alla Seconda guerra mondiale. Molti vengono da contesti che hanno subito altri tipi di violenza o traumi, anche recenti; altri non si identificano in una memoria del XX (e XXI secolo) chiaramente eurocentrica. Questo è uno degli elementi di trasformazione costante e considerevole dei nostri “quadri sociali della memoria” (per citare Maurice Halbwachs), di cui non possiamo – e non dobbiamo – non tener conto. Cambiano, nel tempo, il contesto e gli attori del ricordo.
Pertanto, al centro del 27 gennaio deve esserci il ricordo specifico degli eventi della Shoah, ma accanto ad esso possono stare i ricordi molteplici evocati dalla “memoria multidirezionale” analizzata da Michael Rothberg, che ha mostrato come il ricordo dell’Olocausto si sia riflettuto e abbia anzi mobilitato, nella seconda metà del Novecento, le memorie di altre violenze: anche colonialiste e postcoloniali. Tuttavia, non è il riferimento in sé al colonialismo – che pure non ha a che vedere direttamente con la Shoah – che mi induce qui a sostenere che sia possibile anche il richiamo a Gaza questo 27 gennaio.
Gaza (o il 7 ottobre) non sono Auschwitz e quest’ultimo è ciò che certamente dobbiamo in primo luogo ricordare. Ma nelle nostre riflessioni e nei moniti contro le politiche statuali dell’identità, le violenze di massa, la sopraffazione collettiva dell’altro, credo possa esserci spazio anche per Gaza, quando riflettiamo sull’oggi, se non vogliamo che le nostre coscienze restino intorpidite anche nel Giorno della Memoria.