di Giovanni Parrini

 

[Esce in questi giorni per Industria & Letteratura Non la fine, né il fine, una raccolta di poesie di Giovanni Parrini. Ne anticipiamo otto testi]

 

 

(dalla sezione  Tra dolore e stupore)

 

 

Al margine del prato, il tempo accumula

anni e silenzio, in orbite più lente,

fra le panchine un poco sverniciate,

distanti il raggio da dove più assorta

la vita guarda corse e inciampi,

le macchie d’erba sui pantaloncini,

il trasognato credere, senza una fine, un fine.

Forse, solo la fantasia è chiarore,

forza di rimanere a non comprendere,

a rifare daccapo, nel silenzio del cuore,

storie di foglie che tornano verdi,

salti e risate che dilegueranno

e, un giorno o l’altro, torneranno qui,

in altri volti e attese, altri futuri,

sulle panchine a ripensare come viene, diviene e va

tutto questo mistero.

 

*

 

(dalla sezione  Quattro anni più quattro)

 

 

Nella valigia rigida,

dopobarba, rasoio, bagnoschiuma

e il contratto d’affitto

quattro anni più quattro. Le rate

erano state una guerra

però, la casa era signorile

e d’altronde il mercato, la zona ben servita …

Valutazioni, convenienze, usi

spinosi legamenti troppo umani.

 

 

*

 

Arrivò sul balcone, un po’ di polline

che spazzasti con noia

però, nel vaso mezzo rotto che hai deciso di lasciare,

è diventato un convolvolo diafano,

un ghirigoro fragile che tenta l’altezza,

un’opera leggera di un qualche malinconico iddio

che a prodigi minuscoli affidò la propria onnipotenza,

a parole ventose, la affidò,

sofferenti e soavi

che la vita sussurra, nell’addio.

 

*

 

(dalla sezione  L’opera incerta)

 

 

Del cinema rimane una caverna,

vuoto nerastro squadrato, fra le mura torbide,

la dimora d’un mostro mitologico,

terribile custode d’ogni fotogramma

d’ogni dialogo e scena

d’ogni umano patema;

nel silenzio in cui pendono panneggi sfatti,

tende sbranate, luci morte, c’è

il residuo scricchiolio dei sedili,

gli sguardi vinti dal technicolor,

i due anziani che ancora si tenevano per mano,

spalla a spalla, inchiodati,

finiti dentro il buio deserto, immenso,

oltre i titoli di coda.

 

*

 

(dalla sezione  In transito)

 

 

Passo, col Frecciarossa,

potenza undici megawatt, quasi trecento all’ora,

sempre da lì, dov’è nato e inneggia

lui, con getti e nuovissime foglie

e scolora e stecchisce,

s’incaponisce su verdi e azzurri,

su garriti venturi,

scivolando veloce nello spazio del finestrino,

in cui, saldi, moriamo, poco a poco,

andando e ritornando per ambagi e diritture,

sovversioni, acquiescenze,

puntando prospettive

da un punto all’altro, da un ricordo all’altro,

noialtri, i narratori, i narratari

nell’attimo, apparenti,

inesistenti.

 

*

 

(dalla sezione  Animalia)

 

 

Tra noi, sulle panchine, e i due colombi

– bella razza Gascoigne, lui che si gonfia

e lei, ritrosa, che lo fa penare –

c’è un vallo immenso,

coscienza, volontà, forse sapienza,

tutto un epos, la storia. E loro, lì,

i colori sul collo

lo zampettio

le penne

la prossemica dell’eternità,

nel becco un bacherozzo. Sono veri

per sempre veri, molto più di quanto si creda,

noi, i prescelti alla condanna splendida

che ci pone al vertice …

 

Intanto che affondiamo nei pensieri,

lui la raggiunge, vivono l’istante piumato,

tubando sillabe concreate, versi nella danza sensuale

d’un abissale clado.

 

*

 

 

 

(dalla sezione Comandamento)

 

 

L’annullamento che si fa vicino,

cuce da dentro punti di silenzio,

non fa paura, in fondo, trae verso un aperto,

intero, elementare.

 

Immaginavi ogni fatica fatta,

gli arnesi esistenziali,

il mestiere della sopravvivenza,

ora soltanto un grumo di protoni orientati,

un gran fracasso della risonanza magnetica

 

può premere il pulsante, in caso provi disagio

 

Laconica istruzione e ripensavi

alle rose,

alle muse,

al canto che un immenso sempre intona,

chiede ogni voce d’uomo che si accori.

 

*

 

È vereconda la virtù di questa vulnerata sostanza,

una vittoria di fragilità,

le preghiere farfugliate al cuscino,

nella notte che ha fianchi di sponde per il letto

e per sempre questo comandamento indefinibile

che mai niente si fermi,

si raccolga il dolore, per amare,

perdutamente amare,

fino alla limpidezza di un risveglio,

quando si cambia l’aria nella stanza,

per un’altra vicenda che arriva. Altra speranza.

 

 

[Immagine: Foto di Ch Photography (@chphotos), via Unsplash].

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