di Sergio Benvenuto
“La scienza medica ha compiuto progressi così sbalorditivi che ormai quasi nessuno di noi è sano.” Aldous Huxley
1.
Chiunque si interessi alla diagnostica – detta anche nosografia – psichiatrica, e se ha una certa età, è colpito dall’effimera variabilità delle categorie diagnostiche. Del resto anche il termine “malattia mentale” è tramontato, bisogna parlare di mental disorders, termine malamente tradotto con “disturbi mentali”. No, disordini. Ovvero, contrari a un ordine. Certe categorie con cui la mia generazione di clinici si è formata all’università sono ormai obsolete, alcune suonano oggi addirittura ridicole, mentre ogni 5-10 anni spuntano nuovi “disordini” di solito con acronimo, come ADHD, DID o DDI, RBD, OCD o DOC… e chi più ne ha più ne metta. Qualche anno fa osai pubblicare un saggio in inglese sull’autismo chiamandolo così, autism. Apriti cielo. Un collega americano scrisse un commento critico dicendo che oggi si dice autistic spectrum, spettro autistico. Gli risposi dicendo che l’autismo in effetti è una sindrome spettrale.
In alcuni casi si tratta semplicemente di vecchio vino in botti nuove con targhette in inglese. Così l’”attacco d’angoscia” di cui si parlava un secolo fa è diventato “panic attack”. Le perversioni sono diventate “paraphilias”. La “malinconia” si chiama oggi “major depression”, la “psicosi maniaco-depressiva” è “bipolarity”, e così via rinominando. Ma altre sindromi sono nuove di zecca, così un neo-nome vien dato a portentose scoperte di nuovi “disordini”.
Da qualche decennio la psichiatria dominante – americana – ha escluso “isteria” dal novero delle diagnosi possibili. In omaggio anche alla correttezza politica, dato che isteria puzza di scortese stigmatizzazione del femminile (isteria viene da hysteron, utero). Anche il buon vecchio sonnambulismo, comportamento vecchio come la nostra specie, è stato ribattezzato con la targa d’alluminio “parasonnia Non-REM”. E anche REM è un acronimo…
Ma non c’è solo la volubilità dei gusti etichettanti degli psichiatri, c’è qualcosa di più complesso, che il filosofo Ian Hacking ha chiamato looping effect, e che renderei col termine circolo nosografico. Un circolo più vizioso che virtuoso.
Significa che quando nella società si diffonde il nome di una certa categoria diagnostica, quest’ultima influisce sui “malati” stessi che si adatteranno alla diagnosi alla moda. Insomma, le descrizioni e categorie psichiatriche non sono sconnesse da ciò che descrivono e categorizzano, ma influenzano subdolamente la popolazione che le recepisce. Così, una certa diagnosi finisce col creare un aumento drammatico di quella particolare patologia. Diciamo che – in analogia col placebo, “piacerò” – la psichiatria produce anche effetti nocebo, “nuocerò”, ovvero induce varie persone ad ammalarsi nel modo corretto. Molti disordini mentali non sono esattamente iatrogeni, quanto piuttosto diagnosogeni. Tra gli esempi più lampanti oggi ci sono lo spettro autistico e i disturbi alimentari.
Quando l’autismo fu isolato per la prima volta come specifico disturbo negli anni 1940 – allora lo si vedeva soprattutto nei bambini – i casi di autismo erano considerati rari. Poi col tempo, man mano che l’etichetta ‘autismo’ si è diffusa tra gli strizzacervelli, abbiamo avuto un aumento vertiginoso degli autistici. Negli ultimi 50 anni, nelle nostre società iper-industriali le diagnosi di autismo sono aumentate di venti volte – mentre gli schizofrenici, per esempio, sono aumentati di “sole” cinque volte. Come è possibile che nel giro di 50 anni in Occidente sia dilagata questa epidemia di spettro autistico?
Una delle ragioni più semplici è che oggi vengono diagnosticate come autistiche persone che in passato venivano diagnosticate in altro modo; non sarebbe insomma il numero di soggetti affetti a essere aumentato. Basta che a scuola un bambino presenti qualche stranezza e subito scatta come riflesso pavloviano la diagnosi “autismo” (ho verificato in molti casi che questa diagnosi era del tutto erronea). Questo coglie però solo un aspetto del fenomeno.
C’è una seconda ragione, più sottile e inquietante, il circolo nosografico appunto: è che molte persone, inconsapevolmente, sviluppano sintomi che coincidono con i criteri diagnostici dei medici. In altre parole, c’è un impulso a offrire agli occhi del clinico i sintomi che gli interessa vedere. Non è simulazione, è un processo inconscio, ovvero chi fa contenti i medici non si rende conto di farlo.
Questo discorso si potrebbe fare per i disturbi alimentari, che colpiscono oggi soprattutto le giovani donne e che sembrano ignoti in culture economicamente più arretrate e meno industrializzate.
Alcune febbri nosografiche si esauriscono in pochi anni. A partire dagli anni 1980 un ciclone diagnostico si abbatté sugli Stati Uniti: il DID, disturbo dissociativo dell’identità, ovvero le “personalità multiple”. Queste dilagarono nella società americana per una quindicina d’anni. Nel 1972 le personalità multiple erano ancora considerate una semplice curiosità, nei 50 anni precedenti solo una dozzina di casi erano stati riportati. Ma già dieci anni dopo gli psichiatri americani parlavano di “epidemia delle personalità multiple”. Si diceva che una persona su venti fosse affetta da DID, e la grande maggioranza erano donne. Le personalità alter erano almeno sedici per ogni DID. William Stanley Milligan, detto “lo stupratore del campus” per aver abusato di studentesse universitarie, descrisse le proprie 24 diverse personalità; una di queste era lesbica, ed era stata proprio lei a stuprare le ragazze, perché complessata e bisognosa d’affetto. Tuttora noti influencer vantano decine di personalità e diventano star dei social e dei video. Una di queste dive DID è la neozelandese Amber Lodge, che afferma di avere 93 ‘alter’.
Poi, a partire dagli anni 2000 l’interesse si è ridotto fino a rimanerne poca cosa. Un fuoco di paglia modaiolo, come lo furono l’hula hoop negli anni 1950, i Reality Shows a partire dal 2000, o i materassi ad acqua.
Per spiegare come accade questo processo che tanti medici non riescono a vedere ricorrerò a una diagnosi del tutto immaginaria, a fini didattici.
2.
Immaginiamo che alcuni ricercatori in psichiatria si accorgano di alcune persone, rare nel mondo, che hanno la particolarità di dormire spesso in piedi. Questi psichiatri si interessano al fenomeno, anche se era noto da secoli, perché in quel periodo sono coinvolti in una diatriba scientifica sulla relazione tra corpo e sonno, e si rendono conto che quei casi sparuti possono portare acqua al mulino della loro tesi. Descrivono questi casi in riviste specializzate e magari inventano un nome in inglese, tipo standsleepers, coloro-che-dormono-in-piedi. Altri, più compassati, ricorreranno al greco e li chiameranno ipnostechici – da hypnos, sonno, e stekò, sto in piedi. Quanto a noi italiani, tradurremo come spesso accade dall’inglese all’italo-inglese, conieremo il termine sleep-uppers, che nessun anglofono ovviamente capirà. Come è avvenuto per smart work, una locuzione che i non-italiani non capiscono, perché in inglese si dice working remotely.
Poi, col tempo, questa categoria di ipnostechici verrà ripresa da divulgatori, giornalisti, vignettisti e andrà crescendo la curiosità del pubblico nei suoi confronti. Così, dacché questi casi erano rari, si moltiplicheranno come un virus. Dormiranno in piedi soprattutto giovani, dato che i giovani sono spugne umane che più rapidamente assorbono le novità. Madri ansiose scriveranno lettere ai Consigli medici dei rotocalchi, popolari psichiatri telegenici verranno interrogati dalle TV su questa nuova pandemia, sorgeranno gruppi social telematici di discussione sul tema a cui parteciperanno standsleepers di nuovo conio. Poco a poco interverranno anche intellettuali d’alto rango, saggisti, filosofi, teoriche femministe o queer, teologi, biologi, psicoanalisti star… Si costruiranno varie teorie sul fenomeno, alcune di queste diverranno luogo comune. Si affronterà l’ovvio dilemma: “L’ipnostechia è una malattia da curare o una forma di vita da tutelare?” E ovviamente: “È un tratto ereditato attraverso i geni o è un prodotto della cultura?”
Università, centri di ricerca statali o privati, amministrazioni locali e internazionali, magari anche sindacati, metteranno a disposizione borse di studio e fondi per fare ricerche sullo standsleeping. Si farà pressione sull’OMS e sui manuali psichiatrici internazionali (come il dispotico DSM americano) perché dia spazio a questa sindrome. Così specialisti di vari campi, dall’AI fino all’Antichistica, verranno distolti da altri temi che a loro interessano molto di più per occuparsi di ipnostechia, dato che da quella parte cade la manna di fondi e appalti per ricerche e interventi sul territorio.
Si creerà un movimento per i diritti civili di chi dorme in piedi, uno Standsleeper Pride, e il loro termine diverrà colloquiale con l’abbreviazione standers. Si inventerà un neologismo anche per coloro che dormono distesi, magari stretchout-sleepers o stretchers. Costoro, pur essendo la grande maggioranza, saranno sempre più assimilati a passatisti reazionari. Dato che dormire in piedi ormai è cool.
Ovviamente ci sarà una lettura di sinistra e una di destra degli standers.
Le letture di sinistra interpreteranno la fortuna di questo disturbo come effetto della società neoliberale di oggi, che non concede più alle moltitudini nemmeno il diritto al riposo orizzontale, tutta tesa alla competizione meritocratica e alla concorrenza patriarcale. Le letture di destra invece diranno che questo nuovo modo di dormire è effetto del diffondersi della cultura woke (non a caso woke, risveglio: anche quando dormiamo dobbiamo essere in piedi!), di un modo di vedere che, come la teoria del Gender, nega le leggi biologiche, quelle per cui gli esseri umani – sin dal Genesi – quando dormono devono stare distesi. Adamo era disteso quando Dio gli ha preso la costola per fabbricare Eva. Lo sleepstanding insomma è una rivolta babelica contro le leggi a un tempo naturali e divine.
Tutto questo potrà durare qualche anno o vari decenni. Poi, quasi d’un tratto, tutto sparirà, non se ne parlerà più. E si passerà a qualche altra sindrome più eccitante.
Tutto ciò è farsesco, penserà la lettrice o il lettore. Ma posso assicurare che una ricostruzione storica di molte epidemie mentali degli ultimi due secoli porterebbe a narrazioni alquanto simili a questa.
Posso dare solo un consiglio a chi non lavora in campo psichiatrico: non lasciatevi incantare dalle etichette psichiatriche.
Sergio Benvenuto, maître in psicologia all’Università di Parigi 7, già ricercatore CNR, psicoanalista, presidente dell’Istituto Elvio Fachinelli, ha pubblicato un libro sulla diagnostica psichiatrica, Lo psichiatra e il sesso (Mimesis, 2021).
Discorso molto interessate, ma sviluppato piuttosto sbrigativamente, con malcelato sarcasmo e con una triste superficialità. Ho un amico “autistico”, e lasciamo perdere le pene che ha sempre sofferto e continua a soffrire perché non ha avuto la cosiddetta diagnosi precoce.
Mia figlia ha sofferto di disturbi alimentari, che non c’entrano un tubo con l’autismo, e che notoriamente si manifestano in modo diverso da persona a persona.
Le famiglie, in queste situazioni, sono disperate: ecco, allora sarebbe il caso di concedere loro un po’ di rispetto, magari attraverso qualche approfondimento che vada oltre la “lista dei disturbi” tout court.
Grazie
Anni cinquanta a Seattle: innumerevoli automobili trovate coi parabrezza butterati da piccolissime ma profonde cicatrici.
Causa: epidemia da ispezione dei parabrezza. Le cicatrici erano state SEMPRE presenti.
Dal libro “Realtà della Realtà” di Paul Watzlawick
Articolo condivisibile ma le diagnosi di moda riguardano anche molte altre branche mediche se non tutta la medicina ; ricordo le epidemie di bambini con scarpette ortopediche, di epistassi dilaganti, tonsillectomie per non dire degli strabismi ecc. per non dire delle poliartralgie e della fibromialgia dei più recenti tempi…
Bellissimo articolo. Canovaccio perfetto per un romanzo di “fantapsichiatria”, un territorio finzionale che ( già lo pensavo e questo articolo lo conferma) mi pare molto più fecondo e semplice da declinare rispetto a quello delle “hard sciences”.