di Vanni Santoni

 

[Esce oggi, per Mondadori, Il detective sonnambulo, nuovo romanzo di Vanni Santoni. Ne pubblichiamo un estratto].

 

– Martino! Finalmente!
Manfredi veniva verso di me a braccia aperte, come per abbracciare un amico carissimo e lungamente atteso; veniva biancovestito (una sorta di vestaglia di bouclé bianco, ma ipertecnica, con sotto una tuta sportiva di tessuto leggero, tipo batista), scalzo come un Cristo e luminoso come un sole, anzi c’era proprio un raggio di sole che lo prendeva in pieno e tracciava la strada tra lui e me, cosa che mi fa pensare oggi che la sua stessa azione, la scelta di effettuare quell’azione in quel momento, derivasse dall’aver notato la comparsa della giusta scenografia, e ammetto che mi fece, ancora una volta, impressione. Facile, adesso, decostruire, ripresentare la scena come artefatta, se non addirittura ridicola. Non era così. Ebbi, anzi, la sensazione (sul momento non pienamente decifrata) che Johanna gli avesse trasmesso il dono dell’apparizione, e che avesse imparato a interpretarlo addirittura meglio (o forse chissà, era stato lui a trasmetterlo a lei? Un pensiero che mi diede un brivido), e mi lasciai abbracciare, e permettendo quell’abbraccio, di fatto gli davo l’autorizzazione a parlarmi, in quel profumo di sapone di Marsiglia e balsamo per capelli alla camomilla e acqua di colonia ultrapregiata ammettevo di voler capire meglio, mi rendevo disposto ad ascoltare, rifiutavo di impuntarmi, escludevo di fuggire, mettevo da parte l’idea già un bel po’ scardinata di portar via Johanna, accettavo di rimanere almeno per un po’, bandivo dalla mente l’impressione che fosse tutto assurdo, desistevo dal prendere una posizione netta, magari ostile; rinunciavo a difendermi, di fatto, dalla volontà schiacciante di costui.

 

* * *

 

– … ovviamente allo Schloss avremo tutt’altro allestimento, e il grosso dei materiali importanti è ancora nei cassoni, ma almeno un paio di cose a cui tengo ho voluto installarle già qui, nella stessa configurazione in cui saranno poi sistemate di là, così posso mostrarvele: sarebbe brutto, non credi, Martino, avere degli ospiti così importanti e portarli in un luogo che sembra la scena di un trasloco… Vieni, andiamo sul retro… Non vedevo l’ora, sai, – mi disse con un sorriso tutto innocenza, il sorriso di un bambino paffuto (ebbi quest’impressione anche se Manfredi paffuto non era), di un bambino che non ha mai conosciuto l’insoddisfazione, – Non vedevo l’ora di mostrarti tutto!

– Questa è la galleria provvisoria, – disse con gesti da consumatissimo cicerone, dopo che fummo entrati in un edificio lungo, addossato a quello principale. – Ho fermato la ristrutturazione appena ho capito che la Magione sarebbe stata solo una sistemazione temporanea, ma le bacheche sono già quelle che porteremo di là, anzi sei fortunato perché il trasferimento è imminente, – disse ancora, e con uno schiocco di dita fece accendere le luci, che partirono soffuse dal basso, poi salirono sulle opere inquadrate in bacheche di cristallo, e pian piano si diffusero in tutto l’edificio; l’effetto di quelle bacheche così linde e luminose tra le travi a vista piene di ragnatele, i muri di mattoni marezzati di salnitro e la paglia in terra, era piuttosto affascinante, dovevo ammettere.
– Conosci Watchmen? Tutte tavole originali. Sono riuscito a recuperarne ottantasei… Meno di un quarto, ma è comunque la prima collezione al mondo. Cosa guardi là? Ah, certo, il Richter… 

– Non so molto di arte. Cioè, di fumetti anche anche, ma arte, zero.
– Eppure Johanna dice sempre che sei un vero artista.
– Io? Lei, forse…
– Certo, certo. È un grande dono, sai, Luth…, cioè, Martino, quello di poter creare, – diceva Manfredi mentre passavamo a un’area piena di statuette di resina di (spiegava lui) Kaws, Murakami e Chueh, posizionate su cubi grigi, e arrivavamo in fondo all’edificio, allestito tipo open space, con una mezza dozzina tra scrivanie e tavoli da disegno, – io ci ho provato, a creare, non dico che non abbia dei talenti, di certo sono veloce, soprattutto a imparare… grazie a Shi, sai, la mia guardia del corpo, ho appreso a un buon livello tre arti marziali in pochi anni, e sì che da bambino l’allenatore di basket mi chiamava “piota”, c’est à dire una zolla di terriccio… a poker e a chemin de fer sbanco anche su tavoli duri, me la cavo a golf (ma due palle…), siccome Vanuška… Ah già, tu ancora non la conosci… Be’, la conoscerai; lei, dicevo, ha avuto un periodo di fissa su queste cose, e allora ho imparato pure lo yoga, poi sto studiando filosofia… ma in questi stessi anni, questi anni di fortuna e di conseguente, inevitabile ricerca, sono stato costretto a capire che non ho il dono della creazione. La creazione diretta, mi capisci? La magia del fare.
– Be’, di soldi ne hai fatti…
– I soldi! Bof, a parte che io sono stato solo tra i primi ad averli, quei cavolo di bitcoin, ben prima che il valore schizzasse su, – diceva Manfredi (ora umile, amichevole, alla buona, un ragazzo) mentre mi indirizzava in un’ultima saletta, o meglio un ingresso alternativo alla zona open space, occupato solo da una sfera riflettente, d’acciaio, con la sommità tagliata trasversalmente, cosicché le nostre figure vi si riflettevano distorte e ingrandite e in certi punti ribaltate, – i soldi non sono una creazione. Si dice che i soldi si fanno, è vero, you make money, ma in realtà mica esistono, a meno di considerar tali quei foglietti che la gente tiene nel portafoglio: i soldi sono un’energia astratta, sono mana, ki, orenda, prana, shakti, sono la forza di Star Wars, il chakra di Naruto, non si creano e non si distruggono, crescono, si contraggono, respirano, sono una funzione d’onda con cui puoi o non puoi sintonizzarti…
– Il denaro non dorme mai, come diceva Gordon Gekko in Wall Street.
– Sbagliatisssssimo, Martino. Il denaro dorme sempre, il denaro sogna, è un sogno, un altro piano di realtà, sfuggente eppure grandioso, lussureggiante, con le sue foreste e le sue architetture e le sue caverne e le sue frane, in costante mutazione, un sogno con cui ci si può connettere o non connettere, o disconnettere, che da troppo, davvero troppo tempo segue altre leggi rispetto a quelle umane… Ricordi quando Elon comprò Twitter e mise le “spunte blu”, ovvero l’autenticazione degli account, a pagamento invece che fondate sulla reputazione effettiva? A un certo punto la gente cominciò a creare falsi account di multinazionali, a verificarli con cinque dollari, e a condizionare il mercato… Uno di questi adorabili pirati creò l’account della Eli Lilly Pharmaceuticals e scrisse che di lì in poi l’insulina negli Stati Uniti sarebbe stata gratuita, e woom, ventidue miliardi di dollari bruciati in un attimo. Ti dirai, ma quale investor può essere tanto scemo da credere a un tweet così chiaramente fasullo? La risposta è: nessuno. Il tweet era stato processato dalle intelligenze artificiali, che ormai investono da sole: vedendo la spunta blu, e non conoscendo ancora l’ironia, il paradosso lo hanno preso per buono, del resto alimentano il sogno con frammenti di realtà già spuri, privi di una loro coerenza… La creazione è un’altra cosa, è tutt’altro potere. Nell’assopita e buia caverna della mente, i sogni fanno il nido con i frammenti caduti dalle carovane del giorno. Rabindranath Tagore.
– Ah, anche poeta?
– Ah ah! Questo è Fantozzi! L’ho visto anch’io! Cioè, ho visto il meme. Però avremo anche un cinema, sai, allo Schloss. Ti andrebbe di occupartene? Macché poeta, Martino… Questa poesia l’ho imparata da una carta di Magic. Sogni del mondo sotterraneo, tre mana neri, l’avversario prende un danno ogni volta che pesca una carta. Hai mai giocato a Magic? 
– Da piccolo avevo qualche carta Pokémon… 
– Quando allo Schloss sistemeremo quella parte di collezione ti farò vedere il mio Pikachu Illustrator, allora. PSA 8, ma un milioncino speso bene… Anche se vuoi mettere il Black Lotus, e ancor più i Mox, il senso di vero potere che ti dà una mano piena di quelle gemmette?
– Magic non mi ha mai preso, poi ci giocavano quelli parecchio più grandi…
– Se non ti ha preso è perché non ci hai mai giocato seriamente. Appena ci sistemiamo a modo ti faccio un mazzo io e vedrai. Adesso però devo andare che ho una riunione in città.
– A quest’ora? – chiesi, ma Manfredi non mi rispose e uscì.

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