di Alberto Casadei

 

Si continua a parlare genericamente di ‘narrativa breve’ o di ‘racconti/novelle’[1], ma una forte cesura si è registrata dopo l’avvento della comunicazione rapida con gli sms telefonici, i tweet e soprattutto con la messaggistica nei social. Benché manchino ancora studi teorici di riferimento nell’ambito della narratologia cognitiva, sono forti gli indicatori riguardo ai cambiamenti in corso sia nelle modalità di attenzione e di acquisizione memoriale, sia negli usi stilistici più adeguati per ottenere risultati ottimali nel Web[2]. Come è facile intuire, l’aspetto della velocità e immediatezza comunicativa, e quindi di stili improntati alla brevità, risulta il più significativo: se lo scopo è quello di creare un’attrazione nel giro di pochi secondi, quanto viene narrato e, sempre più spesso, visualizzato attraverso una o più immagini deve trasmettere un ‘nucleo di senso’ o poco problematico e perciò piacevole (è la soluzione più frequente), o viceversa del tutto problematico e perciò disturbante o da esaminare[3]. Ma, se così è, come dobbiamo interpretare adesso le caratteristiche che eravamo soliti attribuire al racconto, proprio in quanto short story, e quali possono essere le conseguenze di questo cambiamento nel paradigma critico-teorico riguardo a questo tipo di narrativa?

 

2. Da quando Internet ha consentito un racconto continuativo, diaristico-giornaliero, con i blog e poi con i social, sono state esperite potenzialità ulteriori, prima a livello di inventio e poi di dispositio e elocutio. Per schematizzare: non si tratta più di pensare a un pattern che possa essere applicato nella strutturazione di una storia, come ancora nel tardo Novecento, bensì di elaborare ‘in qualche modo’ un materiale verbale potenzialmente ininterrotto, che riguarda ogni aspetto della vita di chi scrive e di coloro che vengono con lui in contatto – una comunità non più solo reale, e quindi condizionata dalle relazioni fisiche e psicologiche, ma anche virtuale, già frutto di una reinterpretazione dello status socio-economico dei vari attori.

 

Si potrebbe sostenere che, da un punto di vista cognitivo, non è più ricercato l’effetto dell’autonomia della ‘breve storia’ da conoscere in una ‘seduta’ di lettura, secondo il celebre assunto di Poe, bensì quello dell’immersione in un mondo interconnesso, da cui viene ricavato un lacerto: non un dettaglio rivelatore e nemmeno un frammento da nobilitare, come nella tradizione modernista, ma invece un qualunque elemento che, per un qualunque motivo, sia risultato interessante per chi scrive. In altri termini, il problema della rilevanza o meno di quanto accade sembra spostato dal piano oggettivo (è una notizia-novella di grande rilievo, e perciò va trasmessa) al piano soggettivo (è una parte della mia vita, che ora è in grado di raggiungere tutti gli utenti della Rete, e perciò posso decidere di trasmetterla)[4]. Semmai, l’oggettività è data dal fatto che, attraverso questi racconti ‘tagliati ed estratti’ dal continuum dei blog, ognuno è in grado di riconoscere quanto sta accadendo intorno e in contemporanea, quindi di sentirsi compartecipe pur vivendo una vita diversa[5].

 

Nell’ambito stesso delle scritture ‘giovanili’ dagli anni Ottanta a oggi, si nota ormai che esistono differenze notevoli fra il prima e il dopo l’affermazione dei blog e dei social (con ulteriori, necessarie distinzioni fra il prima e il dopo il successo degli smartphone: dal Web 1.0 al 2.0 e oltre). Se osserviamo per esempio l’archetipo di queste scritture, Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (1980), notiamo subito che i racconti sono focalizzati per cogliere dall’interno dei personaggi le forme di disagio e a volte, come in Posto ristoro, di autodistruzione, ma in fondo procedono secondo parametri narrativi riconoscibili in precedenza, a volte impiegando stili autoriali precisi (Arbasino, Celati ecc.). Un cambiamento si può registrare dalla metà degli anni Novanta, per esempio con Woobinda (1996) di Aldo Nove, che riconduce gli stereotipi televisivi e massmediatici ad archetipi psico-sociali, attraverso personaggi da fumetto presentati in azione, e implicitamente valutati all’insegna dell’ironia e del grottesco, spesso spinti sino al sarcasmo[6].

 

Ma le scritture nate dai blog hanno introdotto un altro (non l’unico) modo di ‘pensare la narrazione’. In questo caso, l’esempio basilare, il grado zero di ciò che si accetta come ‘racconto’ nel XXI secolo, può essere rappresentato da Personaggi precari di Vanni Santoni (2007-2024)[7]. Si tratta di una serie di circa 800 figurine, spesso identificate con un lacerto preso dal blog stesso di Santoni, una frase, un dialogo, un pensiero ecc., senza alcuna regola o struttura predefinita. L’insieme si presenta insomma come l’assemblaggio di epigrammi (non strutturati) corrispondenti a persone che dovremmo pensare come esistenti, ma di cui sappiamo solo quanto chi scrive ha deciso di estrarre dalla massa di informazioni disponibili, non importa più se ricavate dalla vita reale o dal mondo real-fittizio della Rete o appositamente inventate. Sono stati indicati vari antecedenti, fra cui Manganelli o Perec, ma forse quello più adeguato è l’Antologia di Spoon River di E. Lee Masters, fortunatissima in Italia a partire dalla traduzione parziale di Fernanda Pivano (1943): solo che anche in questo caso si debbono sottolineare le grandi differenze oltre alle analogie. Se infatti gli ‘epitafi parlanti’ di Lee Masters tendevano a ridurre all’essenziale le esistenze dei defunti, dando impliciti giudizi nel presentare le micro-storie (come già nel nobilissimo archetipo della Pia nel quinto canto del Purgatorio), i lacerti relativi ai personaggi di Santoni sono privi di ogni giudizio definitivo. In effetti, si limitano a indicare cose che sono avvenute a figure di cui non sapremo mai altro, la cui precarietà non è perciò legata (solo) alla situazione lavorativa o contingente, ma a quella che il Web ha messo in luce: nemmeno coloro che raggiungono i ‘quindici minuti di gloria’, già prospettati da Andy Warhol, emergono come eroi o grandi artisti o comunque eccezioni, bensì come semplice perturbazione nel profluvio di storie disponibili nella Rete, da cui si possono far emergere, magari con una sola frase, 800 figure, ma potrebbero essere mille o migliaia (l’autore stesso ha fatto sapere che, fra edite e inedite, ce ne sarebbero oltre 7000), senza che il loro ‘raccontarsi’ sia significativo. Conta solo la loro apparizione, ancorché brevissima, per segnare un piccolo scarto, previsto e riassorbito nel continuum.

 

Qual è allora lo status di questi Pp, come spesso li indica Santoni configurandoli non come tipi ma piuttosto come avatar? Intanto, questi presunti ‘esseri umani’ potrebbero comparire in “commedie, racconti, cortometraggi e lungometraggi, giochi di ruolo, serial tv…” ecc. La flessibilità, virtù tanto spesso richiesta nella fase del neo-capitalismo, diventa tipica di una condizione sociale, addirittura fondativa di ogni esistenza: i personaggi del nuovo racconto appaiono privati di ogni ‘storia esterna’, ovvero di una trama in cui inserirsi, e sono ridotti a una brevità-senza-qualità, a un comparire casuale ed effimero in micro-nuclei narrativi, condizione che corrisponde sia a quella effettiva della messaggistica in Rete, sia a quella simbolica degli esseri umani ‘flessibili’ e precari in sé nel XXI secolo. Basta allora elencare i primi tre micro-nuclei per cogliere le caratteristiche di questa brevitas: “Simona – I generi di nascita sono quattro, dall’uovo, dalla matrice, dal prodigio, dal caldo-e-umido. Eppure Simona pare sorta dal secco, dal guscio, dal sonno di mattina, dalla carta. / Gianna – Ha comprato una casa in multiproprietà alle Baleari. Non ci andrà che una volta, da sola. / Angel – Le otto della sera. Angel chiede a sé stesso cos’ha fatto di utile oggi; ‘mi son fatto la barba’, si risponde, e ride”. Come è evidente, qui non contano le informazioni veicolate bensì il fatto che qualcuno (l’autore o chi per lui) ha deciso che i suoi personaggi possono essere presentati dall’interno o dall’esterno, possono appartenere a una strana genìa (Simona) o a quella dei mediocrissimi individui attuali (Gianna, Angel), ma in ogni caso esistono solo per una sorta di selezione random, che non può e non vuole proporre un ordine e una regola. Si può parlare di racconto privato dei caratteri di sviluppo narrativo canonici oppure, in altri termini, di brevissimi lacerti che, rispetto al continuum indifferenziato, siamo disposti a leggere come un racconto, magari cogliendone gli aspetti umoristico-satirici ma certo non un’effettiva evoluzione. Su un piano critico-teorico, potremmo affermare che ciascuno di questi micro-lacerti si configura come grado zero del racconto breve nell’epoca della comunicazione in Rete, che accetta la totale indifferenza delle storie e degli stili con cui vengono espresse; l’autore può adesso impiegare questa micronarrazione diffusa, operando (spesso con scarti ironici) solo nel montaggio generale, per ottenere una serie che però non aspira ad alcuna compiutezza superiore: nemmeno la macro-sequenza dei mini-lacerti indica qualcosa di più[8]. Non si riesce insomma a ricavare alcun potenziamento da una forma imposta dall’autore-demiurgo, e la serie dei mini-lacerti resta sempre tale, mentre il racconto breve ‘strutturato’ rivela a sua volta, su questo sfondo, tutta la sua complessità.

 

Almeno per certi aspetti, la brevità del racconto sta cambiando statuto. Senza cercare una compiutezza percepibile e ben governata, si ritaglia, nel modo più rapido e neutro possibile, qualunque tipo di spunto, squarcio, abbozzo di pensiero ecc. capiti all’attenzione del navigante-blogger-utente social, che ha la facoltà di rilanciarlo e, semmai, di trasformarlo in un testo. Da questa angolatura, la condizione attuale del narrare non solo non trova una forma stabile, magari di lunga durata, ma sembra proporre, come limite, solo l’accostamento esclusivamente casuale di lacerti, sorta di traduzione operativa di metodi compositivi già avanguardisti-surrealisti, ora favoriti appunto dalla compresenza di ogni aspetto dell’agire umano nel Web.

 

3. Queste constatazioni potrebbero apparire in contrasto con miei lavori precedenti[9], ma occorrono a questo punto varie precisazioni. Lo scopo di quanto sin qui osservato era infatti solo di porre in rilievo cosa possiamo constatare a livello teorico e critico riguardo al problema della ‘brevità in narrativa’: di fatto, oggi i paradigmi e gli scopi del ‘narrar breve’ sono diversi da quelli riconoscibili sino a una trentina di anni fa. Ma l’obiettivo di ogni forma semplice resta comunque quello di veicolare un ‘nucleo di senso’, e ciò paradossalmente può essere vero persino nel caso di puri lacerti: in questo si ripropone un altro aspetto delle potenzialità cognitive del racconto, ovvero la spinta a riconoscere induttivamente un movente che ha spinto a proporre un quid da trasmettere[10].

 

Sul piano storico, inoltre, in questo primo quarto del Duemila hanno convissuto modalità di racconto non-contemporanee: l’educazione scolastica, i canoni di vario tipo, l’editoria in tutti i suoi ambiti, soprattutto il diverso grado di socialità multimediale consentono la realizzazione o la fruizione di testi diversificati, pure fra tutti quelli definibili come racconti brevi o short stories. Lo stesso Santoni, del resto, ha praticato molte altre scritture, comprese quelle del romanzo dal plot ad alta complessità[11].

Insomma, come è sempre accaduto le forme letterarie possono convivere e trasformarsi, senza che sia un unico stile quello adeguato a cogliere la condizione del presente[12]. Di certo però l’evoluzione della brevità comunicativa, e in particolare di quella relativa al modo di narrare una storia-novella, non può essere trascurata a livello teorico e storico-critico, perché appunto adesso questo aspetto è stato riconfigurato, direttamente o ‘di sponda’, da quanto è accaduto o accade soprattutto nei social[13]. Ciò non comporta affatto la fine dell’elaborazione dei testi per raggiungere uno stile riconoscibile, tuttavia il processo, ora, è molto più vario, e per questo stimolante, rispetto al solo proposito di raggiungere un ‘effetto’ durante una ‘seduta’ di lettura[14].

 

Note

 

[1] Si veda a titolo di esempio Giovannetti Paolo, Il racconto, Carocci, Roma 2012, specie pp. 36 ss. In una prospettiva teorica, ma anche storico-comparatistica, cfr. Patea Viorica (Ed.), Short stories theories. A twenty-first-century perspective, Rodopi, Amsterdam-New York 2012, specie pp. 1-23.  Per un quadro sintetico ma accurato della situazione italiana Raccis Giacomo, “(Non) è un paese per racconti”, Narrativa, 41, 2019, pp. 65-78.

[2] Per un inquadramento generale della problematica: Wolf Maryanne, Reader, come home. The reading brain in a digital world, Harper Collins, New York 2018. Per una periodizzazione del rapporto letteratura-Web, con affondi teorici, si vedano Rettberg Scott, Electronic literature, Polity Press, Cambridge 2019; Iadevaia Roberta, Per una storia della letteratura elettronica italiana, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2021.

[3] Su questi temi, anche per ampia bibliografia, mi permetto di rinviare a due miei lavori: Biologia della letteratura. Corpo, stile, storia, il Saggiatore, Milano 2018, specie pp. 173-208, e Letteratura e web, voce dell’Enciclopedia Treccani, IX Appendice, 2015 (https://www.treccani.it/enciclopedia/letteratura-e-web_(Enciclopedia-Italiana).

[4] Queste componenti vanno ovviamente usate con molta circospezione, vista la fluidità del rapporto soggetto-oggetto secondo l’epistemologia attuale, e tuttavia servono almeno come indicatori di propensioni. Sui vari tipi di influssi fra immaginazione e realtà, in rapporto alla narrazione, cfr. Calabrese Stefano, La fiction e la vita, Mimesis, Milano-Udine 2017, specie p. 71 e ss.

[5] Va precisato che non ci si riferisce qui ai messaggi con lunghezza predefinita, come erano quelli di Twitter: chi scriveva un tweet puntava semmai verso l’aforisma, che però manifesta un uso cognitivo della brevità molto diverso; ciò vale ancor più nella forma integrata di testo e immagine indicata come meme (su questi aspetti rinvio a un mio contributo dal titolo “Non di soli meme” uscito online in Doppiozero il 6 febbraio 2025; e in generale a Tanni Valentina, Memestetica, II ed., Not, Roma 2023). Non è inoltre possibile seguire qui l’evoluzione recente di internet nell’ambito del Cloud e delle realtà virtuali (Meta ecc.): si veda almeno la bibliografia indicata in Biologia della letteratura, cit., p. 208.

[6] Il testo è uscito, in una prima versione, per Castelvecchi, Roma 1996 (ultima edizione il Saggiatore, Milano 2024). Cfr. Sacchi Alessia, “Woobinda e i cannibali metropolitani. Una comparazione informatica delle prime due raccolte di racconti di Aldo Nove”, Bollettino di italianistica, 2005, 2, pp. 173-193.

[7] Il volume è stato edito in prima edizione dalla milanese RGB, poi riproposto nel 2013 e, successivamente, nel 2017 e nel 2024 dalla romana Voland (si cita da questa edizione). Sulla genesi del libro, si veda l’intervista a cura di Tiziano Toracca (https://www.labalenabianca.com/2018/05/21/personaggi-precari-unintervista-vanni-santoni/). Per un inquadramento dei vari tipi di testi nati da strumenti informatici e da blog, cfr. Patti Emanuela, Opera aperta. Italian electronic literature from the 1960s to the present, Peter Lang, New-York-Oxford 2022.

[8] Sui potenziamenti cognitivi forniti dalle sequenze o dai cicli, cfr. Müller-Wood Anja, “Bio-cognitive constraints in the reception of short story cycle”, in Gill Patrick, Kläger Florian (Eds), Constructing coherence in the Britsh short story cycle, Routledge, London-New York 2018, pp. 32-44. Per considerazioni linguistico-stilistiche, cfr. Toolan Michael, Making sense of narrative text, ivi 2016, pp. 1-39.

[9] Oltre al già citato volume del 2018, rinvio anche a Letteratura e controvalori. Critica e scritture nell’era del web, Donzelli, Roma 2014, specie pp. 125-145.

[10] Per un’analisi di questi procedimenti di lunga durata, cfr. Biologia della letteratura, cit., pp. 33-61. Quanto alle ‘forme semplici’ e alla loro problematicità (ma anche utilità euristica), si veda Fonio Filippo, “Le Einfache Formen di André Jolles: struttura, problematicità, applicabilità della «forma» della Leggenda”, Cahiers d’études italiennes, XXIII, 2016, pp. 151-182 (https://doi.org/10.4000/cei.3217).

[11] In effetti, fra i vari tipi di scrittura praticati da Santoni, si sono poi manifestate anche le forme del romanzo familiare, con I fratelli Michelangelo (Milano, Mondadori, 2019), dove sono impiegati procedimenti tardomodernisti; la mutabilità delle identità individuali è comunque confermata anche nel più recente La verità su tutto (ivi, 2022). Quanto ai Personaggi precari, già nel 2017 Santoni ha fatto notare in interviste e dichiarazioni che esiste una minima ricorsività, quella relativa a due suoi alter ego, Iacopo e Vasilij, che in effetti tornano in più di un’occasione, addirittura (nel caso del secondo, che era anche protagonista del romanzo Vasilij e la morte, rimasto inedito) a ridosso della conclusione.

[12] Sull’ampia gamma di registri della lingua italiana in internet, si vedano almeno Tavosanis Mirko, L’italiano del web, Carocci, Roma 2011; Pistolesi Elena, L’italiano del web: social network, blog & co., Cesati, Firenze 2022.

[13] Ma non va sottovalutata in generale la modalità di abbreviazione ‘schematica’, ormai dominante nella didattica e spesso nelle trame dei racconti: si veda per esempio l’ironica presenza di mappe concettuali in slides, che possono mimare un racconto, nel capolavoro di Jennifer Egan A visit from the goon squad (2010; cfr. Il tempo è un bastardo, trad. it. di Colombo Matteo, Minimum Fax, Roma 2017, pp. 280-355).

[14] Dopo la stesura di queste pagine è uscito il volume Palmieri Nunzia, Raccis Giacomo (a cura di), Numeri primi. Strategie della brevità nel Novecento italiano, Mucchi, Modena 2024. Sulle scritture brevi in internet, rinvio anche al mio contributo uscito in “Doppiozero” il 6 febbraio 2025.

[Una versione precedente e più ampia di questo contributo è uscita su “Narrativa”, 46, dic. 2024, pp. 201-212]

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